Modello di vita cristiana e consacrata
2018/12, p. 27
Anche se vissuta diversi secoli fa, l’amata Patrona di
Catania è parte viva della nostra fede e la sua presenza
spirituale si intreccia continuamente con la nostra storia,
così come con quella di tutta la diocesi.
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Testimoni
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Sant’Agata vergine e martire di Catania
MODELLO DI VITA
CRISTIANA E CONSACRATA
Anche se vissuta diversi secoli fa, l’amata Patrona di Catania è parte viva della nostra fede e la sua presenza spirituale si intreccia continuamente con la nostra storia, così come con quella di tutta la diocesi.
Catania è una città di forte attrattiva turistica, seducente per fascino naturalistico e artistico. Città profumata di mare, agghindata di suggestivo e multiforme barocco, signorile e trasandata, conturbante città del fuoco e della festa, Catania del “liotro” e di Bellini, ma soprattutto Catania di sant’Agata, dei tanti fedeli che ne vivono la festa come intenso momento di devozione, di esaltazione, di pietà, di rinnovata consegna di se stessi nella fede a Colei che è eloquente segno di imitazione del Cristo. «Tutti devoti tutti» è il grido accorato, a volte commisto a infantile superstizione, ma genuino e ancestrale di quanti non si stancano di ricorrere all’invitta Eroina perché sia soprattutto luce di speranza e di sicura protezione. Tutti i devoti guardano a lei, lei ammirano, lei acclamano, lei non si saziano di contemplare estasiati e fiduciosi. Perché Agata è dei catanesi, di tutti noi che l’abbiamo per speciale compagna di viaggio.
La festa di sant’Agata è tra le più rinomate nel mondo per religiosità, folclore, devozione, ed ogni anno attrae migliaia di persone tra devoti e turisti. Ma a noi preme evidenziare qui il legame che corre tra la Vergine e Martire catanese e la vita consacrata, con particolare richiamo all’esperienza di noi Benedettine del SS. Sacramento di Catania. Non ci soffermiamo quindi né sulla festa né sulla vita stessa di sant’Agata.
C’è un legame molto forte tra la nostra comunità monastica e sant’Agata. Oltre alla devozione che tutte proviamo per la Patrona della nostra amata città, va indicata anche l’intesa spirituale che ci unisce a colei che ci è modello da imitare, amica tanto vicina nel nostro cammino e potente voce di intercessione presso il Padre. È significativo che l’affresco con il martirio di sant’Agata, presente nella nostra bella chiesa di “San Benedetto”, si trovi sopra la grata dietro la quale, anticamente, venivano fatte le professioni monastiche, secondo la tradizionale associazione del martirio cruento con il martirio bianco della fedeltà quotidiana alla propria vocazione. Ciò è sottolineato anche dal decoro in bassorilievo sotto l’affresco che rappresenta l’intreccio di palme e gigli. Oggi, dopo il Concilio Vaticano II, i riti per le professioni monastiche si svolgono sul presbiterio in una rinnovata concezione teologica e liturgica, ma sempre ancorati ai pregnanti valori della tradizione.
Martirio
e monachesimo
«Nel pensiero dei Padri della Chiesa c’è un felice connubio tra martirio e monachesimo. Scriveva San Girolamo nei suoi Trattati sui salmi: “E come i martiri offrono al Signore una lode pura nella terra dei viventi, così anche i monaci che cantano salmi al Signore di notte e di giorno, devono avere la stessa purezza dei martiri”. Pertanto anche la santità di Agata è intrinseca al monachesimo perché appartiene al magma paleocristiano da cui il movimento monastico prese forma: un universo religioso che in Sicilia trova straordinario terreno di coltura anche in Lucia, Ninfa, Oliva, delle quali la stessa Rosalia eredita alcuni caratteri. Figure femminili che vissero in un tempo in cui la parola verginità non era relegata al mero significato fisico, ma significava una profonda unione con Dio. Quell’archetipo d’integrità non significava rinuncia, ma partecipazione alle realtà più elevate. Non a caso, nella leggenda agiografica della martire Agata, è il velo, simbolo verginale carico di forza, a salvare Catania dalla lava. Fra gli autori monastici, specialmente Pietro Abelardo ha notato e sottolineato questo aspetto: “Dio dimostrò quanto gli fosse accetta la devozione delle sante vergini quando, per dare un esempio, per salvare dalla morte dell’anima e del corpo una moltitudine di pagani che era corsa ad implorare Agata, contrappose il velo della donna alla terribile lava che traboccava dall’Etna. Nessuna cocolla di monaco ha avuto la grazia per compiere un così grande miracolo! Leggiamo, è vero, che al contatto del mantello di Elia le acque del Giordano si divisero e lasciarono un sentiero asciutto a lui e a Eliseo, ma il velo di Agata salvò l’anima e il corpo di un’immensa moltitudine di infedeli e, convertendoli, aprì loro le porte del cielo”. E come non ricordare l’interesse e l’ammirazione che Papa Gregorio Magno mostrò per questa santa siciliana?». Che dire, inoltre, del fervoroso elogio fattone da san Metodio Siculo e riportato quale seconda lezione all’ufficio della memoria liturgica di sant’Agata? E tanto ancora…
Presenza viva
della nostra fede
Anche se vissuta diversi secoli fa, l’amata Patrona è parte viva della nostra fede e la sua presenza spirituale si intreccia continuamente con la nostra storia, così come con quella di tutta la diocesi. Agata ha amato Cristo con il generoso dono verginale di sé fino alla totale consumazione col martirio senza nulla temere degli intrighi e della cattiveria del mondo.
La mattina del 6 febbraio, prima che la processione con il busto reliquiario di sant’Agata si concluda con il rientro in cattedrale, l’ultima sosta è davanti alla nostra chiesa. Un momento particolare che ci coinvolge e ci fa sentire l’abbraccio dei tantissimi devoti assiepati lungo la via. Quello che più colpisce è il raccoglimento della folla che vive con noi un autentico e sentito momento di preghiera all’interno di una festa rinomata spesso solo per la spettacolarità che la circonda.
Ecco che, da dietro la cancellata posta tra la strada e il prospetto centrale, eseguiamo un canto carico di suggestione orante mentre gli occhi di tutti sono colmi di commozione e di una profonda pace interiore.
Si tratta della preghiera che la martire morente ha elevato in carcere al Cristo suo sposo e musicata in polifonia da Filippo Tarallo. «Stans Beata Agata in medio carceris, expansis manibus orabat ad Dominum: Domine Jesu Christe, Magister bone, gratias tibi ago qui me fecisti vincere tormenta carnificum; jube me Domine ad tuam immarcescibilem gloriam feliciter pervenire».
Le nostre voci vorrebbero ogni volta comunicare tutto il palpito “agatino” che da esso promana talmente ci fa vibrare all’unisono con i sentimenti di questa eroica sposa di Cristo. Inoltre, dal momento che viviamo un carisma benedettino-eucaristico, ci sembra di rintracciare nella preghiera di Agata un richiamo al canone romano: ogni prefazio si caratterizza per l’aspetto proprio di benedizione-ringraziamento, è il cosiddetto “gratias agere” che affonda le sue radici nella religiosità ebraica, culminando nella preghiera-offerta di Gesù che, dopo aver ringraziato, benedice.
Sant’Agata, dopo i crudeli supplizi, rinchiusa nel carcere eleva la sua bellissima preghiera. Essa, riportata negli atti del martirio e ripresa nell’antifona al Magnificat del vespro solenne, è dunque il “prefazio” di sant’Agata che, nel supplizio finale, quello che la condurrà alla morte, celebrerà la sua Eucaristia. La prece di Agata è un inno pasquale, il canto di vittoria dei redenti.
Agata è prima di tutto una donna: per questo tutti i catanesi, noi comprese, la sentiamo tanto vicina. Non una Santa relegata nella sua nicchia, ma una madre spirituale alla quale ricorrere, una sorella solidale, un’amica alla quale poter confidare le pene e le gioie del cuore. Ella rimane sempre giovane, è una presenza contemporanea alla generazione che la venera e la invoca. La devozione a sant’Agata si tramanda con amore da padre in figlio; insieme al ricordo viene trasmesso l’amore stesso, la devozione: non è esagerato dire che tutti i catanesi (compresi quelli divenuti per acquisizione, come alcune di noi che sono di altre province o regioni) portano inscritto nel DNA la devozione agatina.
Rinomato è il cosiddetto tesoro di sant’Agata che impreziosisce il busto reliquario realizzato nel 1376, tuttavia è il patrimonio spirituale ad essere gran lunga più prezioso.
Giovanni Paolo
e sant’Agata
Non c’è oro, argento e gioielli che possono eguagliare l’eredità lasciataci da Agata. Giovanni Paolo II, in occasione della visita alla città e alla diocesi di Catania il 4-5 novembre 1994, ha menzionato più volte la Santa Patrona. Ne riportiamo alcuni stralci: «Cittadini di Catania, lasciatevi guidare dall’esempio dei vostri Santi, quelli più antichi e quelli più recenti. In essi potete trovare modelli perennemente validi di un’autentica riforma morale e sociale. Sappiate leggere i segni provvidenziali della vostra storia religiosa. […]. La Chiesa che da secoli vive su queste sponde, alle falde dell’Etna, crede in Dio, ha accolto suo Figlio, si sente messaggera di Cristo. Memore dell’approdo dell’apostolo Paolo sulle proprie coste, essa sente il dovere di parlare, anzi di gridare a quanti abitano nella Città: “Catania, alzati e rivestiti di luce e di giustizia!”. Nel nome di Cristo, chiedo a tutti voi di accogliere l’annuncio sempre nuovo del Vangelo, perché siate ritemprati nella fede. A tutti dico: state in piedi, concittadini della martire Agata, sappiate vincere il male con il bene!» (dal Discorso alle autorità civili e religiose, Catania 4 novembre 1994).
«Se domandiamo alla vostra giovanissima Patrona: Spiegaci, come hai potuto, all’età di circa quattordici anni, essere già così forte nel testimoniare Gesù, così matura da avere l’onore di dare la vita per lui, lei ci risponde: “Non è merito mio. È stato Gesù a farmi buona, è Lui il segreto del mio nome e della mia vita. Io sono stata semplicemente come un tralcio attaccato alla vite. Ecco: questo è il segreto di Agata e di tanti come lei […] Ti saluto, giovane martire Agata! Tu, che hai riconosciuto Cristo con gli occhi della fede, aiuta anche noi ad essere suoi testimoni per quanti oggi sono ancora ciechi. Tu, unita a Gesù come tralcio alla vite, insegnaci a vincere il male con il bene, aiutaci a portare frutto per il Regno di Dio» (dal Discorso ai giovani, Catania 5 novembre 1994).
Ci sprona a seguire
i suoi esempi
L’immagine evangelica della vite e dei tralci, chiaro rimando al corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, conferma che siamo tutti gli uni per gli altri nel Signore. La radicalità di vita cristiana e il cammino di santità di Agata sono stati possibili e anche sostenuti dalla comunità dei fedeli che le ha trasmesso l’esperienza di fede offrendole l’eroica testimonianza di altri martiri. Vivere e camminare all’interno di una comunità è un dono e un impegno. La nostra famiglia monastica non si stanca di contemplare in Agata l’opera del Signore, mirabile nei suoi Santi, che ci sprona a seguirne i fulgidi esempi di fedeltà, di fortezza, di amore. Ancor più come consacrate abbiamo bisogno di guardare a Lei, nostro modello e insieme nostro aiuto.
Questa donna e cristiana coraggiosa durante il suo viaggio terreno è stata docile all’azione multiforme di Dio, è stata afferrata dal Suo amore e guidata dal Suo sguardo; ci insegna a lasciarci condurre da Lui, lasciandolo libero di operare in noi. Desideriamo pertanto ogni volta rivivere questa esperienza di fede: che la nostra vita sia un annuncio vivo e convincente del primato del Dio che cammina in mezzo al suo popolo imprimendo le sue orme nella strada che ci porterà, un giorno, a vivere la piena comunione con la Trinità Santissima, laddove Agata ci attende sostenendoci lungo la via.
E vorremmo infine concludere riportando anche alcuni flash di discorsi del beato cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet che fu arcivescovo di Catania dal 1867 al 1894. A conclusione della sua prima lettera pastorale, il novello Pastore della Chiesa catanese, salutando Catania come sua seconda patria, la affidava alla protezione dei Santi a lui cari: «Con questa triplice difesa, con sant’Agata, con san Giuseppe, con san Benedetto, noi e voi non temeremo incursione di sorta, riposeremo tranquilli».
Fu lui a portare in processione il velo di sant’Agata durante la colata lavica del 1886 che minacciava la cittadina di Nicolosi, rinnovandosi lo stesso prodigio di secoli prima. Così il solerte Pastore rincuorò gli abitanti del paese pedemontano: «Miei figlioli, abbiate fiducia, poiché il Velo di Sant’Agata vi salverà». Il 3 giugno il braccio infuocato si arrestò a soli 327 metri dalle prime case. In quel punto è poi stata edificata un’edicola commemorativa.
La devozione agatina coltivata dal Dusmet era prima di tutto atto di sicuro affidamento: «Ah! Io invoco l’inclita nostra Patrona sant’Agata, non per ricordarle di proteggere e difendere la sua gente, ciò che Ella fa ogni giorno, ma per pregarla di fecondare in voi, con la sua intercessione, questa Parola di Dio».
Le parole pronunciate in ringraziamento ai fedeli in occasione del suo giubileo episcopale risuonano quale attuale e pressante invito per tutti noi oggi: «O Gesù, deh! Tu muova i figli miei della diocesi catanese ad ispirarsi agli esempi di fortezza lasciati loro dalla gloriosa sant’Agata; Tu li eccita ad uniformarsi alla Famiglia da te eletta in terra. Deh! Tu li mantieni fermi nella fedeltà alla Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana e al Papa. Deh! Tu li conforta di una larga e stabile benedizione».
Infine vogliamo far nostra l’invocazione: «Possa l’augusta Patrona stendere a tutti quella mano virginea ch’Ella aprì amorosamente, e tante volte, per far cadere sopra queste contrade fecondate dal suo sangue immensi benefici. Faccia Dio che, come i primi cristiani sulle tombe dei martiri, così noi, sul sepolcro di Agata possiamo ritemprarci ed acquistare la luce, la verità, la forza necessaria all’adempimento dei nostri doveri».
Sì, ci infonda Lei il coraggio della testimonianza eroica nella quotidianità della vita, dell’offerta di noi stesse senza compromessi o tentennamenti e ci aiuti a rinnovarci continuamente nel fervore e nella dedizione totale a Cristo e alla Chiesa.
suor Maria Cecilia La Mela osbap