Chiaro Mario
Una Chiesa con faccia indigena
2018/12, p. 17
Scopo principale di questa convocazione è individuare nuove strade per l’evangelizzazione di quella porzione del popolo di Dio, specialmente degli indigeni. La regione conta circa un centinaio di circoscrizioni ecclesiastiche.

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Sinodo speciale per l’Amazzonia
UNA CHIESA
CON FACCIA INDIGENA
Scopo principale di questa convocazione è individuare nuove strade per l’evangelizzazione di quella porzione del popolo di Dio, specialmente degli indigeni. La regione conta circa un centinaio di circoscrizioni ecclesiastiche.
Dopo quello sui giovani, l’Amazzonia sarà al centro del prossimo Sinodo indetto da papa Francesco per un nuovo fondamentale discernimento di tutta la Chiesa. «Una regione meravigliosa, dove la foresta custodisce l’acqua e l’acqua custodisce la foresta, e dove i popoli originari custodivano e custodiscono la preservazione di questo santuario della natura»: è questa la fotografia del card. dom Claudio Hummes, presidente della Rete Ecclesiale Pan-amazzonica (Repam), creata nel 2014 per coordinare gli sforzi di tutti gli operatori nella costruzione di una chiesa dal volto davvero amazzonico. Il prossimo Sinodo speciale (Roma, ottobre 2019) riguarda “il polmone verde del pianeta”, dove la biodiversità della natura va di pari passo con quella umana, incarnata da 390 popoli autoctoni e 137 popoli cosiddetti “isolati” (non-contattati), per i quali – come amano dire – la “Bibbia è scritta negli alberi”.
I popoli amazzonici
e la difesa della vita
A questi popoli si è rivolto direttamente il pontefice nella città di Puerto Maldonado (19/1/2018). Egli, dopo aver salutato i 22 popoli originari indigeni presenti, li ha definiti come il “volto plurale” dell’Amazzonia, volto di enorme ricchezza biologica, culturale, spirituale. Eppure, ha ricordato, questi popoli dell’Amazzonia non sono mai stati tanto minacciati nei loro territori come lo sono ora.
Ci sono innanzitutto due minacce per una terra disputata su diversi fronti: «da una parte, il neo-estrattivismo e la forte pressione da parte di grandi interessi economici che dirigono la loro avidità sul petrolio, il gas, il legno, l’oro, le monocolture agro-industriali; dall’altra parte, la minaccia contro i vostri territori viene anche dalla perversione di certe politiche che promuovono la “conservazione” della natura senza tenere conto dell’essere umano e, in concreto, di voi fratelli amazzonici che la abitate. Siamo a conoscenza di movimenti che, in nome della conservazione della foresta, si appropriano di grandi estensioni di boschi e negoziano su di esse generando situazioni di oppressione per i popoli originari per i quali, in questo modo, il territorio e le risorse naturali che vi si trovano diventano inaccessibili. Questa problematica soffoca i vostri popoli e causa migrazioni delle nuove generazioni di fronte alla mancanza di alternative locali. Dobbiamo rompere il paradigma storico che considera l’Amazzonia come una dispensa inesauribile degli Stati senza tener conto dei suoi abitanti».
Il pontefice ha definito i 4mila rappresentanti delle tribù indigene come «un grido rivolto alla coscienza di uno stile di vita che non è in grado di misurare i suoi costi. Voi siete memoria viva della missione che Dio ha affidato a tutti noi: avere cura della casa comune. La difesa della terra non ha altra finalità che non sia la difesa della vita. Conosciamo la sofferenza che alcuni di voi patiscono per le fuoriuscite di idrocarburi che minacciano seriamente la vita delle vostre famiglie e inquinano il vostro ambiente naturale. Parallelamente, esiste un’altra devastazione della vita che viene provocata con questo inquinamento ambientale causato dall’estrazione illegale. Mi riferisco alla tratta di persone: la mano d’opera schiavizzata e l’abuso sessuale. La violenza contro gli adolescenti e contro le donne è un grido che sale al cielo».
Il Documento
preparatorio
L’Assemblea speciale del Sinodo per la Panamazzonia avrà per tema: Amazzonia, nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale. Nella presentazione del Documento preparatorio, il card. Baldisseri ha sottolineato che, anche se il tema si riferisce a un territorio specifico latinoamericano, le riflessioni che lo riguardano superano l’ambito regionale, perché esse riguardano tutta la Chiesa e anche il futuro del pianeta. Tali riflessioni intendono infatti «far un ponte verso altre realtà geografiche simili quali, ad esempio: il bacino del Congo, il corridoio biologico Centroamericano, i boschi tropicali dell’Asia nel Pacifico, il sistema acquifero Guaranì. Questo grande progetto ecclesiale, civico ed ecologico permette di estendere lo sguardo al di là dei rispettivi confini e di ridefinire linee pastorali rendendole adeguate ai tempi di oggi. Anche per queste ragioni il Sinodo sarà celebrato a Roma».
Lo schema
del documento
Il Documento consta di un’introduzione e tre parti, che corrispondono al metodo del “vedere, giudicare (discernere) e agire”.
La prima parte dedicata al “vedere”, delinea l’identità della Panamazzonia e l’urgenza dell’ascolto. Gli argomenti affrontati sono: territorio; identità dei popoli indigeni; memoria storica ecclesiale; giustizia e diritti dei popoli, spiritualità e saggezza dei popoli amazzonici. Occorre riflettere anche su un nuovo dato: in Amazzonia, i centri abitati sono cresciuti rapidamente a causa del fenomeno migratorio. Molti dei migranti indigeni non hanno documenti o sono irregolari, rifugiati, abitanti delle rive di fiumi o appartenenti ad altre categorie di persone vulnerabili: una situazione che fa crescere un atteggiamento xenofobo e di criminalizzazione verso di loro.
La seconda parte riguarda il “discernere” le cose nuove che emergono. Questa sezione è segnata dall’annuncio del Vangelo, nelle sue diverse dimensioni: biblico-teologica, sociale, ecologica, sacramentale ed ecclesiale-missionaria. L’annuncio evangelico ha una dimensione sociale e comunitaria, rilevante proprio nel territorio amazzonico dove l’ecosistema si coniuga con la vita delle persone e garantisce stabilità e salvaguardia della Casa comune. Pertanto, il processo di evangelizzazione in Amazzonia non può prescindere dalla promozione e dalla cura del territorio (natura) e dei suoi popoli (culture). Per raggiungere questo scopo sarà necessario articolare i saperi ancestrali con le conoscenze contemporanee, con riferimento particolare all’utilizzo sostenibile del territorio e allo sviluppo coerente con valori e culture delle popolazioni.
La terza parte si riferisce all’“agire”, per edificare una Chiesa dal volto amazzonico, con dimensione profetica, alla ricerca di ministeri e linee di azione più adeguate in un contesto di ecologia veramente integrale.
Negli ultimi decenni la Chiesa in Amazzonia ha preso coscienza della necessità di «una maggiore presenza ecclesiale, per poter rispondere a tutto ciò che è specifico di questa regione a partire dai valori del Vangelo, avendo consapevolezza dell’immensa estensione geografica, della grande diversità culturale e del forte influsso esercitato da interessi nazionali e internazionali in cerca di un facile arricchimento economico. Una missione incarnata esige dunque di ripensare la scarsa presenza della Chiesa in rapporto all’immensità del territorio e alla sua varietà culturale». Proprio per intervenire sulla presenza precaria della Chiesa e trasformarla in realtà più capillare e incarnata, occorre stabilire una gerarchia delle urgenze. Una priorità è quella di precisare contenuti, metodi e atteggiamenti di una pastorale inculturata. Un’altra è quella di proporre ministeri e servizi per i diversi agenti pastorali, che rispondano ai compiti e alle responsabilità della comunità. Tali priorità dovranno essere sempre segnate da un “attento ascolto” delle voci amazzoniche e della loro saggezza.
Chiesa in “rete”
e difesa degli indigeni
L’Amazzonia copre quasi 8 milioni di chilometri quadrati, distribuiti tra nove paesi dell’America Latina: Brasile (67%), Perù (13%), Bolivia (11%), Colombia (6%), Ecuador (2%), Venezuela (1%), Guyana con Suriname e Guyana francese (0,15%). In tutti questi paesi i vescovi sono già in rete fra loro e già attivi in vista del Sinodo del 2019, coscienti del fatto che il bacino idrografico dell’Amazzonia rappresenta per il pianeta una delle maggiori riserve di biodiversità e di acqua dolce. La Chiesa vive in una regione con oltre un terzo dei boschi primari del mondo, una importante fornitrice di ossigeno per tutta la terra. L’Amazzonia è, insieme alla foresta del Congo, ciò che resta di più prezioso per l’umanità. Altre grandi foreste, come quella del Borneo, sono scomparse, senza poter quindi contrastare il cambiamento climatico.
Dopo 500 anni dalla conquista europea, dopo all’incirca 400 anni di missione ed evangelizzazione organizzata e dopo 200 anni dall’emancipazione dei paesi panamazzonici, sono presenti ancora i segni di un neo-colonialismo feroce, mascherato da progresso, contro il quale la Chiesa deve far sentire la sua voce. Fin dall’inizio della sua missione la Chiesa è stata presente in modo significativo, anche se con ombre, con la sua azione di difesa a riscatto dei popoli oppressi ed emarginati (cf. interventi dell’Episcopato latinoamericano attraverso i documenti di Medellín 1968, Puebla 1979, Santo Domingo 1992 e Aparecida 2007). La Chiesa sa che oggi è in gioco la difesa della vita di svariate comunità che rappresentano circa 34 milioni di persone, di cui 3 milioni di aborigeni. Esse sono minacciate da inquinamento, radicale e rapido cambiamento dell’ecosistema, mancata tutela di fondamentali diritti umani. Per fare un solo esempio, il business del momento sono le piantagioni di soia: dal Brasile arrivano giganteschi trattori collegati fra loro da catene di ferro, che passano travolgendo decine di alberi per fare spazio alle piantagioni. Non c’è alcuno scrupolo nel distruggere milioni di ettari di foresta per un prodotto che le multinazionali trasportano in Cina e Nord America.
Di fronte a questo scenario, la Chiesa in Amazzonia si è impegnata nel tempo a "fare rete", per congiungere gli sforzi, per incoraggiarsi reciprocamente e avere una voce profetica più significativa a livello internazionale, quando è in questione l’intera regione e la sua gente. Da questa preoccupazione deriva l’opzione primordiale per la vita dei più indifesi. Nell’area si trovano popoli indigeni denominati “Popoli indigeni in isolamento volontario” (Piav) o “non-contattati”, che rischiano l’estinzione. Essi, circa 150 gruppi, sono i più vulnerabili tra i vulnerabili. Il retaggio di epoche passate li ha obbligati a isolarsi persino dalle loro stesse etnie, con una reclusione nei luoghi più inaccessibili della foresta. Questi specifici gruppi, in seguito all'invasione del loro territorio, si sono salvati dallo sterminio evitando di disperdersi e scegliendo di non assimilarsi allo stile di vita occidentale; così facendo non hanno contatti con la civilizzazione "bianca" e preservano la loro autonomia.
Secondo il papa, «la loro presenza ci ricorda che non possiamo disporre dei beni comuni al ritmo dell’avidità e del consumo». È urgente allora non fare delle loro culture una idealizzazione di uno stato naturale e neppure un museo di uno stile di vita di un tempo passato. Nell’immediato occorre stimolare gli Stati a realizzare politiche sanitarie interculturali, formando professionisti della loro stessa etnia che sappiano affrontare la malattia secondo la propria visione del cosmo. Nel contempo occorre denunciare la pressione di organismi internazionali su determinati paesi perché promuovono politiche di sterilizzazione delle donne nelle popolazioni aborigene, a volte senza che esse ne siano avvertite.
VR con volto indigeno
e cuore ecologico
Molti sono i missionari e le missionarie impegnati con i popoli amazzonici in difesa dei loro diritti e culture. La loro evangelizzazione e promozione umana ha anche inaugurato un “martirologio verde” con figure come Chico Mendes, il sindacalista dei raccoglitori del caucciù assassinato nel 1988, e suor Dorothy Stang (americana delle Suore di Notre Dame di Namur) ammazzata nel 2005 per il suo contrasto ai predatori del business dell’agricoltura con progetti che riguardano l’esportazione di legname da costruzione, minerali, carne e soia.
Rappresentanti di 30 congregazioni religiose con progetti nella prospettiva pan-amazzonica si sono riuniti, nella città brasiliana di Tabatinga (20-24 aprile 2018). L’evento è stato promosso dalla Clar (Conferenza latinoamericana e caraibica di religiose/i) insieme alla Repam (Rete ecclesiale panamazzonica) con oltre 90 presenze (per esempio:gesuiti, lauretani, lasalliani, cappuccini, maristi, sorelle di Nostra Signora di Namur ecc.). Nello scambio sono emersi alcuni snodi comuni: rileggere i carismi nella prospettiva della Laudato si’; riorganizzarsi per recuperare senso vocazionale e missionario; riscattare il sacro e le cosmo-visioni locali per celebrare la vita in connessione con le culture amazzoniche e con il Creatore; promuovere l’ecologia integrale con educazione e spiritualità ecologica che incida politicamente.
Nel passato consacrate e consacrati hanno avuto intuizioni preziose (come acquisto di terre per costituire agglomerati agricoli, servizi essenziali in campo educativo, sanitario e sociale). Grazie a tutto ciò, in Amazzonia si sono formate delle “isole” salesiane, francescane, pimine ecc., ognuna con le sue opere: è arrivato il momento di suscitare uno scambio maggiore tra loro. Infatti, nelle sue realizzazioni, la vita religiosa in Panamazzonia esprime elementi che possono realizzare un nuovo modello di evangelizzazione, più adatto all’attuale momento storico ed ecclesiale e alla realtà locale. Tutto ciò nella prospettiva del processo sinodale, la cui riflessione locale e universale, può trasformare profondamente la vita della Chiesa nella regione, così come la missione della stessa vita consacrata. Più è connessa la missione, istituzionale e personale, fatta attraverso persone impegnate che cercano nuove strade, più si aggiungerà energia per il bene comune e per il Regno.
Mario Chiaro