Cozza Rino
Ritornare a Cristo
2018/11, p. 28
È tempo di superare la retorica di un discorso fatto di formule tramandate, che si ripetono stancamente, senza più la forza di stupire, sconvolgere, provocare a pensare.

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Testimoni
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Occorre una nuova purificazione
RITORNAREA CRISTO
È tempo di superare la retorica di un discorso fatto di formule tramandate, che si ripetono stancamente, senza più la forza di stupire, sconvolgere, provocare a pensare.
Siamo nel tempo di una nuova purificazione del tempio. All’ epoca di Gesù il tempio evocava precetti, pratiche, interdizioni, ed ecco Gesù, a proporre un modo diverso di vivere la religiosità: quello «sognato» da Dio, e lo presenta come un “tesoro” che alimenta il desiderio.
La vita religiosa deve trovare qui il suo spazio e la ragion d’essere, con il collaborare alla germinazione, di un modello di Chiesa sempre più evangelico «togliendo da essa ciò che solo apparentemente è fede, ma in verità è convenzione e abitudine».
L’esigenza di una purificazione non consiste tanto nell’adattamento o anche solo nell’interpretazione della religiosità nell’orizzonte della postmodernità, si tratta piuttosto di liberarsi da un cristianesimo che ha veicolato qualche volta una fede distante dalle domande profonde dell'uomo, offrendo talora un'immagine di Dio che sembra non avere niente da dire ai nostri sensi, dolori, sete di gioia e di vita.
È tempo di testimoni di una fede profumata di vita come il pane caldo di forno, che non sia principalmente un contenuto da conoscere, una Regola o una tradizione su cui conformarsi, ma l’esperienza della potenza di Dio in me che mi rende possibile l’affidarmi ad un preciso volto, quello di Cristo, che orienta alla bellezza del vivere a partire dal custodire la qualità dell’umano, in tutta la sua ricchezza di corporeità, sensibilità, impulso vitale, desiderio, emozioni, bisogno di festa e di tenerezza. Una vita che Dio vuole anzitutto che sia vissuta, per poter farne dono agli altri, e che non si sacrifichi, come a lungo predicato, sulla base di una mentalità sacrificale di tipo più gnostico e platonico che non autenticamente cristiano. Scriveva Moltman: «L’esperienza di Dio approfondisce le esperienze della vita e non le riduce, perché risveglia la forza di dire incondizionatamente sì alla vita».
È questa la strada da percorrere per passare da Dio come dovere, a Dio come desiderio.
Liberarsi dalle incrostazioni
dei secoli
Al tempo di Gesù esisteva – cosa di cui per molto tempo si è rimasti pressoché ignari – un monachesimo giudaico, quello degli Esseni, che aveva uno degli insediamenti a Kumran sulle rive del Mar Morto. Questa esperienza conclusa dopo la guerra ebraica del 70 d.C. venne scoperta soltanto nel 1947 con il ritrovamento di varie anfore contenenti numerosi testi biblici e alcuni a-biblici, tra cui la regola della vita comunitaria dei monaci, contraddistinta da vari elementi di quel cenobitismo che poi, in qualche aspetto, senza accorgersene, assurse a modello del successivo monachesimo occidentale.
La cosa che maggiormente incuriosisce è che Gesù non accennò mai a questo cammino che gli Esseni dicevano di perfezione, eppure non poteva non conoscere questa esperienza a lui contemporanea, i cui adepti (circa 4.000) vivevano in molte comunità e Giovanni operava proprio nelle vicinanze di una di queste: Kumran. Dell’esistenza in quel periodo del gruppo degli “esseni”, accanto ai sadducei, ai farisei e agli zeloti, si conoscevano pochi accenni, scritti sia dallo storiografo Flavio Giuseppe, sia dal filosofo Filone di Alessandria.
Ciò che ora a noi giova conoscere sono gli elementi su cui era polarizzata la comunità di Kumran, per evidenziarne l’incompatibilità con gli elementi fondanti la comunità che Gesù andava proponendo.
Innanzitutto l’esperienza essenica aveva caratteri eremitici o monastici che ne facevano degli estraniati dal mondo, per non contaminarsi con gli impuri, cioè con tutti coloro che non appartenevano alla loro comunità.
Altra connotazione era l’intransigente zelo per la legge - ad esempio l’osservanza del “sabato” – tanto da far consistere la conversione nel ritornare alla legge, e la purificazione era data dalle quotidiane abluzioni. La predicazione poi verteva sulla collera di Dio e conseguenti castighi, da cui gli esigenti appelli penitenziali: digiuni, sofferenze, punizioni, obbedienza cieca. Tutto era rivestito di esasperato rigorismo da fare degli Esseni l’ala radicale del movimento farisaico.
Inoltre la comunità, organizzata secondo lo schema della divisione in classi, era succube di rituali, di gerarchie, di organigrammi, che la portavano a mettere in primo piano le esigenze istituzionali più che le aspirazioni delle persone.
Gesù di tutto ciò non si fece portavoce, ma si contrappose annunciando qualcosa di grandemente rasserenante che fosse per tutti buona notizia (eu-anghélion).
Ripartire da ciò
è estraneo al Vangelo
Si tratta specialmente per i religiosi/e di purificare la testimonianza del vero volto di Dio manifestatosi in Gesù Cristo, le cui parole, gesti e reazioni sono dettagli della rivelazione di Dio, il quale ha scolpito la sua vera immagine nella carne del Figlio.
Lo stile di vita di Cristo non era quello di un asceta in cerca di armonia personale, che percorre il deserto annunciando il giudizio irato di Dio, ma di colui che invece andava manifestando la vicinanza di un padre che perdona.Con lui la vita austera del deserto viene sostituita da uno stile di vita festoso.
Prese parte alla vita della gente comune, mangiò e bevve e si lasciò invitare a banchetto: era giunto il momento di sedersi a tavola con i peccatori, di condividere la tavola con gli esclusi dalla legge, facendo del banchetto, condiviso con tutti, il simbolo più espressivo di un popolo che accoglie la pienezza di vita voluta da Dio.
Per coloro che lo seguivano non pretese alcun martirio, né rinunce e sacrifici finalizzati a se stessi, né sollecitò particolari pratiche ascetiche. La sua nuova etica non era fondata su una concezione doloristica o sacrificale della religione: nel suo intento la vita va sacrificata – o meglio offerta – ma solo per rispondere con amore alla richiesta di vita, di qualità della vita e di salvezza del fratello bisognoso, povero, sofferente, peccatore. Per lui il sacrificio non è l’abbattimento di qualcosa o la morte di qualcuno per offrirli a Dio secondo la prassi delle religioni antiche. Il sacrificio che fece suo è quello di farsi carico della sofferenza della gente: la brutalità dei romani, l’oppressione che soffocava i contadini, la crisi religiosa del suo popolo. Se si avvicinava agli ammalati che nessuno curava, se alleviava il dolore delle persone, non era per offrire loro una pia visione della sventura, bensì per potenziarne la vita. Se si metteva dalla loro parte non era perché essi lo meritavano, bensì perché ne avevano bisogno.
Un altro dato identitario importante di Cristo era il non voler essere visto come maestro dedito a spiegare le tradizioni religiose di Israele, anzi lo si vedeva ribellarsi davanti a comportamenti patologici di radice religiosa come il legalismo, il rigorismo o il culto privo di giustizia. Era insofferente della religiosità dai toni esasperati (Mt 6,16s), per cui prendeva le distanze da un sistema ostentato, categorico, indebitamente sacralizzato, con forme di governo non trasparentemente sul versante del “servizio”, incapaci di far crescere i grandi processi evolutivi della società.
Soprattutto conobbe la tenerezza, sperimentò l’affetto e l’amicizia, difese le donne. Il suo agire e il suo dire non potevano non suscitare entusiasmo perché rispondeva a ciò che la gente desiderava più di ogni altra cosa: vivere con dignità. Solo una figura viva, e non un principio, può essere attraente. Così facendo ha inteso rivalutare la sfera umana del vitale, dei sentimenti, dei desideri.
L’uomo prima
della legge
Gesù non ha voluto essere il rappresentante di un rifiuto anarchico della legge ma volle insegnare a viverla in maniera nuova, ascoltando fino in fondo il cuore di un padre che si prefiggeva per i suoi figli una vita degna e felice. Per lui la prima cosa è la vita della gente: guarire, alleviare la sofferenza, ricostruire la vita. Non si nega che la legge sia un patrimonio, purché prevalga la tesi di per sé ovvia che il “sabato” è per l’uomo. C’è in tutto questo l’annuncio di un regno creato da un’azione rasserenante con il liberare dai timori generati dalla religione.
J.Ratzinger scrisse: «Realmente cristiano non è colui che osserva servilmente un sistema di norme, bensì colui che ha conquistato la vera libertà, giungendo così alla semplice e umana bontà, perché il vero e autentico discepolo è colui che, attraverso il suo spirito cristiano, è diventato pienamente umano». Con queste parole il papa emerito intende anche dire che un dato importante di Gesù è la sua libertà: anzitutto da se stesso, da eventuali interessi, dal suo buon nome: va a mangiare con i peccatori; si lascia lavare i piedi da una peccatrice. Libero nei confronti degli altri, dalla sua famiglia, dalla sua stessa religione, dal sistema giudaico chiuso ideologicamente in se stesso, con le sue consolidate tradizioni e i tabù cultuali del suo tempo.
Libero per liberare: di sabato opera numerose guarigioni, difende i discepoli che non digiunano (Mc 2,18-28); permise che i discepoli cogliessero delle spighe. C’è in tutto questo la proclamazione della centralità della salvezza dell’uomo rispetto a ogni legge e istituzione. Le leggi dunque non possono e non devono essere il contenuto della fede: non sono negate ma ci sono date in funzione della vita e a servizio di essa. Non si tratta di violare la legge, ma di fare, in concreto, dell’uomo la misura della legge.
Servono interpreti
della fantasia di Dio
Oggi il rinnovamento della vita religiosa attende un impegno di fantasia, in cui idee, princìpi, norme, sistemi abbiano la mobilità della vita. Il Concilio con il documento della Costituzione sulla Chiesa (Lumen Gentium) invita a «proporre l’immagine di una Chiesa aperta e incompiuta e pertanto suscettibile di ulteriori arricchimenti». Aperta significa non rinserrata all’interno di convinzioni e tradizioni acquisite. In siffatto sistema, a forza di conformità si perde la capacità di pensare in modo alternativo: da qui prende l’avvio il declino. È dunque tempo di espressioni nuove, evangelicamente originali che superino «la retorica di un discorso fatto di formule tramandate, che si ripetono stancamente in modo sempre uguale, senza più la forza di stupire, sconvolgere, provocare a pensare come invece faceva il linguaggio evangelico di Gesù».
Il punto da cui partire sta nel decidersi di passare dalla separazione alla “compagnia degli uomini”, per non continuare ad essere visti come «una casta di diversi che lentamente – dice il Papa - si separa differenziandosi dal suo popolo, facendo dell’identità una questione di superiorità».
Si tratta di stare nella storia come detto nella lettera a Diogneto (sec.II): «I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per abiti. Non abitano neppure città proprie, né usano una lingua particolare ma testimoniano uno stile di vita mirabile».
Vale a dire che l’identità della vita consacrata non può essere una identità esclusiva ma solo una identità comunicativa od ospitale. Si tratta di saper restare figli/e del proprio tempo, della società e della cultura in cui si è immersi, senza estraniarsi, per far emergere nella propria esistenza il modo di essere di ogni vita cristiana. «La sua preoccupazione – scrive il papa Francesco – non deve essere rivolta “dentro” se stessa, la sua organizzazione, i suoi documenti, le sue cerimonie. Questo rischia di essere un castello di carte senza il profumo del Vangelo» (EG 39), ma deve chiedersi che cosa apporta alla vita dei cristiani, perché non è una stufa quella che riscalda solo se stessa. Sarà allora da tenere in conto che se Cristo è venuto a cambiare il modo di essere uomini, la vita religiosa ha da esprimere la bellezza di sé come salvezza dell’uomo, di tutto l’uomo.
Oggi abbiamo una vita religiosa intraprendente, ma stanca per il bene che realizza. «Siamo bravi – scrive I.Rupnik–- ma …chi ci vuole seguire?.
È solo una vita religiosa bella che fa innamorare.
Rino Cozza csj