Giani Francesca
Attivare processi non occupare spazi
2018/10, p. 28
Un percorso per far fruttare i talenti ricevuti. Come gestire i beni immobili ispirandosi al Vangelo e non al mercato immobiliare.

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Testimoni
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La valorizzazione del patrimonio ecclesiastico
ATTIVARE PROCESSI
NON OCCUPARE SPAZI
Un percorso per far fruttare i talenti ricevuti. Come gestire i beni immobili ispirandosi al Vangelo e non al mercato immobiliare.
Durante la storica visita alla Fondazione Astalli nel settembre 2013, papa Francesco disse che «i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono vostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati».Il papa gesuita sembra parafrasare le parole scritte da Sant’Ignazio di Loyola in una lettera dell’11 luglio 1555 all’abate di Salas al quale raccomanda di liberarsi «la coscienza dei tanti beni ecclesiastici usati male, […] appartengono ai poveri, alle opere pie e, secondo i santi dottori, con grande ingiustizia si tolgono loro».Allora come oggi l’uso dei beni immobili della Chiesa è una questione importante che può contribuire all’evangelizzazione oppure scandalizzare. Con questo articolo si vuole raccontare come gestire i beni immobili ispirandosi al Vangelo e non al mercato immobiliare.
Di che si tratta?
Quali rischi evitare?
I grandi cambiamenti sociali e culturali che oltre all’Italia hanno attraversato anche la Chiesa cattolica hanno fatto sì che il patrimonio immobiliare ecclesiastico sia diventato di dimensioni eccedenti le necessità della Chiesa stessa. La gestione dei beni immobili è da anni uno dei problemi più spinosi degli enti ecclesiastici e la sua gestione richiede competenze molto specifiche da rintracciare nel mare magnum dei tecnici spesso inconsapevoli delle peculiarità dei beni ecclesiastici. Abbiamo molti immobili, spesso troppi, con vincoli importanti – artistici culturali o derivati da lasciti – e budget sempre più ridotti se non nulli per la gestione ordinaria o straordinaria che sia.
Chiamati alla povertà con in mano patrimoni immobiliari frutto di secoli, ci imbattiamo nella nuova panacea: la valorizzazione immobiliare. Ma di cosa si tratta? Quali i rischi da evitare? E come applicarla ai beni ecclesiastici?
Di valorizzazione legata ai beni temporali, la Chiesa cattolica parla da tempo. Ha lavorato alacremente e con frutti preziosi sul tema della valorizzazione dei beni culturali ecclesiastici – tema più sviluppato dalla Chiesa gerarchica che altrove. In relazione ai beni culturali e secondo le intenzioni di legge, la valorizzazione è intesa quale processo di produzione di rinnovato valore culturale. Ad esempio, si parla di valorizzazione culturale quando si attua un progetto di miglioramento della fruizione di tali beni, o si attivano nuovi modi di tutela per contrastare dispersione o danni. Non raramente ci si è fermati alla valorizzazione culturale del bene senza pensare alla sostenibilità economica di tale processo, creando situazioni con futuro assai incerto. In sintesi la valorizzazione culturale di un bene non sempre ha ottemperato anche alle necessità economiche per la sua gestione: si crea valore culturale, ma la gestione economica non ne riceve benefici e continua a pesare sulle spalle della proprietà.
La valorizzazione immobiliare tout court è invece un processo gestionale nato in seguito alla nascita di nuovi strumenti finanziari dedicati al settore immobiliare. Ha come finalità quella di raggiungere la massimizzazione del profitto derivato dalla locazione degli immobili e di aumentare il valore stesso delle proprietà. Ovvero quella di raggiungere il più conveniente e miglior uso dell’immobile (sia questo con valore culturale o meno) per la massimizzazione del valore di mercato del bene.
È un processo per ottimizzare la rendita dell’immobile che viene locato ad un importante canone di affitto dopo aver provveduto a opportuni investimenti relativi sia al raggiungimento della migliore destinazione d’uso, alla ristrutturazione, alla gestione del bene e delle locazioni. Occorrono competenze, tempo e soldi da investire.
Entrambe le valorizzazioni finora analizzate, valorizzazione di beni culturali e valorizzazione immobiliare, attivano un processo mediante il quale l’immobile accresce di valore (culturale o economico) attraverso un suo nuovo miglior uso. Il rischio che si corre è che, non essendo riusciti a gestire correttamente beni immobili con progetti di valorizzazione culturale, si abbraccino pedissequamente le strategie della valorizzazione immobiliare sostituendo le finalità intrinseche dei beni ecclesiastici (culto, onesto sostentamento del clero, opere di apostolato sacro e di carità) con quella della massimizzazione dei profitti propria della valorizzazione immobiliare.
Orientamenti
della CIVCSVA
Con gli Orientamenti Economia a servizio della carisma e della missione pubblicati nel marzo 2018 dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica per la prima volta in un documento vaticano si tratta il tema della valorizzazione del patrimonio immobiliare ecclesiastico (par.79) “Ferme le norme canoniche sulle autorizzazioni (cf. can. 638 parr. 3 e 4) gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica avviino un’approfondita riflessione sulle modalità per valorizzare il patrimonio immobiliare. Tali modalità siano compatibili con la natura di bene ecclesiastico, soprattutto quando rimane totalmente o parzialmente inutilizzato, così da evitare costi potenzialmente non sostenibili”.
Dopo un richiamo alla normativa canonica si chiede di avviare una approfondita riflessione sulle modalità per valorizzare il patrimonio immobiliare e poi si porta l’attenzione alla natura di tali beni quali beni ecclesiastici che, come sappiamo, esistono in quanto mezzi per raggiungere i fini della Chiesa. Sembra che il documento voglia mettere in guardia i proprietari del patrimonio immobiliare ecclesiastico. Dobbiamo fare qualcosa: abbiamo più immobili di quanti non ne abbiamo bisogno – parla infatti di immobili totalmente o parzialmente inutilizzati – e rischiamo di avere dei costi insostenibili! Attenzione però la soluzione non è quella di applicare una valorizzazione immobiliare come proposta ordinariamente. Si tratta, come suggerito nel corso del documento in relazione ai criteri di scelta (par. 51), di effettuare una valorizzazione immobiliare del patrimonio ecclesiastico seguendo principi di fedeltà a Dio e al Vangelo, fedeltà al carisma, povertà, ecclesiasticità dei beni, sostenibilità e necessità di rendere conto.
I beni immobili ecclesiastici necessitano di una particolare valorizzazione immobiliare che chiameremo valorizzazione immobiliare sociale. Si tratta di una valorizzazione non ordinaria che oltrepassa la ricerca della massimizzazione della redditività e promuove un nuovo modello di valorizzazione immobiliare legato alla produzione di beni ideali e al valore immateriale con obiettivi di inclusività e promozione sociale perseguendo criteri di sostenibilità ecclesiale, architettonica, ambientale ed economica a valere nel tempo.
Per comprendere il valore effettivo dell’intervento si dovrà eseguire una misurazione dei benefici e vantaggi sociali prodotti dall’intervento, che sebbene possano non essere riconosciuti materialmente a chi li produce, essi esistono e possono essere misurati. Per esempio, destinare l’immobile alla creazione di una mensa per i poveri – servizio gratuito – produce un beneficio agli utenti sebbene non sia riconosciuto economicamente. È possibile che la proprietà oggi non possa perpetrare il servizio ai poveri esistente da decenni se non da secoli per mancanza di risorse umane ed economiche, ma potrà raggiungere un accordo di cessione dell’immobile, sia questa onerosa o gratuita, con un ente con finalità coerenti con quelle della dottrina sociale della Chiesa capace di realizzare servizi in continuità con il carisma della proprietà e adeguati alla contemporaneità. Il nuovo gestore dovrà offrire inoltre comprovate competenze professionali e gestionali coniugate con solidità economica, sollevando la proprietà dai problemi e dalle spese di gestione dell’immobile.
Fedeltà al carisma
e alla missione
Si attuerà così una valorizzazione immobiliare sociale con usi in continuità con le finalità del bene e della proprietà, attuata impiegando mezzi adeguati ai fini.
A sostegno della specificità del concetto di valorizzazione immobiliare nel patrimonio ecclesiastico gli stessi Orientamenti al par. 15 citano papa Francesco riportando la seguente affermazione: «La fedeltà al carisma e alla missione resta, pertanto, il criterio fondamentale per la valutazione delle opere, infatti ‘la redditività non può essere l’unico criterio da tenere presente’ [Francesco, 2015]». Non si tratta di creare valore sociale attraverso il reinvestimento delle rendite del patrimonio a favore di opere sociali, ma di creare valore evangelico destinando direttamente l’immobile a ospitare attività in continuità con le finalità – il carisma – della proprietà. Pensiamo a quali importanti trasformazioni della società potrebbero avvenire se gli immobili ecclesiastici oggi sottoutilizzati fossero messi in sinergia con progetti destinati a produrre nuovi posti di lavoro per i giovani!
Così come ai servi della parabola dei talenti anche a noi non è chiesto quante monete desideriamo o crediamo di essere in grado di gestire. Il padrone, nella sua sapienza, ci ha affidato un tesoro immobiliare da usare per testimoniare il Vangelo e da non lasciare inutilizzato.
Papa Francesco nella visita al centro Astalli ricordava che i conventi vuoti non sono vostri, sono per la carne di Cristo, sant’Ignazio aggiunge che appartengono ai poveri e con grande ingiustizia si tolgono loro.
Con questo spirito le figlie di Betlem hanno stretto un accordo con l’Associazione Comunità e Famiglia, che promuove comunità di famiglie, per la cessione di un loro immobile nella provincia di Varese. L’incipit del comodato riporta: L’Istituto Figlie di Betlem concede che questo suo bene, che la generosità e la dedizione di tanti hanno contribuito a creare ed a conservare fino ad ora, sia a disposizione dell’associazione ACF perché possa continuare, nelle forme nuove suggerite dal mutare dei tempi e dalle esigenze delle persone, a perseguire quelle finalità che sono implicite nel carisma dell’Istituto.
Se un istituto non riesce per vari motivi a gestire un immobile che da bene è divenuto peso, è opportuno domandarsi chi possa continuare, nelle forme nuove suggerite dal mutare dei tempi e dalle esigenze delle persone a perseguire quelle finalità che sono implicite nel carisma dell’Istituto.
Lo Spirito Santo soffia ed è possibile, nonché urgente, mettere a servizio del Vangelo i beni che la generosità e la dedizione di tanti hanno contribuito a creare ed a conservare fino ad ora.
Francesca Giani