Matté Marcello
Chiesa ortodossa ucraina: questione locale, problema globale
2018/10, p. 26
Nel dialogo ecumenico lo scacco non è una vittoria. La tesissima “partita” che si sta giocando all’interno della Chiesa ortodossa sullo scacchiere ucraino ha visto una mossa in più, ma una chance in meno per una soluzione ecumenica.

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Chiesa ortodossa ucraina : questione locale, problema globale
Nel dialogo ecumenico lo scacco non è una vittoria. La tesissima “partita” che si sta giocando all’interno della Chiesa ortodossa sullo scacchiere ucraino ha visto una mossa in più, ma una chance in meno per una soluzione ecumenica.
I termini della questione
Nel giugno del 1992 il metropolita Filarete della Chiesa ortodossa ucraina ha ritirato la direzione della Metropolia di Kiev e dell’intera Ucraina dal Patriarcato di Mosca e ha fondato la Chiesa autocefala ucraina – Patriarcato di Kiev – nella quale ha assunto nel 1995 il titolo di patriarca. In passato erano stati mossi passi dalla Chiesa ucraina per ottenere il riconoscimento di Costantinopoli. A dicembre 2017 i russi riuniti per il Sinodo giubilare (in occasione del centenario della restaurazione del Patriarcato) si videro recapitare una lettera di Filarete nella quale chiedeva «di mettere fine alla divisione e ai conflitti fra cristiani ortodossi, ristabilendo la comunione nell’eucaristia e nella preghiera». A Sinodo ancora aperto, però, Filarete ha smentito l’intenzione di ritornare nella Chiesa russa e ha accusato il Sinodo di aver equivocato la sua lettera. Ha anche annunciato il proprio sostegno a ogni iniziativa volta a ottenere dal patriarca ecumenico il riconoscimento dell’autocefalia per la Chiesa ortodossa ucraina.
Dopo che il presidente Petro Porošenko ha recapitato personalmente a Costantinopoli (9 aprile) la richiesta del tomos dell’autocefalia (esplicitando la saldatura tra questione ecclesiale e questione politica), il 3 maggio Filarete ha confermato di esserne l’ispiratore; ne ha declinato le ragioni («L’Ucraina rimane l’unico Paese con una popolazione prevalentemente ortodossa, che non ha una propria Chiesa locale riconosciuta»), e ha legittimato l’interpretazione della richiesta in chiave antirussa.
Senza via (agevole) di uscita
Al Patriarcato ecumenico (Costantinopoli) spetta avviare la procedura per accogliere o respingere la richiesta di autocefalia di una Chiesa. Si è venuto a trovare così tra due fuochi, senza nessuna possibile soluzione indolore. Concedere l’autocefalia significherebbe riaffermare il proprio ruolo in seno all’Ortodossia e rappresenterebbe un allargamento significativo dell’influenza di Costantinopoli per i prossimi decenni; quell’influenza che il recente Grande e santo Sinodo non è riuscito a rappresentare. Ma produrrebbe una rottura drammatica con Mosca e forse con altre Chiese. Non concedere l’autocefalia verrebbe inevitabilmente letto come un’abdicazione al proprio ruolo, un cedimento alle pressioni – anche esterne – che potrebbe consegnare all’insignificanza la vocazione ecumenica dell’unico patriarcato al quale è riconosciuta.
Il Patriarcato di Mosca, che amministra attualmente circa i due terzi delle parrocchie in Ucraina, ha contestato la legittimità della richiesta di Porošenko-Filarete in quanto proveniente da una Chiesa scismatica. Il metropolita Hilarion Alfaeev, presidente del Dipartimento degli affari esteri (Kirill non è intervenuto), afferma, per quanto “a titolo personale”: «Non voglio nemmeno tentare di immaginare cosa potrebbe succedere il giorno dopo [la concessione dell’autocefalia al Patriarcato di Kiev, ndr]. La divisione in seno all’Ortodossia universale, che sarebbe la conseguenza inevitabile di questa mossa sbagliata, potrebbe essere paragonata alla divisione fra Oriente e Occidente del 1054. Se si producesse qualcosa del genere, seppelliremo l’unità dell’Ortodossia».
I termini canonici
La concessione dell’autocefalia compete al Patriarcato ecumenico (Bartolomeo). Il Patriarcato di Kiev (Filarete) legittima la richiesta appoggiandosi sia alla consuetudine, diffusa nell’Ortodossia, delle Chiese nazionali, sia alla genealogia storica della Chiesa in Ucraina. Nel 1448, a seguito del rifiuto di accettare l’Unione di Firenze, la Chiesa ortodossa in territorio russo prese lo stato di autocefalia, senza approvazione di Costantinopoli. Solo nel 1589 il patriarca di Costantinopoli Geremia II formalizzò con il suo decreto la nomina di san Job a patriarca di Mosca e di tutta la Russia. Ma «l’Ucraina è sempre rimasta un territorio canonico della Chiesa di Costantinopoli», lungo il variare storico dei confini nazionali e delle appartenenze.
Ombre lunghe
Dopo l’incontro al Fanar (31 agosto) tra Kirill e Bartolomeo e l’annuncio dello spostamento dal 10 settembre al 9 di ottobre della prossima sessione del Santo Sinodo della Chiesa di Costantinopoli, il patriarca ecumenico ha inviato due esarchi in Ucraina a cercare «i mezzi canonici ottimali per guarire e superare lo scisma esistente» (arcivescovo Job).
Mosca ha stigmatizzato la mossa come «intrusione illegale nel proprio territorio canonico» e Hilarion ha aggiunto che Costantinopoli «rischia di provocare uno scisma nell’ortodossia universale. Se Costantinopoli porta a compimento il suo perfido piano di concessione dell’autocefalia ... non avremo altra scelta se non rompere la comunione con Costantinopoli» (l’intervista è stata concessa alla catena televisiva Rossia 24 e ripresa da Ortodoxie.com).
Il Patriarcato ecumenico opera in una situazione inchiodata e sarà comunque alto il prezzo che l’intera Ortodossia si troverà a pagare. La questione ucraina non è locale. Anche le minacce scismatiche di Mosca potrebbero però sortire un paradossale effetto boomerang, a detrimento del Patriarcato di Mosca che si vedrebbe privato del suo grembo, del bacino di provenienza di grande parte dei suoi pastori e di un’ampia porzione del suo gregge. Per non dire dell’occasione storica che Mosca avrebbe perso di accreditarsi in chiave ecumenica e salvare l’Ortodossia anziché spaccarla in due.
Marcello Matté