L'unico populismo possibile
2018/10, p. 21
Dietro ai populismi in Europa c’è sempre il bisogno di un
messia con l’obiettivo di preservare l’identità di un
popolo, ma i grandi politici del dopoguerra hanno
immaginato l’unità europea: “una cosa non populista” ma
una fratellanza di tutta l’Europa.
Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.
Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Europa tra populismo e democrazia
L’UNICO POPULISMO
POSSIBILE
Dietro ai populismi in Europa c’è sempre il bisogno di un messia con l’obiettivo di preservare l’identità di un popolo, ma i grandi politici del dopoguerra hanno immaginato l’unità europea: “una cosa non populista” ma “una fratellanza di tutta l’Europa”.
Papa Francesco, durante la recente visita in Sicilia, ha toccato in modo originale anche il tema del populismo indicando l’esempio di don Puglisi: «Non pensare a te stesso, non fuggire dalla tua responsabilità, scegli l’amore! Senti la vita della tua gente che ha bisogno, ascolta il tuo popolo. Abbiate paura della sordità di non ascoltare il vostro popolo. Questo è l’unico populismo possibile: ascoltare il tuo popolo, l’unico “populismo cristiano”: sentire e servire il popolo, senza gridare, accusare e suscitare contese» (Omelia durante la Messa nella memoria liturgica del beato Pino Puglisi, Palermo 15/9/2018). In un’intervista concessa al settimanale tedesco “Die Zeit” nel 2017, Bergoglio ha espresso la sua preoccupazione circa i populismi in Europa, dietro i quali c’è sempre il bisogno di un messia con l’obiettivo di preservare l’identità di un popolo, e ha ricordato come i grandi politici del dopoguerra hanno immaginato l’unità europea: “una cosa non populista” ma “una fratellanza di tutta l’Europa, dall’Atlantico agli Urali. E questi sono i grandi leader che sono capaci di portare avanti il bene del paese senza essere loro al centro. Senza essere messia”.
Una visione semplificatoria
della complessità
Ovviamente negli ultimi sessant’anni il mondo è molto cambiato: «Se i Padri fondatori, che erano sopravvissuti a un conflitto devastante, erano animati dalla speranza di un futuro migliore e determinati dalla volontà di perseguirlo, evitando l’insorgere di nuovi conflitti, il nostro tempo è più dominato dal concetto di crisi. C’è la crisi economica, che ha contraddistinto l’ultimo decennio, c’è la crisi della famiglia e di modelli sociali consolidati, una diffusa “crisi delle istituzioni” e la crisi dei migranti: tante crisi, che celano la paura e lo smarrimento profondo dell’uomo contemporaneo, che chiede una nuova ermeneutica per il futuro» (Discorso del papa ai Capi di stato e di governo dell’Unione Europea, nel 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma, 24/3/2017).
In queste affermazioni del pontefice si evidenziano tutti gli ingredienti di una globalizzazione complessa in cui si sviluppano i germi del populismo: leadership autocentrata e senza visione (i Padri europei invece avevano il talento per servire il proprio paese senza mettersi al centro); inefficienza di una classe dirigente nel governare l’economia finanziaria (la crisi economica esplosa nel settembre 2008, in seguito al crac della banca d’affari americana Lehman Brothers, ha distrutto i risparmi di milioni di cittadini); impoverimento delle classi medio-basse con concomitanti crisi della famiglia, dell’occupazione e del welfare; inadeguatezza del metodo intergovernativo per far fronte alle ondate migratorie gestite dai Paesi di arrivo.
Il concetto di “populismo” è riconducibile a un nucleo ideale che si trova in regimi, movimenti e idee anche lontani tra loro nel tempo e nello spazio (sia a destra che a sinistra). Non è un’ideologia, ma una sommaria e diffusa visione del mondo. Al centro di tale nucleo ideale emerge una idea di ‘popolo’ che da un lato è visto come il depositario della sovranità (il populismo è un attore che agisce nell’orizzonte della democrazia), mentre dall’altro lato è inteso come una ‘comunità omogenea di storia e di destino’, dove il singolo è subordinato all’insieme. Il populismo si presenta anche come il detentore del monopolio della virtù: a seconda dei paesi, incarna l’identità nazionale, una matrice etnica o religiosa, la moralità e la giustizia sociale. Il populismo è ‘popolare’ perché promette due beni primari: protezione e identità. Perciò tutto ciò che attenta all’omogeneità del popolo va combattuto per salvaguardare la salute dell’organismo comunitario. Così l’immaginario manicheo populista separa il mondo in amici e nemici. La guida del popolo (omogeneo e univoco) è messa nelle mani di un leader di tipo politico-carismatico, circondato anche da un alone religioso.
Reazione al neo-liberalismo
tecnocratico
Rispetto a certi vecchi populismi (cf. i movimenti ‘qualunquisti’ nati dopo la II Guerra mondiale in Francia col sindacalista Pierre Poujade e in Italia col giornalista Guglielmo Giannini), emerge oggi un populismo dal “nuovo stile”. La crisi economica, il crollo delle ideologie, la pressione migratoria, gli scandali di corruzione e una politica tecnocratica non hanno fatto altro che allontanare gli elettori dai partiti tradizionali. Allora, sempre più spesso la popolazione preferisce dare la propria fiducia a “partiti di protesta”. La protesta, come già detto, può essere indirizzata verso le élite politiche o economiche, ma anche verso gli organismi sovranazionali colpevoli di aver indebolito le sovranità nazionali a discapito del benessere della popolazione. La reazione populista, di fatto, esprime un’alternativa alla modernità espressa dalle rivoluzioni liberal-costituzionale e capitalista. Perciò si arriva ad affermare che i nuovi partiti populisti europei rappresentano la contrapposizione al potere di un’oligarchia liberale che ha omologato la destra e la sinistra dell’arco elettorale. Secondo questa lettura, una debole élite transnazionale va a sovrapporsi alle élite nazionali finendo per alimentare spesso la mistica “sovranistica” del capo “salvatore” della Patria.
Il sociologo britannico Colin Crouch descrive il populismo del XXI secolo come un prodotto della “post-democrazia”: una degenerazione della democrazia nella quale, anche se le elezioni continuano a svolgersi e condizionare i governi, il dibattito culturale è spettacolo condotto da gruppi rivali di esperti in tecniche di persuasione e concentrato su un numero di questioni selezionate da questi stessi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente e apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve (Crouch, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari 2003, p.7). Da un’altra prospettiva, lo psicanalista Massimo Recalcati conferma questa lettura con il concetto di “evaporazione della politica”: conseguenza di un vento contrario alle istituzioni, ritenute colpevoli di imporre un limite al principio dell’appagamento immediato dei singoli. A questo punto, senza la faticosa opera di mediazione degli interessi particolari – avverte Recalcati – la vita della città può diventare facilmente preda della tentazione autoritaria (il padre-padrone che impone l’ordine) e di una paranoica demagogia asservita all’ottenimento del più largo consenso a ogni costo, favorendo così una disgregazione del concetto di ‘rappresentanza’.
Gruppi populisti
nel Parlamento europeo
Nelle elezioni europee del 2014 sono usciti allo scoperto i volti e i programmi di forze politiche anche minuscole (grazie al sistema proporzionale) che però insieme hanno raccolto milioni di voti, coalizzandosi in due gruppi al Parlamento di Strasburgo su basi euroscettiche e nazionaliste: il gruppo Europa della Libertà e della Democrazia diretta (EFDD) e il gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà (ENF). Tutte queste forze hanno un minimo comune denominatore: la negazione del pluralismo e delle diversità, il contatto diretto col popolo senza mediazioni, l’eliminazione delle categorie di destra e di sinistra politica (recentemente il 63% degli italiani ha dichiarato di non credere più né alla destra né alla sinistra), la comunicazione autoreferenziale attraverso i social network o i blog personali (con il linguaggio della post-verità: se una notizia è falsa e tuttavia viene condivisa da molti, è accreditata come vera), la logica continua del referendum popolare (scelta binaria e secca del sì o del no) che aggira il dibattito democratico, la visione moralistica della politica contrapponendo l’idea del ‘popolo puro’ alle élite corrotte (cf. Francesco Occhetta, Populismi, La Civiltà Cattolica, 2017 II, pp. 547 ss.).
Nel complesso questo populismo occidentale può definirsi come una “periferia interna” alla democrazia rappresentativa, il cui spazio si allarga nel clima politico d’incertezza. Alcuni studiosi ritengono che i populismi abbiano alcune virtù (democrazia della gente ordinaria contro la politica dei partiti; attenzione agli interessi dei molti contro quelli dei pochi; costruzione dal basso della volontà popolare), mentre quelli più critici ritengono che essi portino alla cosiddetta “popolocrazia” (il “demos”,il principio di cittadinanza, titolare di diritti e doveri, viene ridefinito in “popolo”), che nega la partecipazione reale e convince le persone a partire dalle paure e dall’idea salvifica di nazionalismo. Si tratta di una “comunità indistinta”, unita dai confini e dai nemici (cf. I. Diamanti, “Dalla democrazia alla popolocrazia”, La Repubblica, 20/3/2017).
Una lettura complessiva dell’universo populista emerge dal Dossier della Fondazione David Hume per il Sole 24 Ore (Geografia del populismo in Europa. La mappa completa delle forze populiste o euroscettiche nel Parlamento Europeo), dove sono analizzate le performance di tutti i partiti che hanno ottenuto almeno un seggio alle elezioni europee del 2009 o del 2014, e che presentano tratti euroscettici e/o populisti. Dalla ricerca si evidenzia un fenomeno piuttosto variegato: «Se si fa uno zoom e si guarda nel dettaglio, si vede che il fronte euroscettico che si è imposto a Bruxelles non è affatto un blocco omogeneo, ma una realtà ricca di sfumature. La Grecia rappresenta in questo un caso emblematico. Nel paese si sono affermate non solo forze euroscettiche/populiste di destra, ma anche di sinistra. Da un lato vi è “Alba Dorata” che rappresenta un euroscetticismo e un populismo hard e che, come avviene per la maggior parte dei partiti populisti di destra, si fa portavoce di una critica piuttosto radicale all’Europa. L’identità e la cultura nazionale sono le loro priorità, aspetti che invece la UE tenderebbe a minacciare. Dall’altra parte vi è “Syriza” che, al contrario, ha scelto di seguire una linea più soft preferendo insistere su una trasformazione anziché su una dissoluzione dell’Europa. Ciò che chiede, come avviene spesso per altri partiti euroscettici/populisti di sinistra, è piuttosto la fine delle politiche di austerità e la creazione di un’Unione più democratica, equa e solidale».
Nuove strade della speranza
e della solidarietà
Dalla mole di dati si evince che l’ondata populista/euroscettica si è diffusa un po’ ovunque. «Di certo la difficile situazione economica ha fatto da volano, ma la crisi non sembra essere l’unica ragione che sta alla base del voto di protesta. La Germania o la Svezia non hanno subito gli effetti profondi della crisi, eppure anche qui il fronte euroscettico/populista ha conquistato terreno. La spiegazione del fenomeno non deve quindi forse essere ricercata nella sola sfera economica, ma si deve allargare il proprio orizzonte di ricerca». L’avanzata degli euroscettici/populisti è un forte messaggio ai partiti tradizionali affinché si accorgano del malessere odierno nel continente. Quanto più la politica di una élite governativa omette di dare risposte ai reali problemi sociali, tanto più crescono i populismi con le loro soluzioni semplicistiche. Essi sono in grado di fare diagnosi sociali corrette e di percepire le ragioni della protesta; presentano invece soluzioni discutibili messe in mano a classi politiche improvvisate. Su questa linea interpretativa ci sembra porsi anche papa Francesco quando sottolinea che è responsabilità dei governanti discernere le strade della speranza, i percorsi concreti affinché i passi significativi compiuti in Europa non si disperdano. Davanti ai capi europei, il pontefice ha volutamente ricordato che la UE nasce come unità delle differenze e unità nelle differenze, e che la solidarietà è “il più efficace antidoto ai moderni populismi”, i quali fioriscono dall’egoismo che chiude le nazioni in un cerchio soffocante: «Occorre ricominciare a pensare in modo europeo, per scongiurare il pericolo opposto di una grigia uniformità, ovvero il trionfo dei particolarismi».
Mario Chiaro