Per invecchiare in santa pace
2018/10, p. 12
La terza età è il periodo in cui, se da un lato i
cambiamenti fisiologici segnano il declino del corpo,
dall’altro la persona può riscoprire gli obiettivi spirituali
della sua vita che, se pienamente valorizzati, permettono
di integrare le tante cose realizzate nelle fasi precedenti.
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Appunti psicologici per un’anzianità felice
PER INVECCHIARE
IN SANTA PACE
La terza età è il periodo in cui, se da un lato i cambiamenti fisiologici segnano il declino del corpo, dall’altro la persona può riscoprire gli obiettivi spirituali della sua vita che, se pienamente valorizzati, le permettono di integrare le tante cose realizzate nelle fasi precedenti.
“Posso invecchiare in santa pace?”, così si esprimeva un anziano religioso, depositato in una casa di riposo, dove poteva essere accudito da infermieri premurosi ed attenti per la sua infermità alle gambe. Quando entrano nel tempo dell’anzianità, anche i religiosi e le religiose portano con loro il desiderio di poter invecchiare in “santa pace”, visto che per tanto tempo si sono prodigati, attivati, preoccupati, delle tante cose che li hanno coinvolti e che hanno portato avanti con tanto zelo.
Del resto, l’età anziana è una realtà oggigiorno fin troppo evidente nella vita consacrata: ce lo dicono le statistiche con i loro numeri impietosi, ce lo dicono i Capitoli generali incentrati su come invecchiare meglio, ce lo dicono gli Economati generali preoccupati a mantenere sotto controllo gli alti costi delle infermerie... “Una volta le bacheche delle comunità servivano per mettere le foto dei giovani professi…”, commentava con rammarico un Provinciale, “ora invece si riempiono dei volti di quanti ci hanno lasciato per il paradiso”.
Eppure, in questa panoramica, la missione profetica dei religiosi e delle religiose non può considerarsi meno profetica. Se è vero che per tutta la vita la persona cresce, si sviluppa, migliora, ciò è ancora più vero quando il corpo comincia a cedere dando segnali di invecchiamento, consapevoli come San Paolo che «quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12, 10).
Ad ognuno
la propria vecchiaia
«C'è una giovinezza dello spirito che permane nel tempo: essa si collega col fatto che l'individuo cerca e trova ad ogni ciclo vitale un compito diverso da svolgere, un modo specifico d'essere, di servire e d'amare». La chiamata a una pienezza di vita attraverso la propria risposta vocazionale non può essere determinata dal tempo o dalle stagioni della propria esistenza, ma continua in ogni momento della propria vita.
Occorre quindi considerare la crescita umana come un compito aperto e una continua riscoperta della propria vocazione a essere modellati secondo il progetto di Dio. Tale “regola esistenziale” è valida per i giovani, ma anche per i meno giovani.
Guardare alla maturazione come un processo permanente permette di uscire da una visione riduttiva di una vecchiaia che incalza come un male inevitabile, e apre alle opportunità di crescita presenti anche quando il corpo declina, scoprendo quelle risorse che aiutano a rinnovarsi e a procedere verso una meta che ha già dato senso all’intera esistenza, e che ora rinnova la visione della persona anche quando è più difficile.
«Il processo formativo, come s’è detto, non si riduce alla sua fase iniziale, giacché, per i limiti umani, la persona consacrata non potrà mai ritenere di aver completato la gestazione di quell’uomo nuovo che sperimenta dentro di sé, in ogni circostanza della vita, gli stessi sentimenti di Cristo. La formazione iniziale deve, pertanto, saldarsi con quella permanente, creando nel soggetto la disponibilità a lasciarsi formare in ogni giorno della vita».
In questa visione prospettica è fondamentale considerare la centralità della dimensione spirituale dell’uomo, poiché essa qualifica lo sviluppo, dando un senso di continuità centrato sui valori, in cui l’adattamento o il cambiamento non è più finalizzato ad un “aggiustamento” per accontentare gli anziani a non star troppo male con il loro disagio, ma è orientato verso la realizzazione di un progetto vocazionale di vita piena, dove trovano posto le diverse esperienze che l’individuo ha sperimentato nel passato, e sono tutt’ora vive nel presente di ogni persona anziana.
Del resto, come lo sviluppo non avviene in modo uniforme in tutte le dimensioni della persona, ma si differenzia a seconda delle situazioni che la persona vive di età in età, anche l’anzianità può essere vissuta in modo diverso a seconda della propria individualità. Anche nella vecchiaia ciascuno può vivere le proprie risorse ma anche le proprie fatiche, in modo diverso, a seconda della propria storia e della propria capacità a tollerare i dolori e le debolezze del proprio corpo. Quindi anche nell’età della vecchiaia lo sviluppo non segue una sequenza lineare uguale per tutti, ma i contesti e le modalità di sviluppo di ciascuno possono essere molto diversi e ognuno li vive dando valore al proprio modo di affrontare questa tappa così importante al termine della propria vita.
Luci ed ombre
dell’invecchiamento
Quando le persone invecchiano, vanno incontro a un processo di modificazione delle loro strutture psico-fisiologiche e della loro funzionalità. Tale processo avviene con modalità e ritmi molto differenziati nei singoli, anche a causa di diversi fattori che possono influire in modo particolare.
Infatti, nel processo di invecchiamento si assiste a tutta una serie di mutamenti che si riflettono sulle condizioni di vita e sulle funzioni psico-biologiche del soggetto, quali l’involuzione psico-fisica, l’indebolimento delle capacità intellettive, la riduzione della capacità lavorativa, un certo ripiegamento su se stessi. Questi elementi portano a forme di disadattamento anche gravi, strettamente legate all’età, fino a perdere progressivamente interesse per il mondo esterno, e a concentrarsi invece sul proprio mondo interno.
Però, nonostante tutti questi fattori di perdita, negli anziani ci sono alcuni aspetti che riflettono una certa vivacità psicologica in ambiti dove si sentono ancora attivi ed energici. Nei settori dove nutrono i loro interessi, le persone anziane si manifestano sicure e determinate, quando devono chiedere, reclamare, lamentarsi, brontolare… Se poi riescono a canalizzare tale vitalità in ambiti specifici, il loro apporto può essere particolarmente prezioso. Basti pensare a quegli anziani che nelle comunità hanno qualche compito da portare avanti: il loro coinvolgimento e il loro entusiasmo a volte sorprende il resto della comunità, al punto che non sanno come fare quando diventa troppo! “Quando gli ho chiesto di stare alla porta per qualche ora, mi ha subito detto di sì”, diceva un superiore parlando del suo confratello 92enne. “Ma ora che è tornato il responsabile della portineria, spostarlo è diventata un’ ardua impresa...”.
Come valorizzare la persona, pur consapevoli dei suoi limiti? Anzitutto, occorre credere che il suo apporto è prezioso. Non basta “accontentarla” perché dia meno fastidio, occorre valorizzarla consapevoli che la sua diversità concorre effettivamente al bene comune, limitatamente a ciò che può fare.
Tale consapevolezza reale riguarda anche la persona anziana: deve imparare a considerare i suoi limiti come un’opportunità a saper ridimensionare il suo apporto, consapevole che quello che fa è un dono da custodire.
«L’atteggiamento positivo in questo periodo delicato lo induce, innanzitutto, all’accettazione della realtà e alla sua considerazione soprannaturale. La comprensione umana e cristiana da parte dei fratelli e un’occupazione adeguata alle sue forze lo aiuteranno a sfruttare in pienezza questo momento di grazia».
Rispondere positivamente
alle sfide dell’anzianità
La terza età è il periodo in cui, se da un lato i cambiamenti fisiologici segnano il declino del corpo, dall’altro la persona può riscoprire gli obiettivi spirituali della sua vita che, quando sono pienamente valorizzati, le permettono di integrare le tante cose realizzate nelle fasi precedenti.
In questo tempo l’individuo ha il compito di vivere un senso di gratitudine per quanto ha vissuto e per quanto ha realizzato, con quella saggezza interiore che è frutto di un lavoro di integrazione delle proprie esperienze passate. Con la memoria viva di ciò che ha costruito, egli può ancora aprirsi alle novità che la vita gli offre, e dare una luce nuova agli eventi, pur consapevole che il suo è un tempo di precarietà. L’ultima possibile speranza è quella di ricapitolare il tanto lavoro fatto, integrando in modo unico e irripetibile le molteplici attività realizzate lungo il corso della sua vita.
La sensibilità alle motivazioni profonde e spirituali, che hanno già caratterizzato e orientato il suo comportamento, gli permette adesso di scoprire nuove potenzialità, con cui rapportarsi con l’ambiente e con se stessi.
Pertanto anche gli anziani – come succede ad ogni età della vita –possono ottimizzare i tempi e le risorse, ma anche compensare le deficienze che emergono, con un nuovo modo di contribuire a costruire il bene comune. La consapevolezza che i loro limiti possono essere uno stimolo per cogliere nuove opportunità, per guardare in avanti con fiducia, li sprona a continuare con fiducia il cammino di fede che ha caratterizzato la loro storia vocazionale.
Quando riescono a mantenere questa continuità motivazionale, profondamente legata al senso stesso della sua chiamata alla vita consacrata, potranno discernere le esperienze in cui essere ancora protagonisti, conservando il loro spirito attivo ed integrando le loro esperienze passate con la fiducia di poter essere ancora utili alle generazioni future.
«È opportuno che anche le persone consacrate si preparino da lontano ad invecchiare e ad allungare il tempo “attivo” imparando a scoprire la loro nuova forma di costruire comunità e di collaborare alla missione comune, attraverso la capacità di rispondere positivamente alle sfide proprie dell’età, con la vivacità spirituale e culturale, con la preghiera e con la permanenza nel settore del lavoro fino a quando è possibile prestare il loro servizio, anche se limitato».
Se pensiamo agli anziani presenti nelle comunità religiose e al progressivo invecchiamento di tante congregazioni, è importante avere questa continua prospettiva di maturazione, non solo per evitare di creare dei luoghi di “parcheggio” (per prepararsi a morire bene), ma soprattutto per rivalutare questa tappa del ciclo di vita come un tempo privilegiato di formazione, sia per chi è anziano che per coloro che vivono attorno a lui.
È questa spinta a vedere in modo diverso la propria esistenza, intesa come realizzazione permanente di una vocazione comune, che incoraggia, anche al tramonto della vita, ad assumersi la responsabilità di dare un senso ai propri vissuti, pur se in condizioni fisiologiche di disagio o di malattia. Anche nella vecchiaia, il valore della persona come protagonista del suo sviluppo porta a considerare il significato intrinseco degli eventi e delle esperienze, per integrarli nel cammino di piena realizzazione dell’intera esistenza.
Giuseppe Crea, mccj
sociologo, psicoterapeuta