Paganoni Antonio
Aborigeni periferia sconosciuta
2018/10, p. 9
La Chiesa cattolica e la Chiesa anglicana, la prima ad essere riconosciuta in terra australiana, seguite da altre denominazioni protestanti, sono rimaste distanti dal mondo culturale aborigeno. Le conseguenze sul presente.

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Australia
ABORIGENIPERIFERIA SCONOSCIUTA
La Chiesa cattolica e la Chiesa anglicana, la prima ad essere riconosciuta in terra australiana, seguite da altre denominazioni protestanti, sono rimaste distanti dal mondo culturale aborigeno. Le conseguenze sul presente.
Papa Francesco usa spesso un’espressione: periferia... Espressione che, volutamente, viene usata dal mondo cattolico per volgere lo sguardo e la preoccupazione della comunità cattolica mondiale verso realtà poco o per nulla conosciute, o, forse, meno coltivate o coltivabili, comunque uno desideri interpretare le strategie missionarie della Chiesa cattolica verso comunità in continua espansione, anche conoscitiva. Certamente un interesse non di natura folcloristica o con mire o interessi turistici.
L’Australia si trova agli antipodi dell’Italia ed è lì che vivono gli aborigeni.
Questo popolo è diviso in diverse tribù, ciascuna con i propri costumi e con la propria lingua (al presente si possono contare una ventina di dialetti) e vive in Australia, secondo reperti archeologici, da circa 50.000 anni (la parola “aborigeno” proviene dal latino “ab origine” acquisita, poi, dalla lingua inglese a partire dal 18mo secolo). In tempi remoti con un viaggio lungo e sicuramente pericoloso, un manipolo di avventurosi, provenienti dall’Africa, dal lontano oriente e dall’arcipelago indonesiano si è insediato nel continente più inospitale del pianeta terra per aridità e scarse risorse idriche. Son vissuti in un isolamento completo, assoluto, senza alcun contatto con altre popolazioni per 50.000 anni.
L’esploratoreCaptain James Cook
L’esploratore inglese Captain James Cook, nel 1788, con un equipaggio europeo, fu il primo “straniero” a mettere piede in Australia: il sesto Paese al mondo per estensione (7.617.110.km², in gran parte desertificato), ma non per popolazione (24 milioni di abitanti, di cui circa 350.000 indigeni). James Cook era un esploratore per passione. Era al servizio dell’Inghilterra, a quel tempo in piena missione(!) colonizzatrice di territori da sfruttare e popoli “primitivi e/o selvaggi” da civilizzare con l’uso di parametri consueti ma sicuramente unilaterali. Principio applicato in tutte le sue colonie, ma soprattutto nella lontana e isolata terra australis.
Con la proclamazione di annessione al Regno Unito dei territori sulla costa orientale e occidentale, promovendo il proprio tornaconto con il principio “terra nullius”, il nuovo continente veniva a poco a poco strappato senza pietà ai suoi abitanti originari. La terra amata e venerata dagli aborigeni per decine di migliaia di anni iniziava il suo cammino di inesorabile sfruttamento ad opera dei suoi nuovi abitanti e potenti multinazionali alla ricerca di minerali preziosi, non ultimo l’uranio, principale componente per la costruzione di ordigni di distruzione di massa con la semplice pressione di un pulsante.
Declino della culturaaborigena
Il principio di Terra-Madre alla base della cultura aborigena iniziava una lenta e graduale demolizione dei valori spirituali incentrati su un rapporto trascendentale con la terra e sulla fede nel Dream time o Tjukurpa = sogno.
Questo “sogno” è un fenomeno che non è legato al sonno ma a una dimensione fuori del tempo, del tempo prima del tempo, dove la terra era ancora un luogo piatto, vuoto, dove non esistevano neanche le stelle, seguito, poi, dal mito della creazione espressa nel monolito più grande del mondo, l’Uluru. Secondo questa mitologia, sotto la superficie della terra esistevano esseri soprannaturali e increati. Il tempo ebbe inizio quando questi esseri soprannaturali (antenati totemici) si svegliarono e spuntarono sulla superficie terrestre, dando forma e vita a uomini, donne e anche animali, come canguri, dingo o emu e simili. Il suolo australiano è come un labirinto di percorsi e impronte lasciate dagli antenati totemici. Gli aborigeni di tutti i tempi non resistono all’impulso di ripercorrere le antiche vie dei canti, ripetendo le parole e i suoni degli antenati nei loro lunghi e faticosi viaggi. Si tratta del cosidetto walkabout (anno sabbatico, diremmo noi) a cui ogni adolescente non può sottrarsi. Arriva, cioè, il momento di partire e di lasciare la propria famiglia e il proprio gruppo per inoltrarsi, senza meta fissa, tra le vie dei canti.
Il pensiero scientifico occidentale fatica tuttora a capire questo mondo, popolato da spiriti che abitano nei cieli e dentro la terra rendendola sacra–madre. Completamente privi del concetto di proprietà privata, gli aborigeni venivano presi a fucilate dai coloni per difendere le loro terre e famiglie dai selvaggi incivili, che si accampavano sulle loro proprietà. I massacri si susseguirono per decenni senza la minima resistenza. Pochi i fortunati che riuscivano a fuggire e a rifugiarsi altrove.
L’opera del benedettinoRosendo Salvado
Tale esodo nomadico è presente anche nell’opera del benedettino Rosendo Salvado (1814-1900) fondatore di New Norcia a 130 Km. da Perth (W.A.) (vedi Report of Rosendo Salvado to Propaganda Fides in 1883, Abbey Press, Northcote, 2015).
Dopo essersi inoltrato nell’outback australiano, Salvado e il suo compagno Serra iniziarono un programma di lenta e graduale introduzione degli indigeni alla coltivazione della terra, con il massimo rispetto per le loro tradizioni, usi e costumi. E, soprattutto, nel pieno rispetto della loro libertà in pieno deserto australiano. Accanto all’abbazia e alla chiesa dei Benedettini, erano stati costruiti due edifici scolastici che ospitavano centinaia di alunni di ambo i sessi. Ebbi modo di constatare i vari padiglioni tuttora esistenti durante diverse visite compiute nella prima metà di questo secolo.
Proprio l’opposto di quanto era accaduto un secolo prima (1910-1960) e narrato nel libro “The Lost Generation”.
In quegli anni, il governo federale e statale mise in campo un programma metodico di separazione forzata di decine di migliaia di bambini/e dalle loro famiglie per dare loro la possibilità di una educazione “normale”. Questi bambini finivano confinati a distanze impossibili e destinazioni ignote: in altre famiglie o orfanotrofi gestiti anche da enti religiosi. Ora le vittime di questa “lost generation – generazione perduta” stanno perseguendo cause legali per i danni subiti.
Ritornando al nostro eroe, Salvado era riuscito ad organizzare cori di giovani indigeni richiesti anche altrove per la loro bravura.
Il governo statale aveva affidato alla comunità benedettina un enorme appezzamento di terreno, anche se arido e incoltivato. Salvado trovò la maniera per renderlo fertile, affidandolo, gratis et amore Dei, agli indigeni.
Ma, dopo decenni di convivenza pacifica tra i nuovi ospiti (i Benedettini) e varie tribù di aborigeni, i coloni inglesi, infastiditi dalla presenza dei loro vicini, o temuti “selvaggi”, cominciarono ad usare i fucili contro di loro. Le famiglie aborigene cercarono rifugio altrove.
Mancanza di programmidella Chiesa
Che linea (atteggiamento e azioni solidali) seguì la gerarchia della Chiesa cattolica in Australia? Secondo la tesi di laurea “ Rhetoric and Action: The Policies and Actions of the Catholic Church with regard to Australia’s Indigenous Peoples, 1885-1967”, di Stefano Girola, i vescovi australiani hanno sì invitato alla tolleranza e all’accettazione vicendevole, ma senza elaborare programmi concreti. Rara eccezione: l’iniziativa benedettina a New Norcia (WA). Forse questa “distanza prima ideologica e poi programmatica” può fornire una ragione plausibile per cui i pochi studenti indigeni ordinati sacerdoti hanno lasciato il sacerdozio e la vita religiosa.
Ed è questa la ragione per cui la Chiesa cattolica e la Chiesa anglicana (la prima ad essere riconosciuta in terra australiana), seguite da altre denominazioni protestanti, sono rimaste piuttosto distanti dal mondo culturale aborigeno. Questi i motivi che in passato, ma anche tuttora, hanno spinto a non esercitare, se non in modo insufficiente, nessun peso politico sul lento cammino intrapreso dal governo australiano verso il riconoscimento di elementari diritti umani per le comunità aborigene tuttora viventi. Questa assenza fu, a suo tempo, dettata da priorità ritenute più urgenti dalle diverse gerarchie ecclesiastiche, causate dalle diverse ondate di emigranti cattolici, primi fra tutti gli Irlandesi, seguiti dai cattolici provenienti dal Nord e più tardi dal Sud Europa (polacchi, tedeschi, 270.000 italiani e maltesi ...). Agli antichissimi abitanti del nuovo continente solo poche briciole!
Attualmente, vi sono, anche se pochi, segnali di un lento riavvicinamento fra due mondi così diversi. Oggi gli indigeni sono sempre più attivi in tutti gli ambiti: dallo sport professionistico allo spettacolo, dal mondo accademico a quello professionale e nella politica: sono 8 i rappresentanti indigeni, fra senatori e parlamentari, con l’aggiunta recente della prima donna di origini aborigene, Linda Burney. I cambiamenti legislativi negli ultimi decenni non sono stati mossi dall’intento di discriminarli come in passato, ma da quello di favorire la loro integrazione.
Permangonoproblemi enormi
Permangono però problemi enormi. Recentemente, la relatrice Onu sui diritti delle popolazioni indigene, Victoria Tauli-Corpuz, dopo una breve visita in Australia, ha condannato lo squilibrio nei tassi di incarcerazione, che vedono gli indigeni costituire un quarto dei carcerati, nonostante siano solo il 2.5% della popolazione totale. Nel Northern Territory, il 95% dei giovani incarcerati sono aborigeni. Non sono state mantenute le promesse solenni di vari governi australiani di ridurre la mortalità infantile e di aumentare l’aspettativa di vita degli indigeni.
Nelle zone più lontane dalle città, il quadro è fosco. Lo sa bene il vescovo cattolico di Broome nel remoto nord-ovest, mons. Christopher Alan Saunders, a capo di una diocesi di 773.000 chilometri quadrati dove vivono in tutto 50.000 persone, soprattutto aborigene. Dietro paesaggi straordinari e selvaggi, si cela una situazione gravissima, con tassi di suicidio fra i più alti al mondo. Per Saunders, «questa crisi è alimentata da un abuso senza precedenti di droga e alcol, che sta contribuendo a diffondere un senso di depressione e impotenza».
Non è sempre stato così. Anziani missionari e aborigeni ricordano ancora comunità funzionali e pacifiche. Il vescovo di Broome è critico verso proposte come quella del governo del Western Australia di chiudere le “disfunzionali” comunità remote e di forzare gli aborigeni a trasferirsi nei centri rurali o nelle città: una scelta comoda per il governo, secondo Saunders, perché taglierebbe i costi per fornire servizi di base come acqua ed elettricità o la raccolta della spazzatura. Chiudere le comunità remote situate sulle terre ancestrali significherebbe però perpetuare situazioni di espropriazione e di frattura dei legami culturali e spirituali che sono alla radice dei drammi attuali.
Antonio Paganoni, scalabriniano