Ferrari Gabriele
Continente vivo o in decomposizione?
2018/10, p. 6
L’Africa non è solo problemi o terra di conquista, ma anche continente vivo e in crescita che possiede e offre risorse. Numerose le idee sbagliate da rettificare.

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Le condizioni per un futuro sviluppo dell’Africa
Continente vivo
o in decomposizione?
L’Africa non è solo problemi o terra di conquista, ma anche continente vivo e in uscita, che possiede e offre risorse. Numerose le idee sbagliate da rettificare.
Quando i media parlano o scrivono dell’Africa – e non avviene troppo spesso – è quasi inevitabile che la presentino come un continente che non ha futuro, carico di problemi sanitari, umani, sociali e politici. Sono pochi – ne ricordo uno di Romano Prodi – gli articoli che fanno eccezione. L’unico ambiente che sembra carico di speranza e di cui si parla con un certo ottimismo è forse quello religioso, perché in Africa le chiese cristiane e in particolare la chiesa cattolica, stanno ancora crescendo mentre altrove o battono il passo o stanno chiudendo l’esercizio. I cattolici africani invece dal 2010 al 2016 sono passati da 185 a 228 milioni! Una presentazione pessimistica serve a mantenere una politica di sfruttamento del Continente da parte del mondo ricco che dalla Conferenza di Berlino nel 1884 fino a oggi non ha mai interrotto il saccheggio dell’Africa neppure al momento d’indipendenza degli anni ’60-’70 del secolo scorso.
L’Africa è viva
e giovane
Tuttavia di tanto in tanto il mondo si sveglia e s’accorge che l’Africa non è solo problemi o terra di conquista, ma anche un continente vivo che possiede e offre risorse e che sta crescendo. Benedetto XVI ha detto che l’Africa è “un immenso polmone spirituale per un'umanità che appare in crisi di fede e di speranza, grazie alle straordinarie ricchezze umane e spirituali dei suoi figli, delle sue culture multicolori, del suo suolo e del suo sottosuolo dalle immense risorse” (Africae munus n. 13). Non è quindi quel “gigante eternamente addormentato” e neppure quella prigione da cui i carcerati, poveri e senza speranza, stanno organizzando un'evasione di massa verso l’Europa, come altri affermano per alimentare la paura e quindi il rifiuto nei confronti degli attuali flussi migratori peraltro non ancora eccessivi.
Di recente Irina Soiri, una ricercatrice finlandese che dirige il Nordiska Afrìkainstitutet di Uppsala, istituto svedese di ricerca sull'Africa, ha pubblicato uno studio sul continente e il suo futuro di tono diverso. Esso mostra senza reticenza i lati deboli dell’Africa: un'agricoltura troppo debole; un'economia poco avanzata, ancora troppo basata sulle commodities e sulle materie prime; una classe media ancora modesta; il fallimento del modello neoliberista, imposto dal Fondo Monetario Internazionale o dalla Banca Mondiale e poi le monoculture, legate all’agricoltura o al petrolio, che non sono fonte di sviluppo sicuro ma criticità particolarmente rischiose. Si pensi al petrolio che nel 2013 costituiva il 60% dell'export del Gabon, l’85% di quello della Nigeria e addirittura il 97% dell’export dell’Angola. Basta un improvviso crollo del prezzo del barile per scatenare una crisi finanziaria che compromette l’intera economia del Paese. Non è che un esempio, perché ci sono poi le monoculture legate al caffè, al tè, al cacao, al legname ecc.
Ma, al netto di tutto questo, la Soiri conclude la sua ricerca affermando che l'Africa è un continente giovane e vivo. Con i suoi 54 stati, diversi tra loro, ciascuno con le sue peculiarità, è in rapida crescita economica e demografica. Non è vero che molti africani lasciano l’Africa per l’Europa; l’emigrazione africana (malgrado le “sparate” propagandistiche di certi politici europei) è inferiore allo 0,04%, una percentuale dieci volte più bassa di quella italiana, per esempio. E chi emigra dall’Africa non sono i poveri, ma la classe media. Ma chi non comprende il fenomeno Africa, non cancellerà mai i cliché prefabbricati, che sono falsi e diffusi dai populisti nostrani col risultato che l’Europa si sta trasformando in una cittadella impaurita che si circonda di muri e di filo spinato.
Una prima idea da rettificare è che l’economia africana sia allo sfacelo, essa infatti sta anzi crescendo, non solo più di quella italiana ma anche di quella europea. Pochi lo credono …ma nel 2017 il prodotto interno lordo (PIL, l’indice della ricchezza) dell'intero continente africano è aumentato del 3,6%, contro il 2,4 dell'Europa e l’ l,2 dell'Italia. E nel 2018 si prevede che la crescita subirà una nuova accelerazione e la ricchezza aumenterà del 4,1%. Ovvio, dirà qualcuno degli afro pessimisti, perché la base di partenza è bassa. Ma non si tratta di un ritmo di chi si è improvvisamente svegliato. La crescita della ricchezza risulta maggiore nei paesi africani che puntano a un'economia di trasformazione più che alla vendita – spesso sottocosto- delle materie prime e questo è il sintomo di un continente non solo vivo, ma anche vegeto, in crescita. Infatti, l'Africa sta aumentando la sua ricchezza malgrado il crollo dei prezzi sul mercato di molte materie prime, artificialmente indotto dal protezionismo occidentale, che fa crollare l’economia e mette in crisi un paese, vedi il caso della Nigeria che dipende troppo dalla vendita di petrolio. E ciononostante l'Africa cresce.
La sete
di sviluppo
Purtroppo la crescita economica in Africa non si trasforma subito o sempre in sviluppo sociale, anche perché i nodi da sciogliere sono molti, primo fra tutti la corruzione che dilaga nell’amministrazione. Per questo in troppi paesi le entrate delle tasse sono troppo basse rispetto al prodotto interno lordo (PIL) con il risultato che lo stato dalla crescita del PIL non ricava che poche risorse per intervenire come dovrebbe nei settori della sanità, della scuola, della sicurezza e delle infrastrutture.
Un secondo preoccupante dato di fatto: l'aumento della ricchezza non produce posti di lavoro in loco, almeno non con lo stesso ritmo della crescita della ricchezza. Tra il 2000 e il 2008, per esempio, il numero degli occupati è aumentato in media del 2,8% annuo, la metà cioè del PIL e solo in cinque paesi, Algeria, Burundi, Botswana, Camerun e Marocco, è aumentata con una media superiore al 4,0%. Nel resto del Continente l'occupazione è aumentata in media del 3,1% annuo, una percentuale che è inferiore di 1,2 punti percentuali rispetto alla crescita del PIL. Non crescendo l’occupazione, aumenta la disuguaglianza sociale, perché i benefici della crescita vanno a vantaggio di pochi e lasciano troppi in condizioni di povertà, talvolta estrema. “A chi ha sarà dato e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”, diceva un proverbio già del tempo di Gesù Cristo, ma che vale anche oggi. Chi paga le conseguenze maggiori del fenomeno sono ancora una volta i più deboli, tra essi le donne e i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni.
È vero che statisticamente la povertà della popolazione in Africa si è ridotta, in termini relativi, passando dal 56% del 1990 al 43% del 2012 ( nello stesso periodo la povertà in Cina è diminuita del doppio!). Inoltre in Africa sta crescendo, come dicevamo, la disuguaglianza sociale. L'indice di Gini che la misura, infatti, è passato da 0,52 nel 1993 (un tasso di disuguaglianza già molto alto) a 0,56 nel 2008. La disuguaglianza è così grave da risultare non solo iniqua per chi la subisce, ma da essere anche un potente freno alla corsa dell'economia.
La crescita demografica
è costante…
A una crescita economica disordinata, iniqua e frammentata fa riscontro una più generale crescita demografica in tutti i 54 paesi dell'Africa. La popolazione del Continente ha ormai raggiunto il miliardo e trecento milioni di abitanti, poco meno della Cina, mentre la curva di crescita sembra di tipo esponenziale. Gli africani erano 229 milioni nel 1950, con un tasso di crescita annuo del 2,01%. Hanno raggiunto i 635 milioni nel 1990, con un tasso di crescita annuo del 2,74%, ma in questi ultimi 28 anni sono più che raddoppiati. oggi il tasso di crescita risulta del 2,55% su base annua. Queste cifre nella loro aridità rivelano alcune verità. La prima, che la popolazione africana è una popolazione giovane, la cui età media è di appena 19,4 anni, molto meno della metà di quella italiana, che è ormai di 44,9 anni, e anche di quella europea, la cui età media è di 42,2 anni. Una seconda verità: il peso demografico dell'Africa nel mondo sta crescendo. La sua popolazione negli ultimi sessant’anni è passata dal 10 al 17% della popolazione mondiale e sarà il 27% entro il 2050. Non è prevedibile un rallentamento con il risultato che l'Africa è e sarà a lungo il continente più giovane del mondo. I giovani tra i 15 e i 24 anni sono oggi 226 milioni, ma cresceranno del 42% da qui al 2030, quando saranno 321 milioni. Chi studia il trend della demografia non ha dubbi: l'Africa non è solo il continente più giovane ma, di qui a fine secolo, diventerà il più popolato al mondo. La sua forza lavoro passerà dai 620 milioni del 2013 agli oltre 2 miliardi del 2063. Questo fatto resterà senza conseguenze?
… ma non alimenterà
nessun esodo biblico
Questi dati sulla demografia non devono ingenerare paura, anche se sono cavalcati da chi vuol seminarla in Europa con lo scopo di non condividere il proprio benessere oppure da chi per la stessa ragione lancia dei family planning che non sono rispettosi delle persone, soprattutto delle donne. Tutti questi africani non cercheranno di uscire dall'Africa per invadere l'Europa e il resto del mondo. Resteranno nel loro continente soprattutto se saranno formati alla responsabilità politica e se troveranno programmi di sviluppo e lavoro. Gli esperti delle Nazioni Unite, infatti, prevedono che l'emigrazione netta annuale dall'Africa nei prossimi trent'anni resterà al di sotto delle 500.000 unità, esattamente quant'è oggi. Nessun esodo biblico, dunque, come da molte parti si sta vociferando. Se tutti gli emigranti africani previsti approdassero in Europa, occorrerebbero dieci anni per raggiungere il numero di 5 milioni (che rappresenta l’l% della popolazione europea) e cento anni per raggiungere i 50 milioni (10% della popolazione europea). Percentuali decisamente inferiori a quelle dei non-europei già oggi presenti tra di noi. Certo, l’emigrazione continuerà come oggi, ma neppure la previsione dell’emigrazione causata dal cambio climatico in Africa, deve seminare il panico. L’Europa può sostenerla se non prevarranno le politiche populiste che si stanno affermando sulla paura.
Certo, la crescita demografica sarà un grande banco di prova per il Continente africano. Se verrà ben gestita e se gli aiuti di altri paesi (europei o asiatici, come la Cina) non saranno aiuti “predatori”, allora la ricchezza in Africa – in particolare nelle regioni subsahariane – non solo potrà aumentare con i ritmi attuali, ma perfino superiori. E la ricchezza potrà essere meglio distribuita e trasformarsi in sviluppo sociale e civile. Al contrario, se le pressioni esterne – europee, nordamericane e asiatiche – continueranno a percorrere le strade dello sfruttamento, nelle forme dell’attuale neocolonialismo, allora la crescita economica sarà inferiore a quella demografica, con il paradosso che il PIL africano aumenterà mentre la ricchezza media pro capite diminuirà. E il numero dei poveri continuerà ad aumentare.
Concludendo
Concludendo l’esame della situazione e le prospettive del futuro, qualche evidenza si impone. Auguriamoci che il mondo occidentale ed asiatico abbiano per l’Africa uno sguardo di attenzione e di aiuto, sentano il bisogno di favorirne la crescita e l’accoglienza non strumentale nel consesso del mondo. Non è più possibile emarginare o solo far finta di convocare in certe occasioni (G20) alcuni paesi del Continente africano.
È suonata l’ora che chi ha in mano le leve del comando globale tratti l’Africa non come un intruso, ma come un partner affidabile, non come una terra di conquista, ma come un campo da coltivare e custodire insieme per il bene comune, come il Papa insegna in Laudato si’. Chi vuol recarsi in Africa a far affari, si presenti a carte scoperte e pulite, senza corrompere i leader dirigenti africani, come purtroppo sta avvenendo ancora oggi.
Sarebbe ora che finalmente ci fosse una vera coalizione virtuosa, seria e finalmente decisa, il famoso e mai realizzato Piano Marshall, per cercare e sostenere il vero bene e il vero sviluppo dell’Africa; che l’aiutasse a liberarsi dai dittatori inchiodati sul trono e che si permettesse ai popoli africani di essere veramente responsabili della loro amministrazione. Un’utopia? Speriamo non sia solo un sogno e, per parte nostra, facciamo sì che la missione della chiesa sia sempre più il luogo della formazione di uomini e donne che amano il loro Paese e ne promuovono responsabilmente il vero sviluppo.
Gabriele Ferrari s.x.