Le parabole di Papa Francesco
2018/10, p. 1
I Dehoniani hanno dedicato una settimana di formazione al
pontificato di Francesco. I segni evidenti di un
«cambiamento di passo», le resistenze previste e
impreviste, il quadro culturale che lo rende “necessario”.
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Testimoni
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Cinque anni e sei mesi di pontificato
LE PARABOLE
DI PAPA FRANCESCO
I Dehoniani hanno dedicato una settimana di formazione al pontificato di Francesco. I segni evidenti di un «cambiamento di passo», le resistenze previste e impreviste, il quadro culturale che lo rende “necessario”.
Dalla sorpresa alle sfide e alle prove. I cinque anni del pontificato di papa Francesco (2013-2018) si sono avviati all’insegna della sorpresa. Tutti ricordano l’apparire dell’eletto sulla balconata della basilica di san Pietro: il «buona sera» quotidiano, l’assenza della stola storica, la vicinanza del card. Hummes (i poveri dell’America Latina) e del vicario di Roma (la città del suo ministero), il silenzio, la benedizione dal popolo, il suo essere anzitutto vescovo di Roma, la preghiera. Gesti, segni e simboli che hanno anticipato linee importanti del suo magistero e del suo servizio petrino.
Cinque anni dopo, quella sorpresa si è concretizzata in testi, in viaggi, in scelte ed eventi permeati e accompagnati dal richiamo evangelico e da una sfida dell’annuncio che ha investito le strutture ecclesiali (dalla curia ai processi sinodali, alle scelte episcopali, ai religiosi e ai laici), come il dialogo ecumenico (dalla memoria della Riforma all’apertura agli evangelicali, all’esercizio di un «primato di accompagnamento») e interreligioso e il confronto-incontro con le grandi questioni mondiali. Sfide che talora diventano prove nel riemergere della questione degli abusi dei chierici, nelle tensioni non sempre padroneggiabili dentro la Chiesa, negli scontri con i poteri economici-finanziari, nelle condizioni martiriali di molte comunità cristiane.
Titoli e cifre
A questo magma vitale si guarda con occhi differenti e appartenenze diverse. Fra i molti approcci e le innumerevoli letture i dehoniani della provincia dell’Italia del Nord hanno organizzato una settimana di formazione permanente (Albino – BG, 27-31 agosto 2018) sul pontificato di Francesco. Una cinquantina i partecipanti, sei relatori di rilievo, una giornata dedicata al prossimo sinodo sui giovani. «Ho l’impressione che il mio pontificato sarà breve: quattro, cinque anni. È come una sensazione un po’ vaga. Magari non sarà così! Ma ho come la sensazione che il Signore mi abbia messo qui per poco tempo. Però è solo una sensazione. Perciò lascio sempre le possibilità aperte». Così papa Francesco rispondeva a una domanda della giornalista messicana Valentina Alazraki il 6 marzo del 2015. Cinque anni sono passati e, sollecitato da una recente intervista (Reuters, 17 giugno 2018), pur confermando la possibilità delle dimissioni, il papa ha aggiunto: «In questo momento non ce l’ho neanche in mente».
In questi anni abbiamo avuto due encicliche: Lumen fidei (2013) e Laudato si’ (2015); 35 costituzioni apostoliche, fra cui Veritatis Gaudium che è la piattaforma delle Facoltà e Università pontificie, e la Vultum Dei quaerere dedicata alla vita contemplativa. Difficile dare numeri sui discorsi. Dovrebbero aggirarsi attorno ai 1.200. Importanti sono le esortazioni apostoliche: Evangelii Gaudium (2013) che contiene il suo programma di governo e di riforma, Amoris laetitia (2016) a conclusione del doppio sinodo sulla famiglia, Gaudete et exsultate (2018) che rilancia il tema della santità del popolo di Dio. Le lettere sono 168, le lettere apostoliche 52. I messaggi arrivano a 217. I motu proprio sono 22. Le omelie sono 293, senza contare quelle a Santa Marta che si stimano attorno alle 500. I viaggi sono stati 47; 22 in Italia e 25 in giro per il mondo. Oltre 50 le interviste. Anche solo l’elenco dei numeri dà l’idea di una attività straordinaria e di una esposizione pressoché totale. Ad essi sfuggono i gesti: abitare a Santa Marta, pagare il conto, frequentare negozi, non fare le ferie, abbracciare i malati, ospitare i barboni, portare con sé dal Medio Oriente i profughi, utilizzare una macchina utilitaria, le visite ai poveri, alla gente comune, le telefonate ecc.
I fioretti
e il sistema
Quando si entra nelle interpretazioni e nelle letture complessive vi è una condivisa consonanza su un pontificato che ha segnato un «cambio di passo». Per il teologo Pierangelo Sequeri il Papa parla in parabole, esempi e racconti, utilizzando il lessico del catechismo più elementare, andando oltre il quadro classico del magistero e lasciando molti spazi liberi per quanti lo leggono o lo ascoltano. «È un uomo che ha una vera idiosincrasia per la forma sistematica, una ipersensibilità ai rischi dell’impresa sistematica». Il suo sforzo è di andare al di là della coerenza forzosa del sistema per arrivare alla referenza, alla cosa. Si parla di mondo? Allora si dice l’urbanizzazione, il cambiamento climatico, la globalizzazione, lo scarto dei poveri ecc. Gesù non ha detto agli apostoli niente che non potessero intendere. La chiave interpretativa di Francesco? Per mons. Vincenzo Zani, segretario della Congregazione per l’educazione cattolica, è il «caos calmo», una singolare sintesi di impressionanti dinamismi dentro un quadro di profonda tranquillità. Egli eredita una visione dialettica della realtà che ha trovato in Erich Przywara, Henri de Lubac, Romano Guardini e nella trazione mistica del deposito gesuita: «Un pensiero dialogico fondato sul principio agonico-organico con al centro tensioni bipolari, ma proiettate a progetti di sintesi». «Non una ontologia dialettica, ma una ontologia relazionale, anzi trinitaria».
Per lo storico Daniele Menozzi si può parlare di una continuità promettente, di una eredità conciliare che relativizza il semplice aggiornamento teologico e si affida alla potenza del Vangelo nell’incontro-scontro con la storia di tutti. Il Vaticano II ha chiuso la tradizione intransigente dei due secoli precedenti aprendo due possibili sviluppi entro una apertura al moderno: il primo è sul versante della dottrina e vede nella legge naturale il massimo orizzonte di condivisione con il moderno; il secondo è ispirato ai «segni dei tempi», la Chiesa impara dalla storia quali sono gli elementi del messaggio evangelico in grado di rispondere ai bisogni della gente di oggi. Alla coppia «dottrina – legge naturale» si sostituisce tendenzialmente quella dei «segni dei tempi – storia comune».
Il teologo viennese, Kurt Appel, parla di una «ironizzazione del potere». Il poderoso impianto barocco del concilio tridentino in tutta la sua potenza estetica è ancora vivo nell’immaginario cattolico. Esso è attraversato da Francesco con una sapida ironia che ne mostra le inconsistenze e ne eredita gli umori profondi. Tutto è ricondotto a Gesù Cristo, alla sua morte e risurrezione. È questo che mostra le caduche pretese di potere della Chiesa, ma anche le inconsistenze delle potenze del mondo.
Le opposizioni
contraddittorie
La sottolineatura della feconda novità di Francesco non risponde alla domanda di apologetica ed è consapevole delle molte forme di resistenza, critica e dissenso nei suoi confronti. Richiamabili in forma grossolana su tre filoni. Quello accademico, con, ad esempio, i riferimenti ai sociologi M. Marzano e G.E. Rusconi (limitati alla sociologia delle istituzioni e alla “pastorale della paura”); quello lefebvriano-populista del tipo di A. Socci e G. Gnocchi con il seguito dei molti siti tradizionalisti, attardati nell’intransingentismo acrimonioso; quello istituzionale-paludato della destra americana di cui è un esempio l’improbabile testimonianza di mons. Viganò, espressione della dismissione del «modello cattolico» a favore delle «chiese libere».
Registrata la consonanza sul «passo in più» provocato da Francesco vi sono suggestioni legate ai singoli autori. Pierangelo Sequeri sottolinea il duplice linguaggio del papa: da un lato la lingua popolare (coiné) e il riferimento al catechismo recepito e dall’altro, soprattutto nei testi maggiori, una forma narrativa parabolica che non nega il deposito dogmatico e magisteriale precedente, ma ne forza gli spazi di apertura e la libertà del «lettore».
Una «cifra» centrale del suo messaggio è la gioia. «Ha ormai esaurito tutti i sinonimi». Spiazzante sia per gli «apocalittici», che minacciano non solo di uscire dal mondo, ma anche dalla fede, sia per gli «integrati» che rischiano la mondanità spirituale. Usa con parsimonia il tema della riforma, consapevole di quanto ci sia costata quella del ‘500, e di quanto sia ancora interna al paradigma del «sistema». I suoi temi strategici sono anzitutto la predicazione, chiamata ad essere una testimonianza della fede e, contestualmente, una intelligenza della fede. E poi la riproposta della «scena originaria» dei Vangeli e cioè i tre protagonisti essenziali dell’annuncio: Gesù il Cristo, i discepoli, la folla di «chiunque», credenti e no, battezzati e no. Senza la persona di Gesù e la sua presenza tutto implode. I discepoli non perseguono la propria pienezza, ma si consegnano alla mediazione del Vangelo con il popolo dei «chiunque». Il rapporto fra la «scena originaria» e la «scena storica», cioè il quotidiano di tutti impone la piena valorizzazione del carisma di ciascuno nell’impresa della testimonianza per il Vangelo.
Dell’ampia relazione di mons. Vincenzo Zani richiamo le pagine dedicate alla riforma della curia con i relativi criteri guida, enunciati nei tre discorsi dedicati ai suoi collaboratori in occasione del Natale. In secondo luogo lo stretto legame fra opzioni dottrinali e stile evangelizzante con l’accento sulla centralità del Vangelo, la dimensione missionaria e la concretezza delle diverse espressioni della vita cristiana. Qui prende piena figura la sinodalità che è lo specifico spirito, metodo e stile del cristiano. Di grande interesse il nesso fra evangelizzazione e cultura fino a declinare l’assioma scolastico «la grazia suppone la natura e la completa» con l’altro: «la grazia suppone la cultura e la completa». Coerente con questi riferimenti è sia l’azione pastorale, sia quella diplomatica.
Tradizione
e storia
Daniele Menozzi sottolinea il profondo legame di Francesco con gli indirizzi del Vaticano II e la sua scelta di spingere sul binomio «segni dei tempi – storia di tutti». Rileggendo Evangelii Gaudium ne evidenzia i tratti di rimando sia al discorso di apertura del concilio di Giovanni XXIII (Gaudet mater ecclesia), sia all’Ecclesiam suam di Paolo VI. Del primo sottolinea la «medicina della misericordia» più che la condanna o la denuncia, come anche la distinzione fra la sostanza del deposito della fede e la maniera di presentarlo. Della seconda riprende l’invito alla continua riforma. Un compito che è proprio dell’istituzione, in particolare nelle Conferenze episcopali, con la consapevolezza, già espressa in Octogesima adveniens (Paolo VI) di una Chiesa che non pretende di possedere il monopolio della interpretazione della realtà.
Kurt Appel sottolinea come il riferimento di Francesco non sia tanto la secolarizzazione, quanto l’urbanizzazione. Le megalopoli sono oggi la fonte dell’ethos e la riduzione a «marchio commerciale» costituisce il pericolo per il cristianesimo. Fra le sfide più urgenti vi è il dialogo interreligioso, la resistenza al clericalismo e l’uscita dall’immaginario barocco. Per questo sono importanti le immagini e i gesti di Francesco che dalle periferie trasmette la realtà delle fragilità dei molti e avvia un nuova narrazione. In secondo luogo, la nomina dei vescovi. Un compito di lunga lena per ottenere la qualità raggiunta a suo tempo da Paolo VI. Infine, l’accensione dell’interesse per il previsto sinodo sull’Amazzonia perché è l’area non segnata dal clericalismo e disponibile a riforme coraggiose.
Stella Morra e Paolo Benanti, ambedue professori alla Gregoriana, avevano il compito di presentare l’Amoris laetitia e la Laudato si’. L’una e l’altro hanno fatto di più, partendo dal testo e collocandolo dentro le profonde e inquietanti trasformazioni dell’antropologia odierna, in particolare nel rapporto uomo-donna (Morra), e dentro il paradigma tecnocratico con il suo carico di destrutturazione della razionalità strumentale e le domande ancora implicite sui fini delle potenti trasformazioni tecnologiche in atto (Benanti).
Lorenzo Prezzi