Guccini Luigi
Quale VC in quale Chiesa?
2018/1, p. 40
La realtà del carisma, se preso nel suo vero significato, può molto aiutare a capire la vera natura della vita consacrata considerata in se stessa e nella sua dimensione verso gli altri, dentro la Chiesa e in comunione con tutte le vocazioni nella Chiesa.

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Carisma e carismi
QUALE VC
IN QUALE CHIESA?
La realtà del carisma, se preso nel suo vero significato, può molto aiutare a capire la vera natura della vita consacrata considerata in se stessa e nella sua dimensione verso gli altri, dentro la Chiesa e in comunione con tutte le vocazioni nella Chiesa.
Il tema del carisma, oggi ricorrente, può essere inteso nei modi più diversi. Una ricerca di qualche anno fa ha trovato 32 modi diversi di parlare di carisma nella letteratura sul tema e nella documentazione interna agli istituti religiosi. Quando è uscito il documento della Congregazione della fede, “Juvenescit ecclesia”, che interviene direttamente sul tema, ho sperato in una parola chiarificatrice anche a livello ufficiale, ma sono rimasto sostanzialmente deluso. Per due ragioni soprattutto: perché il documento parla dei carismi solo in riferimento alle nuove manifestazioni carismatiche tipiche di oggi, fenomeni significativi ma certamente marginali, nella realtà di una Chiesa interamente carismatica. E poi perché, quando il documento parla dei carismi, va direttamente e subito alle manifestazioni carismatiche, e al compito che spetta all’autorità gerarchica di valutarne l’autenticità. Naturalmente c’è anche questo, ma in base a che cosa si può esercitare questo discernimento? con quale idea di carisma?
Risalire alla fonte
Rischiamo sempre di dimenticare che prima delle manifestazioni carismatiche, c’è l’opera dello Spirito Santo da cui esse provengono, quando sono autentiche. È a lui che bisogna risalire per avere luce e capire. Se si lascia fuori quadro l’opera dello Spirito e le caratteristiche che essa ha nella vita credente, ci si preclude la possibilità di capire nella loro vera natura i carismi, che sono appunto opera dello Spirito.
Bisogna risalire più in alto, alla fonte, uscendo da una prassi teologica che continua a tenere lo Spirito Santo e la sua azione nelle coscienze e nei cuori come il “grande dimenticato”. Senza umile e concreta attenzione all’opera dello Spirito e a come essa si esprime né l’autorità avrebbe luce per fare discernimento, né l’avrebbero i destinatari del carisma e delle sue manifestazioni.
Tra l’altro, e detto tra parentesi, solo tenendo in conto l’opera dello Spirito nella Chiesa – e dunque in tutte le componenti di essa – si può trovare il giusto posto per le nuove manifestazioni – che rimarranno comunque e sempre un fatto marginale rispetto alla realtà molto più vasta della natura carismatica di tutta la Chiesa.
Tutto questo detto così in sintesi. Proviamo a precisare alcuni aspetti principali del nostro discorso.
Cosa intendere per carisma
Quando si tratta dei carismi e della vita carismatica sono solito esprimermi così: il carisma è un dono-opera dello Spirito Santo nelle coscienze e nei cuori, con il frutto che ne consegue, se questa azione ci trova docili. Un dono fatto a tutti, evidentemente, perché a tutti è dato lo Spirito.
È quanto dire – punto assolutamente fondamentale – la nostra vita come “vita nello Spirito”, con i frutti che ne derivano, e che sono in noi come doni da spendere per gli altri. Questo, prima di tutte le manifestazioni che si possono registrare e che vengono dopo, anche se continuiamo a chiudere il discorso lì, sbagliando.
In Rm 6,23 Paolo parla del carisma – chàrisma – al singolare, ed è una parola che serve all’apostolo per dire tutta l’opera della salvezza come vita a noi data gratuitamente – è il significato etimologico di charis-chàrisma – in Cristo Gesù. Dunque ciò che siamo in lui, e che in lui siamo chiamati a diventare per opera dello Spirito per il bene degli altri.
Questo ci dice molte cose e prima di tutto ci ricorda che il carisma non è una cosa, un dono che ci è fatto e ci appartiene e che, per esempio, i consacrati possono eventualmente recuperare con uno studio più attento delle fonti o cose del genere. Anche le fonti dell’istituto hanno un significato, come lo ha la parola di Dio scritta, ma il carisma dice precisamente ciò che sta oltre il semplice dato oggettivo tematico, e non può mai essere ridotto alle sue manifestazioni, sia di oggi che di ieri. C’è anche questo, ma viene dopo ed è solo conseguenza. Se lo dimentichiamo il carisma diventa “cosa nostra”, ed è negato nella sua stessa natura. Lo possiamo capire nel giusto senso, l’ho già detto, solo se lo consideriamo alla fonte, cioè nell’opera dello Spirito Santo nei cuori.
Per dirla ancora in una sola parola, carisma-vita carismatica è la vita evangelica vissuta per gli altri sotto la guida dello Spirito. Da qui viene anche la missione e la vocazione data a ciascuno, che è anch’essa per opera della Spirito Santo. È lui che ci dà il nome che abbiamo nella nostra condizione di salvati, con i compiti e le responsabilità che vi sono collegate in riferimento agli altri.
Non occorre insistere di più. Quello che mi premeva sottolineare è la natura vera del carisma. Il suo significato pesca qui: è totalmente una questione di vita vissuta. La crisi che stiamo attraversando nella VC può trovare risposta solo qui: nel nostro ritornare a essere cristiani veri e nel consentire allo Spirito Santo di condurci a questo.
Una realtà che definisce l’intera Chiesa
Se prendiamo il carisma al singolare – il chàrisma di Rm 6,23 – ci accorgiamo che c’è dentro tutta la vita della Chiesa. C’è qui anche un problema di linguaggio e più a monte la concezione che abbiamo di Chiesa. Ritorna abitualmente l’espressione “carisma e istituzione”. È una formula scontata ma che può essere fonte di molti equivoci, come la storia dimostra. E il motivo è che si pu�� finire per separare due realtà che sono inscindibili, mettendo l’istituzione da una parte e il carisma – il “libero carisma” – dall’altra. Anche l’espressione “doni gerarchici e doni carismatici” comporta questo rischio: c’è di mezzo la concezione che abbiamo di Chiesa.
Il punto da non dimenticare è che tutta la Chiesa è opera dello Spirito Santo e, in questo senso, è tutta intera carismatica. Ci sono diversi doni e ministeri, perché la Chiesa è anche organicamente strutturata, ma anche questo è opera dello Spirito Santo. Significa, altra cosa non secondaria, che i diversi carismi e ministeri, anche i ministeri gerarchici, saranno autentici solo se vissuti davvero nella fede e nello Spirito Santo.
Significa che quando si parla di carismi e vita carismatica non è corretto farne un discorso limitato ai soli “liberi carismi”. Questo comporta il rischio di creare una frattura nella Chiesa, mettendo appunto l’istituzione da una parte e il carisma dall’altra. La teologia e la prassi della Chiesa latina ha sviluppato in modo unilaterale la componente istituzionale, dimenticando lo Spirito Santo. Si è parlato di carisma e istituzione, come se si trattasse di realtà separate, con l’accento posto soprattutto e a volte unilateralmente sull’istituzione, implicitamente intesa come altra cosa rispetto al carisma.
C’è qui un equilibrio molto importante da ricostituire, e questo può avvenire solo ritornando allo Spirito Santo. Che è poi condizione indispensabile anche per ritrovare il vero significato della vita spirituale e, in questa prospettiva, una vera comunione tra tutti – preti, religiosi/e e laici – nell’unica chiesa di Gesù.
A me piace leggere così la storia della santità nella Chiesa: Dio l’ha tenuta viva per far vedere la vera natura della sua Chiesa, una cosa questa che ha molto da dire proprio a noi oggi, preti, religiosi e laici.
La vita consacrata in questa prospettiva
La VC è una realtà carismatica, questo è scontato. Nasce e si sviluppa all’interno di una forte esperienza di fede per opera dello Spirito, perché solo per opera dello Spirito può accadere ciò che vediamo nella storia della VC. In questo senso la VC appare come una delle manifestazioni più importanti e significative dell’opera dello Spirito nella Chiesa. E questo non solo per l’origine carismatica delle diverse forme di VC, ma soprattutto per ciò che i consacrati stessi hanno fatto vedere con la loro testimonianza di vita.
È questo ciò che conta, ma ci sono anche qui delle concezioni da riconsiderare. Ciò che è accaduto alla Chiesa per l’enfasi posta sulla componente istituzionale è successo anche alla VC: l’accento è caduto anche qui unilateralmente sulla componente strutturale e giuridica: l’osservanza religiosa e, per la VC apostolica, le opere. Così, fatto oltremodo emblematico, quando in questi anni ci siamo impegnati nel rinnovamento, abbiamo giocato tutto sul versante delle strutture e delle regole da aggiornare e riscrivere. Ci siamo fermati a ciò che aveva solo funzione di mezzo, lasciando in ombra o dando per scontata la qualità di vita evangelica che è poi ciò che veramente conta perché la VC abbia senso. Papa Francesco ce ne ha fatti avvertiti, dicendoci che quando ci si ferma all’aspetto strutturale e organizzativo, si cade nella mondanità spirituale, ed è tutto dire.
A me sembra che, se vogliamo ritrovare la vera natura della VC, dobbiamo ritornare alla componente spirituale e carismatica che la definisce. Che è poi ciò che ci fanno vedere i grandi fondatori, da san Benedetto, a san Francesco, sant’Ignazio e tutti gli altri.
Per l’edificazione della Chiesa
Ci sono certamente anche per i consacrati dei problemi organizzativi e strutturali, che non si possono trascurare, ma si tratta di intendersi, per non fallire ancora una volta il bersaglio.
I carismi sono per l’edificazione della Chiesa – questo è centrale nella dottrina di Paolo sui carismi. Anche la VC è per la Chiesa, ma che cosa significa e a quali condizioni può esserlo? Anche qui le indicazioni giuste possono venire proprio dal carisma, letto nella sua dimensione “verso fuori”.
Certamente è indispensabile che gli istituti religiosi tengano fede al carisma delle origini, dunque al compito specifico assegnato a ogni famiglia. Ma, a un livello più profondo e globale, ciò che viene in evidenza è il carisma letto al singolare, come in Rm 6,23, dove per “carisma” si intende tutta l’opera di salvezza realizzata nella pasqua di Gesù. È prima di tutto in questa prospettiva che prende senso la presenza della VC nella Chiesa. Essa è posta come segno e rimando al mistero di Dio e della sua presenza nel mondo. Poi c’è anche il resto, il compito assegnato a ogni istituto, ma questo viene dopo. La sfida vera è più a monte, e sta nel fatto che la VC è comprensibile solo dentro la storia della santità della Chiesa, e come espressione di questa santità.
Non si deve pensare questo come un’affermazione astratta e soltanto “spirituale”; basta pensare, con uno sguardo solo, a che cosa ha significato nella storia della Chiesa la presenza della VC. Dio l’ha voluta – mi piace ripeterlo – perché doveva essere per tutti un segno vivo di ciò che costituisce il principio e il fondamento di ogni vita cristiana redenta: il primato di Dio e della vita di fede. Ogni famiglia lo dovrà essere secondo il dono ricevuto, ma il punto è qui: i consacrati hanno lasciato tutto per seguire Cristo e, al di là dei loro compiti specifici, non hanno altro che Gesù e il vangelo per dare un senso alla loro vita. E Dio li ha voluti perché lo dicano a tutti, perché per tutti è così. Si può essere assorbiti in tante cose, ciascuno secondo la sua condizione di vita, ma alla fine solo in Dio trova salvezza e prende senso la vita dell’uomo.
Mi sembra del tutto evidente, ed è questa la sfida che si pone alla VC oggi. Ma temo che siamo ancora lontani dall’averne preso adeguata coscienza. Non solo a livello di “base” nella mentalità diffusa, ma a tutti i livelli. Ricordo il congresso internazionale sulla VC del 2004 alla vigilia del sinodo sulla VC. Si era partiti bene all’inizio con un riferimento forte alla dimensione teologica e spirituale della consacrazione. Ma poi, dato questo per scontato, l’attenzione si spostò altrove, sulle sfide che si pongono oggi e sul come la VC è chiamata a rispondere. Con la dimensione della fede e della consacrazione ridotta a semplice dato introduttivo.
Anche il recente documento “Vino nuovo in otri nuovi” è rimasto in questa linea. Insiste fortemente sull’esigenza di otri nuovi, ma dimentica troppo che il vero problema, oggi come non mai, non sta negli otri bensì nel vino che ci mettiamo dentro. La vera sfida per noi consacrati è la fede, la qualità di vita evangelica che ci dovrebbe caratterizzare. Se manca questo, a poco servono gli otri, anche i più indovinati e attuali. La gente continuerà a venire da noi a prendere prestazioni e servizi, ma le ragioni per vivere le andrà a cercare altrove. E allora?
Ciascuno secondo il proprio dono
C’è certamente, ed è fondamentale, il compito assegnato a ogni famiglia, ed è l’ambito della missione, la capacità sempre dimostrata dai consacrati di rispondere alla domanda che emergeva di volta in volta sia nella Chiesa che nella società. Papa Francesco ci richiama continuamente a questo, ed è fondamentale. Ma è indispensabile che tutto sia capito e vissuto nel suo giusto senso.
Bisogna saper tenere insieme due cose: il compito assegnato e ciò da cui proviene, cioè l’opera dello Spirito e la qualità di vita evangelica che, unica, può dare significato all’adempimento dei compiti assegnati. Occorrono delle presenze che, al di là di tutto e prima di tutto, sappiano dire il vangelo, perché è poi questo ciò di cui veramente ha bisogno l’uomo, oggi come ieri: l’incontro con Dio in Gesù Salvatore.
Qui entra in gioco anche la realtà e il problema delle opere, le nostre opere. Oggi, in una società secolarizzata e sempre più radicalmente laicizzata, la legislazione pubblica tende a livellare tutto in un unico stampo, come se gli Stati si sentissero disturbati o minacciati dalla presenza della Chiesa e delle sue istituzioni. Bisogna difendersi da questo “totalitarismo laico” e la via, per noi consacrati, è essere noi stessi nel modo che stiamo dicendo, parlando di carisma.
Ritornare a essere Chiesa
Ne vengono per conseguenza due cose, che penso debbano essere tenute in conto, e su cui devo un attimo indugiare: una riguarda la VC che deve ritrovarsi nella sua natura teologico-spirituale profonda, decisamente oltre le componenti istituzionali e giuridiche che, messe in primo piano, diventano alienanti; l’altra riguarda il nostro essere Chiesa dentro la chiesa locale, perché è lì che prende senso la VC. Ed è ancora la realtà del carisma VC a indicare la strada.
Se andiamo al significato dei carismi così come è detto da Paolo in 1Cor 12-14, ci sono due cose che vengono in evidenza: la prima è che sono dati per l’edificazione della Chiesa; la seconda che sono complementari e devono contribuire all’unità. Se riferiamo questo alla natura carismatica degli istituti religiosi, ne viene che solo insieme – non certamente separati ciascuno per conto suo – possono diventare ciò che sono; e poi, seconda cosa, appunto perché voluti per l’edificazione della Chiesa, non potranno certamente esserlo estraniandoci da essa, e particolarmente dalla chiesa locale di cui sono parte.
Ci sono allora due cose: prima di tutto il dovere di fedeltà che lega le singole famiglie a quello che chiamiamo il carisma dell’istituto, che è quanto dire il motivo per cui Dio ha voluto le diverse espressioni di VC. Non è una realtà da cui si possa prescindere: la storia della Chiesa sarebbe impensabile senza la miriade di istituti e di realizzazioni che hanno caratterizzato la VC nei secoli; questo rimane vivo oggi più che mai, ma con una nota che si rischia sempre di trascurare, benché fondamentale: il fatto cioè che la fedeltà alla vocazione ricevuta si deve realizzare non solo “per la Chiesa”, ma “dentro la Chiesa”, in comunione con tutte le componenti che la caratterizzano.
Aprirsi a condividere
È questa una cosa che Paolo ha fatto fatica a far capire anche alla chiesa di Corinto. Proprio la molteplicità dei carismi rischiava di dividere la comunità. Ed è ciò che può capitare, e capita, anche a noi oggi, per come viviamo la molteplicità dei doni e delle vocazioni che caratterizzano la vita della Chiesa d’oggi. Ci siamo dentro tutti: preti, religiosi, religiose e laici.
Per ciò che riguarda i consacrati ci sono alcune cose da riconsiderare. Proprio per aver messo in ombra la dimensione carismatica, ci si è trovati a vivere una VC organizzata in modo chiuso, ogni istituto per conto suo, dentro le proprie case, opere e comunità; con la vita di relazione e di “presenza” limitata agli utenti dei propri servizi e apostolati. Anche la relazione tra istituti non c’è stata, con danno di quella sinodalità che molto avrebbe potuto aiutare soprattutto nel momento del cambiamento. Più ancora, bisogna riconoscere la povertà, per non dire il vuoto, di vere relazioni tra VC e Chiesa nel contesto concreto delle chiese locali. Con i preti che fanno parte a se stessi e si trovano soli, sempre più soli, nell’adempimento del loro compito di pastori; i religiosi ugualmente per conto loro; e i vescovi che tengono a punto di riferimento del loro ministero solo i preti diocesani e le parrocchie.
È evidente quanto tutto questo chieda di essere ripensato. Dobbiamo tornare a un concetto nuovo di Chiesa, che si ponga in una prospettiva non istituzionale ma spirituale e carismatica: una Chiesa di molte vocazioni proprio perché molti sono i doni dello Spirito.
Una parola sulla sinodalità
Cerco di spiegarmi ricorrendo alla categoria della sinodalità, un concetto che prende senso proprio nella prospettiva del carisma, il carisma visto nella molteplicità dei doni che arricchiscono la Chiesa e che chiedono di incontrarsi e di essere condivisi. Proprio questa è la parola: imparare a condividere i doni di Dio dentro la chiesa, l’unica chiesa di Gesù.
Se il discorso sulla chiesa e tutte le espressioni di Chiesa – compresa la VC – lo fermiamo a livello istituzionale e giuridico, si rimane inevitabilmente separati: preti, consacrati e laici ognuno per conto suo. Anche i movimenti e i “nuovi carismi” a cui si interessa Juvenescit ecclesia, per quanto autentici possano essere, rimangono, come di fatto sono almeno spesso, chiusi nella loro autosufficienza. Se invece i molti carismi – compresi quelli gerarchici – sono vissuti nello Spirito Santo, che è Spirito di amore e di comunione, allora e soltanto allora si esce dalle vicendevoli separatezze. Si realizza la Chiesa come comunità, la comunità di Gesù, e trova compimento il “Sint unum” per il quale Gesù ha pregato e che ha lasciato a noi come compito. Che è poi ciò a cui Paolo richiama i Corinzi proprio parlando dei carismi …
Bisognerebbe non dimenticarlo. Quello che qui c’è di mezzo è prima di tutto un problema di mentalità – e poi di stile di vita – dunque un problema che tocca i livelli profondi del nostro vivere, ed è a questo livello che bisogna risalire, se vogliamo raccogliere i frutti desiderati.
Per una VC profetica
Emerge molto forte nella prospettiva che ci sta interessando, la dimensione profetica della VC. Papa Bergoglio ha ripetuto più volte che la VC o è profezia o non è. Ebbene, se usciamo dagli schemi di sempre, ritornando al carisma nel suo vero significato, ritroveremo anche la nostra vocazione profetica. Si romperanno gli schemi che ci tenevano chiusi e ci sarà data quella libertà che è indispensabile per vedere oltre, a ciò che i tempi e il vangelo oggi chiedono.
Sappiamo qual è lo stile di Chiesa – e di VC nella Chiesa – che papa Francesco ci indica. Egli ci chiede di "uscire", più precisamente: uscire dall'autoreferenzialità. È una parola che riguarda tutti: preti, religiosi e laici, e ciò che la rende anche più significativa è che papa Bergoglio la riferisce non solo alle persone singole, ma molto di più ai soggetti collettivi: la Chiesa e tutte le espressioni di Chiesa, e tra queste gli istituti religiosi.
a/ “Uscire dal nido”
Quando parla della VC papa Francesco si esprime proprio in questi termini, ed è ancora un rimandare alla prospettiva carismatica che stiamo delineando. «Lasciarsi conquistare da Cristo significa essere protesi sempre verso oltre. L’incontro con il Signore ci mette in movimento, ci spinge a uscire dall’autoreferenzialità (EG. 265). «Chi mette al centro della propria vita Cristo, si decentra: più ti unisci a Gesù e lui diventa il centro della tua vita, più lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri» (sett. 2013). «Non siamo al centro, siamo, per così dire, “spostati”– così ai gesuiti – siamo al servizio del Cristo e della Chiesa» (luglio 2013).
È ancora l’invito a “uscire”, ed è la dimensione carismatica e profetica della vocazione religiosa. Bisogna "uscire dal nido", ha detto il papa ai superiori generali nella loro assemblea di novembre 2013: «Il fantasma da combattere è l’immagine della VR intesa come rifugio e consolazione davanti a un mondo esterno difficile e complesso». Bisogna «uscire dal nido», e abitare la vita degli uomini e delle donne del nostro tempo.
b/ - Carismi profetici
Anche parlando del carisma, papa Francesco insiste sulla dimensione profetica, sottolineando che, se si dimentica questo, il carisma stesso viene meno. Parlando ai suoi confratelli, i gesuiti – l'espressione può stupire ma è così – li ha messi in guardia dalla «tentazione di esplicitare troppo il carisma». Non pensiamo che questo contraddica ciò che abbiamo detto: è semplicemente l’invito a non parlare troppo di se stessi. Ancor prima, parlando al sinodo sulla VC – l'intervento in cui disse che «il problema più grave della VC oggi è la mondanità spirituale» – Bergoglio aggiunse che nella mondanità si cade quando «ci si preoccupa eccessivamente del proprio carisma, prescindendo dal suo reale inserimento nel santo popolo di Dio». Allora «la vita religiosa finisce per essere un pezzo da museo o un “possedimento”chiuso in se stesso e non messo a servizio della Chiesa».
Spero che questo sia apparso chiaro anche da ciò che abbiamo detto sul carisma. Fa però riflettere il fatto che perfino questa categoria teologica, che è per eccellenza un fatto "spirituale" e di comunione, possa diventare esattamente il contrario di ciò che significa. E lo diventa, dice papa Francesco, quando è concepito e vissuto in modo autoreferenziale ed egocentrico.
Questo non significa dimenticare i fondatori. Sono nostri padri e maestri e della loro eredità noi viviamo, ma questo potrà avvenire nei modi debiti solo se sapremo vivere la natura radicalmente spirituale, e in questo senso carismatica e profetica, della nostra vocazione. In fondo tutto si riassume qui: saper spendere “verso fuori”, dentro le chiese locali di cui siamo parte e anche al di là di esse, il patrimonio spirituale che il buon Dio ha messo nelle nostre mani. Non lo faremo da soli, neanche come consacrati, ma con tutte le vocazioni che arricchiscono la Chiesa, vocazioni con le quali dobbiamo interagire, consegnati tutti al medesimo scopo, in una sinodalità ancora tutta da inventare, ma che sempre di più appare come la Chiesa del futuro.
La realtà del carisma è così: c’è dentro tutto, a cominciare dalla nostra vocazione e missione nella Chiesa. E soprattutto ci aiuta a capire “come” questo “tutto” può/deve essere vissuto. E ciò che emerge come sintesi – bisogna tenerlo presente – è la categoria troppo dimenticata della vita cristiana e consacrata come “vita nello Spirito”. La teologia del “carisma” è importante perché ci fa vedere in modo anche molto concreto, come cammina proprio la “vita nello Spirito”, in se stessa e nella dimensione “verso fuori”, nella prospettiva della missione.
Luigi Guccini scj