Dall'Osto Antonio
Sr. Rani Maria, prima beata "vergine e martire" dell'India
2018/1, p. 11
Il 4 novembre scorso a Indore, in India, è stata proclamata “Beata” sr. Rani Maria Vattalil, clarissa francescana, assassinata nel 1995. Tra i presenti al rito, anche Samander Singh, il suo assassino, un povero tribale, poi pentitosi e perdonato dalla famiglia, e convertitosi al cristianesimo. Accanto a lui, in prima fila, c’era anche la sorella di sr. Rani, sr. Selmy Paul, anch’essa suora.

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Sr. Rani Maria, prima beata “vergine e martire” dell’India
Il 4 novembre scorso a Indore, in India, è stata proclamata “Beata” sr. Rani Maria Vattalil, clarissa francescana, assassinata nel 1995. Tra i presenti al rito, anche Samander Singh, il suo assassino, un povero tribale, poi pentitosi e perdonato dalla famiglia, e convertitosi al cristianesimo. Accanto a lui, in prima fila, c’era anche la sorella di sr. Rani, sr. Selmy Paul, anch’essa suora.
Ha presieduto la cerimonia di beatificazione, davanti a 10/15 mila fedeli, il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, assistito dal card. Baselios Cleemis, presidente della Conferenza episcopale dell’India, il card. George Alencherry, capo della chiesa siro-malabarese e il card. Oswald Gracias, presidente della Conferenza di rito latino e altri vescovi.
Il card. A. Amato, leggendo la lettera del papa con cui Rani Maria veniva proclamata “beata” ha affermato che questa “vergine e martire” ha riconosciuto «il volto di Cristo sofferente nei poveri e negli afflitti, e li ha amati fino a versare il suo sangue».
Il giorno dopo la beatificazione, domenica 5 novembre, lo stesso papa Francesco l’ha ricordata all’Angelus dicendo: «Suor Vattalil ha dato testimonianza a Cristo nell’amore e nella mitezza, e si unisce alla lunga schiera dei martiri del nostro tempo. Il suo sacrificio sia seme di fede e di pace, specialmente in terra indiana. Era tanto buona. La chiamavano “la suora del sorriso”».
Prima martire dell’India
Sr. Rani è la prima donna martire dell’India. Era originaria del Kerala, dov’era nata nel piccolo villaggio di Pulluvazhy il 29 gennaio 1954, da una famiglia di contadini. I suoi genitori, ferventi praticanti, nel battesimo le avevano imposto il nome di Mariam.
Fin dall’infanzia era solita assistere regolarmente alla santa messa e prendere parte alle devozioni popolari. Suo fratello Stephen testimonia di lei: «Era una ragazza di poche parole, vestiva solo abiti molto semplici, senza fronzoli... Era diversa dalle altre ragazze ed era straordinariamente obbediente. A scuola era molto brava, ma trovava il tempo anche per aiutare suo padre nel lavoro dei campi e sua madre nelle faccende domestiche».
All’età di 20 anni entrò nella Congregazione delle suore francescane clarisse, un istituto di origine locale, ispirato alla spiritualità di S. Francesco d’Assisi. Era infiammata di zelo missionario e ripeteva spesso: «Anch’io voglio andare nel nord dell’India a servire i poveri e a morire per loro».
Una volta esaudita, fu inviata a Udainagar, nella diocesi di Indore, nel Madhya Pradesh, dove rimase per 20 anni fino al giorno del suo martirio. Era convinta che un evangelizzatore deve interessarsi della vita dei poveri, per donare loro Cristo, il suo amore, il suo messaggio di redenzione e aiutarli a crescere materialmente e spiritualmente.
Studiando a fondo le tribù dei villaggi, si accorse che la gente era vittima degli strozzini e degli sfruttatori. Organizzò allora dei programmi di coscientizzazione e si adoperò per la bonifica delle zone paludose del luogo che furono trasformate in terreni fertili. E soprattutto riuscì a liberare la gente dai loro usurai. Ma questi, toccati nei loro interessi, pieni di odio verso di lei, decisero di eliminarla.
L’occasione si presentò presto. Il 25 febbraio 1995 sr. Rani aveva preso il pullman che doveva condurla fino a Indore e di qui proseguire fino nel Kerala. Sul pullman erano saliti anche tre individui intenzionati ad ucciderla. Il capo di questi, Samandhar Singh, 28 anni, dopo aver preso posto accanto a lei, cominciò a insultarla dicendole: «Perché sei venuta qui dal Kerala. Sei venuta a convertire al cristianesimo questa povera gente tribale? Noi non lo permetteremo».
Dopo una ventina di chilometri, Samandhar chiese all’autista di fermarsi. Scese e spaccò una noce di cocco contro una roccia: era un pooja, un rito sacro di offerta alle loro divinità. Risalito in pullman, distribuì i pezzi ai passeggeri. Poi finse di darne uno anche a sr.Rani che gli chiese: «perché sei così allegro, oggi?”. Tirando fuori un coltello, le rispose: «per questo qui», e la colpì nello stomaco e continuò a pugnalarla, trascinandola fuori dal pullman, mentre Rani ripeteva “Gesù, Gesù”, fino a spirare. Nell’autopsia le furono riscontrate 40 ferite gravi e 14 ecchimosi.
Il perdono
L’assassino fu poi arrestato e condannato a 20 di carcere. La vigilia dell’ottavo anniversario dell’uccisione, la mamma di sr.Rani, Eliswa, andò a trovarlo per offrirgli il perdono: «desideravo – disse – compiere questo gesto, baciare le mani che avevano ucciso mia figlia, perché quelle mani erano bagnate dal suo sangue». Nessun gesto di perdono poteva essere più efficace e l’episodio fu divulgato anche dai mass media.
Lo stesso gesto di perdono fu compiuto anche dalla sorella più giovane di sr.Rani, sr. Selmy Paul. Profondamente colpito, Samandhar Singh chiese perdono a sr. Selmy.
Durante gli anni trascorsi in carcere, sua moglie aveva divorziato e il suo primo figlio era morto. Intanto rimuginava tra sé come poter vendicarsi dell’uomo che l’aveva spinto ad uccidere la suora. Ma toccato nel profondo dal perdono concessogli dalla famiglia di sr. Rani abbandonò il progetto.
Dopo 11 anni di detenzione, fu rilasciato in seguito a una petizione firmata dalla famiglia di sr. Rani, dalla superiora provinciale della sua Congregazione e dal vescovo di Indore. Ma siccome il rilascio tardava a venire, una delegazione si recò dal governatore locale per perorare la sua causa. Questi disse: «Solo voi cristiani siete capaci veramente di perdonare. Siete un grande esempio. Andate, farò il possibile perché sia rilasciato».
Ora Samandhar Singh è una persona libera. Non solo si è pentito, ma ha anche abbracciato la fede cristiana. Adesso trascorre il tempo nell’aiutare la gente tribale e considera la famiglia di sr. Rani come sua. «Io visito regolarmente la sua tomba» ha dichiarato, «per me è come un santuario di pace e di forza. Desidero che tutti sappiano che i cristiani lavorano per rendere grande l’India. I missionari ci danno speranza con il loro servizio che ha lo scopo di rendere un popolo forte e indipendente.
In occasione della beatificazione, sr. Rani è stata presentata come un modello per coloro che sono perseguitati e il suo martirio infonderà forza ai cristiani che in questo momento devono far fronte a una “allarmante” crescita della persecuzione. «Noi - ha dichiarato un giornalista - solo durante quest’anno, abbiamo registrato più di 600 episodi di attacchi contro i cristiani, aggressioni fisiche, distruzione di chiese, impedimenti alla preghiera».
Secondo un’altra testimonianza, i gruppi radicali indù sono decisi a recare danno all’immagine dei cristiani e possibilmente a cancellare il cristianesimo dall’India. Per questo, sempre secondo la stessa fonte, oggi l’evangelizzazione diretta nel nord dell’India è impensabile, i radicali indù si oppongono persino alle ordinarie attività umanitarie dei missionari.
«Non abbiamo paura di questi attacchi», ha affermato da parte sua il vescovo Basil, della diocesi di Jhabua, nel Madhya Pradesh. «La maggior parte dei cattolici nella mia diocesi – ha aggiunto – sono tribali. Ma una volta che hanno accolto la fede, non si arrenderanno, qualsiasi cosa avvenga. Sono pronti a morire come la beata Rani Maria».
Antonio Dall’Osto