Chiaro Mario
Nuove generazioni a confronto
2017/9, p. 29
In un momento storico in cui il fenomeno migratorio è epocale, esso ha sicuramente il volto del giovane. I migranti sono giovani e se i giovani sono i più colpiti da questo tempo, continuano ad esserne i protagonisti.

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XXVI Rapporto immigrazione Caritas – Migrantes
NUOVE GENERAZIONI
A CONFRONTO
In un momento storico in cui il fenomeno migratorio è epocale, esso ha sicuramente il volto del giovane. I migranti sono giovani e se i giovani sono i più colpiti da questo tempo, continuano ad esserne i protagonisti.
Sui “migranti minorenni, vulnerabili e senza voce” si è concentrato papa Francesco nel suo Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2017: «mi sta a cuore richiamare l’attenzione sulla realtà dei migranti minorenni, specialmente quelli soli, sollecitando tutti a prendersi cura dei fanciulli che sono tre volte indifesi perché minori, perché stranieri e perché inermi, quando, per varie ragioni, sono forzati a vivere lontani dalla loro terra d’origine e separati dagli affetti familiari». In un momento storico in cui il fenomeno migratorio deve essere definito epocale, esso ha sicuramente il volto del giovane. I migranti sono giovani e se i giovani sono i più colpiti da questo tempo ne continuano a essere i protagonisti indiscussi. Proprio i giovani sono al centro dell’attenzione del XXVI Rapporto immigrazione 2016 di Caritas italiana e Fondazione Migrantes. Con il titolo “Nuove generazioni a confronto” il collaudato strumento di indagine questa volta focalizza l’attenzione sulle giovani generazioni: gli italiani e i giovani di nazionalità non italiana, nati o meno in Italia, che però vivono nelle città italiane, frequentano le scuole del paese, lavorano, cercano un’occupazione o vivono la disoccupazione come i coetanei di cittadinanza italiana. Il modello sotteso al Rapporto è sempre quello della “convivialità delle differenze”, in cui soprattutto le nuove generazioni sono chiamate ad avere il ruolo di protagoniste. Infatti la qualità della democrazia e della comunione ecclesiale si misura anche nella qualità della cittadinanza, come luogo di crescita del bene comune da una parte e della fraternità dall’altra.
L’Italia
nella mobilità globale
Ricordiamo che nel 2015 sono oltre 243 milioni le persone che nel mondo vivono in un paese diverso da quello d’origine. Dal 1990 al 2015 il numero delle persone che hanno lasciato il proprio paese è aumentato quasi del 60%. Nel 2015 i migranti rappresentano il 3,3% dell’intera popolazione mondiale. Dopo la crisi del 2008 il numero degli stranieri residenti nell’Unione Europea ha continuato a crescere giungendo a quasi 37 milioni, con un’incidenza sulla popolazione totale del 7,3%. Tra i 10 paesi con il più alto numero di migranti troviamo gli Stati Uniti, la Germania, la Federazione Russa, l’Arabia Saudita e il Regno Unito. L’Italia è all’undicesimo posto.
E in Italia si trovano oltre 5 milioni di cittadini stranieri, l’8,3% della popolazione. Al 1° gennaio 2016 infatti le persone di cittadinanza straniera risultavano essere circa 5 milioni (di cui il 52,6% donne), pari all’8,3% della popolazione complessiva (circa 60 milioni e 700mila), che è in calo di circa 130mila unità rispetto all’anno precedente. Al 1° gennaio 2017 si registra un calo ulteriore di 89mila italiani, solo in parte compensato (+2.500) dagli stranieri. Il saldo totale della popolazione italiana è dunque di 60 milioni e 579mila, registrando così una ulteriore diminuzione di 86mila unità. In questo inesorabile declino demografico si colloca la presenza vitale e innovativa degli stranieri, in particolare dei giovani: sono 814.851 gli alunni con cittadinanza non italiana nelle scuole nell’anno scolastico 2015/2016 (il 9,7% del totale). Il dato di maggior spicco è che più della metà – il 58,7% – sono nati in Italia. E vorrebbero essere cittadini italiani, come previsto dalla legge su cui si sta dibattendo in Senato, disegnata non più sulla legge attuale basata sullo “ius sanguinis” (la cittadinanza si acquisisce per nascita o adozione da almeno un genitore con cittadinanza italiana) ma sul principio dello “ius soli” ‒ secondo il quale l’acquisizione della cittadinanza è conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul nostro territorio indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori ‒, uno “ius soli” però temperato dal cosiddetto “ius culturae” (i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni di età possono diventare italiani dimostrando di aver frequentato regolarmente almeno 5 anni di percorso formativo). Nel frattempo le acquisizioni di cittadinanza (al 31 dicembre 2015) con la legge attualmente in vigore sono state 178mila, con un aumento del 37,1%. I diciottenni che hanno fatto richiesta erano 10mila nel 2011, sono diventati 66mila nel 2015.
Italia
paese multiculturale
L’Italia sta così diventando un paese sempre più multiculturale, con 198 nazionalità diverse: ai primi posti la Romania (circa 1 milione 152mila), a seguire l’Albania (circa 468mila), il Marocco (circa 437mila) e la Cina (circa 271mila). Al 1° gennaio 2016 sono stati concessi 3.931.133 permessi di soggiorno, con un aumento di sole 1.217 unità (il 48,7% sono donne). Il 42% chiede il permesso per motivi di lavoro, il 41,5% per ricongiungimenti familiari, il 9,7% è legato alla richiesta d’asilo. Come negli anni passati le presenze sono soprattutto in tre regioni del Nord – Lombardia (22,9%), Emilia Romagna (10,6%) e Veneto (9,9%) – e in una del Centro, il Lazio (12,8%).
Tra le 178mila acquisizioni di cittadinanza del 2015 si registrano fenomeni nuovi: diminuiscono dal 25% al 16% le donne straniere che chiedono l’acquisizione di cittadinanza a seguito di matrimoni con italiani. Secondo il Rapporto è «il frutto di un lungo percorso di integrazione». Altre novità significative sono l’aumento dei matrimoni di uno sposo straniero con una sposa italiana (+5,9%) e il calo dei matrimoni tra stranieri (-5,9%), in totale 6mila. I matrimoni in cui almeno uno dei due sposi era di cittadinanza straniera erano 24mila, pari al 14,1% delle nozze celebrate nel 2015. Gli uomini italiani sposano in prevalenza rumene (20%), ucraine (12%) e russe (6%). Le donne italiane preferiscono invece marocchini (13%), albanesi (11%) e rumeni (6%).
I dati scolastici ci dicono che, nelle scuole secondarie di II grado, si conferma la propensione dei ragazzi stranieri a scegliere istituti tecnici e professionali, ma aumentano nelle università. Negli atenei (anno accademico 2015/2016) su 271mila studenti, gli immatricolati di cittadinanza non italiana sono il 5% (erano il 3,7% l’anno precedente) e contano soprattutto rumeni (14,7%), albanesi (12,6%) e cinesi (9,2%).
Tipicamente italiano è però il fenomeno dell’overeducation: l’eccesso di laureati non assorbiti dal mercato del lavoro o costretti a occupazioni che richiedono minori qualifiche. Questo fenomeno per gli italiani rappresenta il 19,9%, tra gli stranieri è il 65,9%: gli stranieri sono impiegati come operai (39,2%) e domestici (22,3%), soprattutto filippini e ucraini. Nel mercato del lavoro gli occupati stranieri nel 2016 sono circa 2 milioni e 409 mila, in cerca di lavoro 425mila, inattivi circa 1 milione e 203mila: quindi in tutto circa 4 milioni e 125mila in età da lavoro, con un aumento dell’occupazione del 2,1% rispetto al II trimestre dell’anno precedente. Ma il 35% sono giovani Neet, cioè coloro che non studiano né lavorano, una percentuale di almeno dieci punti più alta rispetto a quella degli italiani. Questo anche perché, nell’ambito di alcune comunità immigrate, le giovani donne sono relegate nel ruolo di casalinga. I tre quarti degli stranieri lavorano nel settore dei servizi collettivi e personali (28,3%), nell’industria (17,3%), nelle costruzioni (10,2%), nel settore alberghiero e della ristorazione (10,1%), nel commercio (9,7%). Un aspetto da notare è anche il diverso modello di inserimento lavorativo degli stranieri rispetto agli italiani. Questa “segregazione occupazionale” risulta ancora più evidente se si mette in relazione al genere: le donne straniere, infatti, lavorano soprattutto nel settore dei servizi collettivi o alla persona, mentre gli uomini si concentrano nell’industria in senso stretto e nelle costruzioni. Grande è poi la differenza di retribuzione media mensile: per gli italiani è di 1.356 euro, per gli stranieri scende a 965 euro (-30%). D’altro canto è sempre in crescita l’imprenditoria straniera: oltre 354mila imprese a fine 2015 (+5,6%), soprattutto nel commercio, nelle riparazioni di autoveicoli e nel settore delle costruzioni.
Lo straniero,
giustizia penale e devianza
Gli stranieri sono il 34,07% della popolazione carceraria (fine 2016), pari a 18.621 detenuti, in maggioranza per reati contro il patrimonio (oltre 8mila), violazione delle norme in materia di stupefacenti (quasi 7mila) o condanne per reati contro la persona (oltre 6.000). I minori stranieri sono circa un terzo (quasi 4mila) dei soggetti presi in carico (14.920) al 15 marzo 2017 dal Servizio sociale per i minorenni. Il Marocco è la nazione più rappresentata negli istituti di pena (oltre 3mila detenuti, il 17,6%), seguita dalle persone di nazionalità rumena (oltre 2.720, il 14,6%), albanese (2.429, il 13%), tunisina (1.998, il 10,7%), nigeriana (904, il 4,9%), egiziana (705, il 3,8%), senegalese (461, il 2,5%) e algerina (408, il 2,2%). Il detenuto tipo ha meno di 40 anni, non ha legami familiari ma ha comunque uno o più figli. La maggioranza dei detenuti stranieri è racchiusa nella fascia d’età che va dai 25 ai 39 anni (quasi 11mila).
Il Rapporto, sottolineando il crescente sentimento di insicurezza percepito nella società di oggi, insiste nel «trattare il concetto di devianza e la sua correlazione con le dipendenze, nuove e vecchie, con particolare riferimento all’incidenza di tali fenomeni tra la popolazione giovanile immigrata. Tra gli elementi di devianza si individuano: il fattore economico, con lavori spesso squalificati e squalificanti riservati agli immigrati in condizioni di sfruttamento e frustrazione delle aspettative che avevano indotto gli stessi a emigrare; la ghettizzazione di chi, per difficoltà economiche e di inserimento sociale, riesce a trovare alloggio solo in zone ai margini delle città, veri e propri ghetti ad alta conflittualità; l’aspetto culturale, in quanto i comportamenti devianti possono essere il risultato, anche come forma di protesta, di fronte al senso di sradicamento dalla cultura di origine e dal senso di imposizione di modelli culturali difformi dai propri, con conseguente smarrimento del senso di appartenenza e dell’identità. Occorre considerare anche i rischi legati al fattore consumismo. L’omologazione collettiva a modelli consumistici, propria della società odierna, ha accentuato il divario tra benestanti e nuovi poveri, tra i quali spiccano proprio gli immigrati. Questo processo di emarginazione, specie nei più giovani, produce una reazione rivendicativa che li può spingere a omologarsi al consumismo, mettendo in atto azioni illecite. Anche la stigmatizzazione, sempre più evidente, nei confronti del diverso, visto come fonte di pericolo, può produrre una reazione di rifiuto nello straniero, in risposta al controllo sociale degli autoctoni… Anche la nostalgia per il proprio paese e per gli affetti lontani può tradursi in disturbi psichici, come sindromi depressive o psicosomatiche. La perdita di punti di riferimento può condurre a compiere gesti aggressivi, come reazione alla deprivazione affettiva. È evidente che anche il concorso di più elementi di frustrazione, dovuta all’inferiorità socio-economica, alle condizioni di vita sfavorevoli, alla discriminazione etnica e razziale e alla stigmatizzazione, quando non producono scompensi psichici, possono causare aggressività e da qui produrre anche comportamenti violenti. Lo stato di indigenza è uno dei maggiori fattori di rischio. In tal senso, occorre tenere in considerazione l’esistenza di gruppi sociali che versano in una condizione che supera il concetto stesso di povertà economica e che corrisponde invece allo stato di povertà estrema. La deprivazione, l’isolamento e l’esclusione creano situazioni di scarsa coesione sociale le quali, associate allo stress e alla violenza che fanno da radici alla dipendenza da droghe e da alcool, intensificano i fattori che ne hanno indotto l’assunzione».
I giovani,
costante delle migrazioni
Il card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas Italiana, ha sottolineato come i numerosi Rapporti promossi a livello nazionale e internazionale in tutti questi anni possono essere iscritti a pieno titolo nello sforzo comune di accompagnare i cristiani e la società tutta nella comprensione di quanto sta accadendo. «In questi anni sono aumentate le famiglie dove almeno un componente è di origine straniera, sono cresciuti gli alunni stranieri, sono nati tanti bambini da genitori non italiani. Insomma, il panorama migratorio è inevitabilmente mutato grazie proprio alla fluidità che caratterizza questo fenomeno». Nonostante questi mutamenti, un aspetto è risultato una costante delle migrazioni: «la giovane età di chi decide di lasciare il proprio paese per affrontare l’avventura migratoria. I giovani sono ancora la cifra costitutiva delle migrazioni contemporanee. Le motivazioni sono note ai più, ma al di là di ciò che può spingere un giovane a emigrare, per noi è importante valorizzare la sua presenza nel nostro paese. I giovani sono il futuro e nel nostro caso sono il futuro dell’Italia che purtroppo è destinata a un lento declino demografico, oggi più contenuto grazie proprio alla componente straniera della popolazione. La stanzialità di molti migranti ha poi portato alla creazione di tante famiglie all’interno delle quali nascono bambini e bambine che condivideranno con i loro coetanei le sfide di un paese che ancora fatica a trovare una sua identità multiculturale. Nove anni fa papa Benedetto riferendosi sia agli studenti e che ai giovani lavoratori migranti, diceva: “Cari giovani preparatevi a costruire accanto ai vostri giovani coetanei una società più giusta e fraterna, adempiendo con scrupolo e serietà i vostri doveri nei confronti delle vostre famiglie e dello Stato”».
Mario Chiaro