La Mela Maria Cecilia
L'archivio sacrario della memoria
2017/9, p. 26
Per una comunità religiosa l’archivio diventa strumento di formazione. Si potrebbe fare una sorta di “lectio divina” in base a quanto ci viene narrato. La memoria documentaria depositata in archivio va letta come storia di salvezza in cui rintracciare il filo rosso dell’agire di Dio che opera nella Chiesa e in ogni cristiano.

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Strumento a servizio della comunità
L’ARCHIVIOSACRARIO DELLA MEMORIA
Per una comunità religiosa l’archivio diventa strumento di formazione. Si potrebbe fare una sorta di “lectio divina” in base a quanto ci viene narrato. La memoria documentaria depositata in archivio va letta come storia di salvezza in cui rintracciare il filo rosso dell’agire di Dio che opera nella Chiesa e in ogni cristiano.
L’archivio, frutto dell’attività pratica dell’uomo e del bisogno di perpetuare il ricordo di fatti importanti, è un’ “invenzione” antichissima. Le civiltà del passato già curavano con attenzione quanto prodotto ai fini della consultazione giuridico-amministrativa, ma anche per conservare e tramandare la memoria (materiale cartaceo, tavolette di argilla, monumenti ecc… persino i graffiti nelle grotte esprimevano, in realtà, una sorta di primitivo bisogno di immortalare un evento). La Bibbia nomina l’archivio di Babilonia e alcuni archivisti israeliti che venivano consultati proprio per la qualifica di accreditati custodi della memoria, persone di pubblica fede diremmo noi.
Questo innato bisogno di valorizzare ciò che si fa o avviene, al di là delle sole funzioni pratiche, può diventare oggetto anche di una meditazione spirituale. L’uomo si costituisce proprio per la capacità di recepire e custodire il valore dell’esistenza quale mistero trascendente e irripetibile.
Importanza degli archivi
Come la Vergine Maria che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19) e giustamente definita da Giovanni Paolo II «la memoria della Chiesa», ognuno di noi, in quanto persona dotata di funzione mnemonica e di coscienza, sente che nulla di quanto accade debba andare perduto, tutto è prezioso perché capace di raccontare qualcosa che ci appassiona e ci coinvolge.
L’accezione “vivo” dell’archivio in formazione, il cosiddetto archivio corrente, in fondo non vuole dire altro che gli archivi – anche laddove si conserva solo ciò che riguarda il passato non però come “morto” – pur essendo fatti di cose materiali, sono una realtà viva che, attraverso gli archivisti e quanti attingono a sì grande patrimonio, dialoga e interagisce perché “incarnata” nelle vicende delle persone. È, dunque, connaturale nell’uomo il bisogno di conservare ciò che fa parte del suo vissuto e di coloro che gli sono correlati: la famiglia, il suo popolo… Ogni individuo è – o dovrebbe essere – consapevole che senza memoria non c’è identità, non si scrive la storia, non si è presi dall’urgenza di consegnare alle generazioni future l’esperienza di ciò che è stato, anche negli aspetti bui proprio perché assurgano a indicatori credibili ed efficaci di progresso e umanizzazione. La perdita volontaria o accidentale della memoria è un danno irreversibile. Ecco che “custodire” con responsabilità quanto si va costituendo in un presente già gravido di futuro, diventa non soltanto un fatto conseguenziale, ma anche un dovere, una missione.
La Chiesa
comunità narrante
Un significativo passaggio nella quarta pubblicazione a firma della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita apostolica ci aiuta a operare il giusto collegamento tra la realtà degli archivi e la nostra specifica vita di consacrati in una comunità, all’interno di un Ordine o Istituto religioso, piccole trame dell’ampio tessuto ecclesiale. «La Chiesa è una comunità narrante che fa memoria dell’amore di Dio in Cristo Gesù. Tale narrazione è essenzialmente educativa».
Crediamo sia necessario non smarrire mai questo assioma. In quanto parte della Chiesa, ogni comunità religiosa è chiamata a vivere con consapevolezza e responsabilità questa sua connotazione narrante che apre soprattutto a due dimensioni: quella esistenziale di essenza identitaria: chi siamo, ciò che siamo e ciò che ci identifica e qualifica, e quella della trasmissione – la dimensione educativa di cui parla il documento – nell’orizzonte della continuità e della consegna. Il fare memoria crea contemporaneità tra passato e presente, tra colui che ricorda e ciò che è ricordato, e soprattutto chiede l’esercizio esplicito dell’intelligenza che cerca di cogliere connessioni più o meno evidenti tra i fatti. È qualcosa di molto attivo e dinamico. Ciò che non si ricorda si disintegra, si perde nel nulla del non senso.
Bisogna ricordare per trasmettere. Solo così si può consegnare alle nuove generazioni una storia che non è relegata nel passato, ma è proprio questa identità in atto, sguardo aperto al futuro, motivo di una speranza intessuta di fedeltà che sa andare oltre le contingenze e le difficoltà. Nella Lettera apostolica del Santo Padre Francesco in occasione dell’Anno della Vita consacrata (21 novembre 2014) c’è una bellissima indicazione che si può ben applicare a quanto fin qui detto: «Raccontare la propria storia è indispensabile per tenere viva l’identità, così come per rinsaldare l’unità della famiglia e il senso di appartenenza dei suoi membri. Non si tratta di fare dell’archeologia o di coltivare inutili nostalgie, quanto piuttosto ripercorrere il cammino delle generazioni passate per cogliere in esso la scintilla ispiratrice, le idealità, i progetti, i valori che le hanno mosse. È un modo anche per prendere coscienza di come è stato vissuto il carisma lungo la storia, quale creatività ha sprigionato, quali difficoltà ha dovuto affrontare e come sono state superate […]. Narrare la propria storia è rendere lode a Dio e ringraziarlo per tutti i suoi doni» (I, 1).
L’archivio a servizio
della comunità religiosa
L’archivio di una comunità religiosa va inteso pertanto non solo come luogo di raccolta e conservazione della documentazione, ma anche come strumento necessario alla comprensione della propria identità quale dinamica progettuale e continua spinta in avanti.
Mi si permetta fare riferimento ad una vicenda in particolare. Recentemente, nel mio paese di origine, si è dovuta chiudere una casa religiosa di un Istituto ormai carente da anni di vocazioni e con un alto livello di anzianità. Uno scenario del resto purtroppo comune a tanti altri Ordini e Istituti. Ma la nostra fede entra qui in gioco per fare da discriminante ravvivando la fiducia, nel Signore prima di ogni cosa. La più o meno attenzione all’archivio indica il “tasso” di ottimismo per il futuro sostanziato dalla certezza che tutto è nelle mani di Dio.
Ebbene le ultime due suore di quella casa, sistemando tutto prima di essere trasferite in altre case anch’esse con limitata vita comunitaria, hanno messo mano anche all’archivio cestinando documenti e regalando ai vicini foto antiche. Per chi sa quanto sia importante un archivio è ovviamente una dolorosa violazione che accende una spia rossa sul calo di tenuta circa le prospettive future e, comunque, un impietoso atto di azzeramento della memoria con ripercussioni sull’intera Congregazione. Un gesto compiuto certamente per ignoranza e non per incuria, per giustificata “depressione” e non per una precisa volontà distruttiva la quale, di fatto, ha azzerato la storia di quella casa ancor più della sua effettiva chiusura. L’archivio andava salvato e trasferito in quello della casa generalizia. In quel caso però il disinteresse partiva già dall’alto.
Un archivio può e deve aiutare a tenere sempre desta la speranza. Non possiamo pensare al futuro limitandolo, imprigionandolo solo in riferimento al nostro presente più o meno problematico. Un archivio è richiamo forte alla precisa responsabilità di mantenere viva la memoria perché essa va consegnata senza essere depauperata o stoltamente interpretata. Curare l’archivio, nonostante impensabili prospettive di un futuro ancora possibile – ma non tocca a noi mettere la parola fine – è un dovere e anche uno stile di vita della comunità stessa. L’archivio diventa scuola di spiritualità attraverso la tradizione tramandata e la lettura sapienziale del vissuto proprio della comunità di ieri, di oggi e si spera anche di domani. Il poter attingere alle radici della memoria offre continuità all’oggi che viene donato da vivere quale tassello incastonato tra ciò che lo ha preceduto e ciò che sarà, indipendentemente dai futuri sviluppi che potranno esserci. È proprio l’archivio, dopo lo sguardo di fede ottimistico, a dover riattivare la capacità di guardare lontano, anche quando sembra non esserci più un avvenire.
Tutto questo è possibile se l’approccio con l’archivio, e non soltanto da parte degli addetti bensì di tutta la comunità, è stato vissuto come accoglienza di un dono. Non diamo nulla per scontato, non assuefacciamoci alle cose che troviamo. La cura, la dedizione, la precisione di chi ha sentito tutta l’urgenza e la responsabilità di conservare con esatto criterio tramandandolo ad altri, sono anch’essi una consegna. Vi è sottesa la presa di coscienza della preziosità della propria storia e della propria attività: eventi, persone, storie concomitanti, interazione con il territorio ecc., tutto diventa patrimonio di una comunità che si sente in cammino in un tempo e in uno spazio vitali, laddove è chiamata a vivere con la propria specificità e il tipo di funzione o sevizio che la Chiesa e la società si attendono da essa. Senza ansie o autoreferenzialismo, ma con semplicità e fede, serenità e tanto ottimismo.
Funzione formativa
dell’archivio
Per una comunità religiosa l’archivio diventa strumento di formazione. Si potrebbe fare, grazie ad esso, una sorta di “lectio divina” in base a quanto ci viene narrato. La memoria documentaria depositata in archivio va letta come storia di salvezza nella quale rintracciare il filo rosso dell’agire di Dio che opera efficacemente nella Chiesa e in ogni cristiano. Nella comunità, nell’Istituto, nell’Ordine appunto.
Paolo VI, in occasione del 5° convegno dell’Associazione Archivistica Ecclesiastica (settembre 1963) ne ha ben sintetizzato le peculiarità: «I nostri brani di carta sono echi e vestigia di questo passaggio della Chiesa, anzi del passaggio del Signore Gesù nel mondo. Ed ecco che, allora, l’avere il culto di queste carte, dei documenti, degli archivi, vuol dire, di riflesso, avere il culto di Cristo, avere il senso della Chiesa, dare a noi stessi, dare a chi verrà la storia del passaggio, del transitus Domini nel mondo». La singolarità degli archivi è divinamente eloquente, in quanto incontro tra la registrazione delle immense potenzialità umane e la scintilla divina impressa in ogni cosa, nel passo della storia e nel fluire del tempo dove l’uomo, il grande interlocutore di Dio, è posto quale protagonista e custode. Non per nulla gli archivi, queste grandi teche di documenti preziosissimi e significanti, fanno parte a pieno titolo, e in maniera potremmo dire prioritaria, dei beni culturali della Chiesa e quale patrimonio dell’umanità. Le varie fonti documentarie, di qualsiasi natura siano, assurgono a testimoni indiscutibili, il più delle volte inediti e irripetibili, dell’ampia dimensione dell’esistenza umana. La storia ecclesiastica non è apologetica disimpegnata e settoriale, ma parte della storia universale.
L’archivio è una sorta di luogo sacro, un reliquiario; entrare in esso è come varcare la soglia del tempo e, quindi, della vita. Anche il monaco, uomo della memoria, vive questa continua dinamica che è parte del suo stesso cammino personale e comunitario. Accanto alla regola professata, la storia scritta e tramandata assurge a maestra e generatrice di linfa vitale per la comunità. Nella lettera circolare La funzione pastorale degli archivi ecclesiastici, firmata dalla Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa il 2 febbraio 1997, addirittura viene usato il termine «tabernacoli della memoria», in quanto i beni culturali, e quindi anche gli archivi, sono segno e strumento di vita ecclesiale. Non per nulla i documenti pontifici sono stati custoditi fino all’inizio del XIII secolo nello Scrinium Sanctae Sedis del Laterano, antesignano di quello che nel 1612 prende precisa fisionomia quale Archivio Segreto Vaticano, laddove segreto indica la natura privata, non certo di misteriosa segretezza. Scrigno, dunque, così come bona sono definiti dal Nuovo codice di diritto canonico del 1983 i “tesori” storico-artistici della comunità cristiana, popolo in cammino, realtà dinamica aperta e sempre pronta a dialogare e interagire con la cultura e la società civile.
Sguardo retrospettivo
e profezia
Il simbolo dell’archivistica è Giano bifronte, proprio ad indicare questa duplice valenza dell’archivio, ossia quella di avere uno sguardo retrospettivo che, attingendo alla ricchezza del passato, diventa capacità di interpretazione del presente quale discernimento per il futuro, così che passato e presente diventano una risorsa progettuale carica di accresciuto sapere e rinnovata consapevolezza. È sulla base della memoria che si innesta quella reciprocità relazionale che fa di ogni avvenimento passato un incontro anche per il presente e un orientamento per il futuro. Nella nostra chiesa barocca di “San Benedetto” a Catania, tra i tanti messaggi allegorici offertici dalla ricca rappresentazione pittorica, vi è quello di un affresco che rappresenta il dono della contemplazione e della profezia. C’è il rimando allo specchio, che è simbolo della profezia intesa non tanto come previsione, spesso apocalittica, del futuro, quanto come lucida lettura del presente alla luce della rivelazione biblica laddove la sapienza divina abbraccia la saggezza umana. Lo specchio diventa lo strumento che filtra la verità nella sua connessione tra passato e presente in vista del futuro. È come lo specchietto retrovisore dell’automobile: si guarda avanti verso la strada da percorrere, ma con lo sguardo vigile a ciò che sta dietro. La profezia, che nasce dalla contemplazione della storia universale e del vissuto personale-comunitario, diventa così ponte, trampolino di lancio per nuove sfide e nuove conquiste.
suor Maria Cecilia La Mela OSBap