Cozza Rino
Non per proselitismo ma per attrazione
2017/9, p. 23
Lo ha detto papa Francesco in riferimento alla Chiesa. Tuttavia se il richiamo vale per la Chiesa a maggior ragione vale per quella forma di vita che è «chiamata» a essere esegesi vivente del Vangelo», con scelte che di questo siano sovrabbondanza di trasparenza.

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Testimoni
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Come cresce la vita consacrata
NON PER PROSELITISMO
MA PER ATTRAZIONE
Lo ha detto papa Francesco in riferimento alla Chiesa. Tuttavia se il richiamo vale per la Chiesa a maggior ragione vale per quella forma di vita che è «chiamata» a essere esegesi vivente del Vangelo», con scelte che di questo siano sovrabbondanza di trasparenza.
P.Saverio Cannistrà – preposito dei Carmelitani Scalzi – relatore al «Conventus semestralis USG 2017 nella sua relazione interpellò i padri generali con tale interrogativo: «Giustamente diciamo che abbiamo bisogno di rinnovarci, ma quale rinnovamento è possibile se prima non abbiamo un’idea plausibile della nostra identità?».
Con questa domanda il relatore fa intendere che «la mancanza di rigore nel nostro pensiero è probabilmente tra le cause più vere e più profonde di una analoga mancanza nella prassi […] che oggi sembra sia portata avanti con concetti vuoti e con intuizioni cieche. […] In effetti – sono ancora sue parole - ci troviamo con una vita religiosa che fa un po’ di tutto. Sappiamo che questa non è più sostenibile, e che pertanto è destinata, in tempi più o meno brevi a passare, ossia a estinguersi naturalmente o a trasformarsi. Ciò in cui appare più impegnata attualmente sono strategie di mantenimento, il che in genere, serve solo a ritardare l’esito finale».
Parole severe – quelle di p.Cannistrà – e dito puntato verso alcune derive che portano a lavorare solo o principalmente sulle strutture invece di dare spazio allo Spirito, illudendosi nel credere che di fronte al calare delle motivazioni alte e all’esaurimento delle energie spirituali basti ristrutturare le organizzazioni; e nel credere che di fronte al crollo della creatività sia sufficiente attrezzarsi di un buon tecnico, senza avvedersi che gli ideali dell’organizzazione stanno logorandosi anche a seguito delle scelte di responsabili che puntano sull’efficienza, dimenticando valori e identità.
Seguire la vocazione
è frutto di attrazione
Un valore attrae se è sostenuto da un'emozione positiva, quale dono gratuito di Dio il quale nel darci la vita arricchisce la nostra libertà di alcune spinte interiori che fanno un tutt’uno con un desiderio che non è capriccio o cupidigia, quanto piuttosto capacità di progetto, di slancio, di creatività.
Questo viene a dire che la scelta vocazionale, per enunciare il vero di sé, ha bisogno di «impulsi intrinseci», cioè di quelle forze che essendo parte intima della natura di una persona, portano a «muoversi in un’area di significato illuminata dalla charis». È quanto dice papa Francesco, il quale poi continua: «So bene che a molti che operano nel campo economico queste sembrano parole irrilevanti». Quest’ultima espressione mette in luce una tentazione spesso assecondata, quella di fare criterio preminente di valutazione delle attività la redditività anziché il carisma e la missione che l’Istituto è chiamato a compiere.
Se oggi la vita religiosa fa fatica a essere riconosciuta, significa che ci sono in essa vari elementi che non attraggono più. Questi sono gli «incentivi estrinseci». Tali sono o erano quelli che specialmente fino a metà del secolo scorso contribuivano in buona parte a riempire i seminari e scuole apostoliche, quali a esempio, promozione e riconoscibilità sociale, collocazione dalla parte delle persone da rispettare, possibilità di istruzione, un certo ben-essere, lavoro assicurato. Tutte motivazioni o spinte estrinseche e quindi non affascinanti, dato che non nascono dal bisogno di bellezza e verità di un carisma ma dal bisogno di quella sicurezza che poi il tempo avvolge e fissa in un insieme di gesti, riti e osservanze senza profondità e senza calore, che non sono in grado di forzare l’aurora.
Il futuro
deve vederci “diversi”
Ai fini della fascinazione «dovete essere veramente testimoni di un modo diverso di vivere».
Con questo dire il Papa sembra affermare che il futuro deve vederci «diversi» da oggi nel modo di essere e di fare. In un’altra occasione lo disse con un paradosso: «la continuità sta nella discontinuità».
Dunque sembra dire che non sono in crisi le vocazioni intese come risposta all’appello dello Spirito, ma è in crisi la capacità degli Istituti di far percepire la bellezza del carisma, avendo difficoltà a trovare nuovi modelli di espressione, perché spiazzati rispetto alle trasformazioni profonde della storia. Da qui la conseguenza: quando si arriva a essere incapaci di sognare un futuro diverso, si finisce per agire solo a livello di tattiche, inefficaci nel concepire e generare ipotesi di vera trasformazione culturale della vita religiosa. Le tattiche nascono da convenienze, opportunità del momento, e non da profondi, interiori ascolti aperti a sogni mutevoli, flessibili, con nuova immaginazione circa il dove indirizzarci.
Creare
luoghi dell’anima
«Mi attendo che sappiate creare “altri luoghi” – “luoghi dell’anima”».
C’è qui l’indicazione a vedere come «altro» un luogo, se e in quanto è un «luogo dell’anima». La significatività della vita religiosa starà allora nel saper dare risposta, in un preciso contesto territoriale ed ecclesiale, alla nostalgia di un modo di essere Chiesa, chiesa del Vangelo, improntata al fare e dire del Maestro il quale invita i suoi a scelte controcorrente, consapevoli che a fronte delle domande d’oggi le risposte di ieri non bastano più. Questo è il dono che i religiosi e religiose devono fare, perché in questo sta l’essenza della loro vocazione: essere trasparentemente evangelica, con una identità non più egocentrica ma dialogante.
La creazione di «luoghi dell’anima�� è intravista innanzitutto nell’orizzonte di nuove esperienze di vita fraterna dove sia limpida la logica evangelica.
È ormai convinzione diffusa che la forma in cui la vita comunitaria dei religiosi oggi si esprime, è debole nella forza comunicativa, in ritardo rispetto alle sensibilità culturali in misura tale da costituire una della maggiori difficoltà alla proposta vocazionale, anche per il fatto che la concezione della persona umana spesso sottesa alla visione e alla prassi di vita religiosa sembra estranea alla maturazione delle nuove istanze che vanno meglio ad esprimere più compiutamente l’uomo e la donna oggi.
Ma se per la vita comunitaria (abitare insieme secondo le stesse norme) è determinante il coabitare, invece per la vita fraterna è determinante il tipo di rapporti, l’aiuto e l'appoggio vicendevole, la valorizzazione del ruolo di ciascuno, la convergenza degli intenti. Una vita da fratelli e sorelle dunque la cui credibilità non sia data da stereotipi giuridici ma da parabole di vita vissuta, in cui le persone tornino a contare di più dei principi astratti, e la fede, più che una dottrina, sia una modalità di essere cristiani dentro la vita degli uomini.
È tempo soprattutto di fraternità, ripensate in funzione dei laici e laiche, chiamati a partecipare alla spiritualità e missione dell’Istituto, portandosi ad essere produttiva di una spiritualità capace di incontrare la ricerca che sta nel profondo dell’uomo postmoderno. Sono queste le fraternità in cui oggi riescono a farsi strada nuove tracce di senso carismatico, perché in esse c’è maggiore libertà da ogni sorta di discorso a priori e dalla enfatizzazione del concetto di tradizione.
Nel tempo in cui le identità isolate faticano a stare in piedi, non deve stupire se anche la vita religiosa fatica a dare ragione di se stessa a partire da sé. L’uscire dagli spazi chiusi è il primo modo per poter godere dell’aria fresca.
Gesù di Nazareth non ha creato gruppi separati per un fine corporativo ma gruppi missionari per incrementare l’evangelicità della vita di tutti. Allora la sfida per i consacrati è l’accettazione di questa ricollocazione che obbliga a non rifugiarsi e chiudersi nel proprio recinto spazio-temporale, orientati a se stessi, tendenti a realizzare una società nella società, ma dispersi nel mondo per poter essere trasparente annuncio di un nuovo tipo di società fraterna ed egualitaria, il tutto all’interno di «strutture fisiche, mentali, spirituali, affettive, religiose e organizzative semplici, non aziendali, accoglienti, poco pesanti e aperte».
Tali sollecitazioni introducono un evidente scarto tra “ieri” e “oggi”, soprattutto inventando nuove forme di vita individuale e collettiva, con stili che uniscano le persone anziché separarle, e che permettano di condividere gli stessi sogni e le stesse seti. È in questa direzione che ci sono ancora sussulti di aspettative da non deludere.
Mettere fine
al finire
Un nuovo inizio sta nella capacità di porre fine al finire.
La vita religiosa è oggi attardata per non avere ammesso per oltre mezzo secolo la sua crescente precarietà, preferendo proclamare i motivi di ostentazione della sua inalterabilità e immaginata superiorità, non accorgendosi che la storia ci sta indicando modi di essere e di operare apostolicamente, aperti a sogni mutevoli, duttili, da cogliersi con immaginazione e non per atavica abitudine. Il pericolo in atto è di attardarsi ad aggiustare i pozzi vecchi piuttosto che scavarne di nuovi.
Credo meriti attenzione e riflessione quanto va dicendo un noto economista attento ai problemi della vita religiosa: «Un carisma cessa di vivere o per infecondità vocazionale o perché è portato a diventare qualcosa che non ha più il “dna” degli ideali originali, come sta avvenendo in troppe opere dei religiosi trasformatesi in imprese sociali terziarizzate senza alcun rapporto con l’originale “dna” da cui sono nate». Imprese i cui segnali di salute sono dati dalle parole «efficienza, merito, successo … quasi fossero le sole parole buone dell’umano». Quando questo avviene, al religioso «rimane solo la finestra-azienda attraverso cui leggere la propria vita, ma per coloro che hanno abbandonato tutto per un alto ideale, le finestre esistenziali devono essere molteplici per dare aria, luce, senso a un vivere» guidato da alcuni criteri orientativi: originalità evangelica delle scelte, fedeltà carismatica, attenzione alle maggiori fragilità.
Ma purtroppo non è così, nonostante i ricorrenti roboanti proclami capitolari. Intanto continua ad avere la meglio quell’istinto di autoconservazione che induce a operazioni di verniciatura, efficaci solo per un breve momento, quanto può durare la vernice sulla ruggine. Non è certamente questo che risponde all’invito «vino nuovo in otri nuovi». Eppure l’impegno che molti Istituti continuano a proporre sembra essere quello di «assicurare un passato che sempre ritorna alla memoria quasi con malinconia», non avendo saputo intravvedere dentro il successo degli anni ’50-‘60 del secolo scorso ciò che avrebbe portato sulla via del tramonto.
Rino Cozza csj