Pedico Maria Marcellina
Nella cella del cuore di Maria
2017/7, p. 40
In questa riflessione ci siamo prefissi di compiere il viaggio verso la dimora intima del Cuore di Maria. L’itinerario che intendiamo seguire è quello indicato dalla liturgia romana. È un percorso che conduce a dissetarsi alla fonte viva della Scrittura.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
“Maria custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore”
NELLA CELLA
DEL CUORE DI MARIA
In questa riflessione ci siamo prefissi di compiere il viaggio verso la dimora intima del Cuore di Maria. L'itinerario che intendiamo seguire è quello indicato dalla liturgia romana. È un percorso che conduce a dissetarsi alla fonte viva della Scrittura.
Cambiare il cuore, Il luogo del cuore, La pace del cuore, L’arte di purificare il cuore, La via del cuore sono solo alcuni titoli di libri o saggi su un tema sempre attuale: ritornare al cuore.
Dal punto di vista della mentalità corrente il termine “cuore” evoca emozioni e affetti. E poiché l'amore è il moto fondamentale di ogni energia affettiva, il cuore è comunemente considerato il simbolo dell'amore.
«Ritornare al cuore»
Nell'interpretazione ebraico-cristiana la conclusione non è molto diversa. Il cuore è l'organo fisico, che batte al ritmo della vita. Al cuore si attribuisce la paura, provata o respinta: “Dentro di me freme il mio cuore, piombano su di me terrori di morte” (Sal 55,5); “Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme” (Sal 27,3), oppure l'angoscia sempre incombente: “Allevia le angosce del mio cuore” (Sal 25,17), ma anche la fiducia: “Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore” (Sal 27,14).
Al di là dell'organo fisico, la Scrittura parla del “cuore” anche per indicare il mistero interiore della persona. Il cuore rappresenta il nucleo più intimo dell'essere umano: è la sede del sentire, del pensare, del ricordare, del volere. «È il cuore la sorgente nascosta delle azioni umane: lì palpita lo Spirito di Dio, ma può anche parlare lo spirito del male; lì prendono vita i pensieri di Dio, ma possono anche attecchire i pensieri malvagi».
Per la terminologia biblica il cuore appare “appesantito” (Lc 21,24), “insensato” (Lc 24,25), “indurito” (Mc 3,5; 6,52; Gv 12,40; Ef 4,17), “tenebroso” (Rm 1,21), “triste” (Mt 13,3), “doppiezza di cuore” (cf. Mt 15,17). Da una tale radice non può nascere che il frutto di una esistenza opaca nei pensieri, indurita negli affetti verso Dio e verso i fratelli, insensata nelle decisioni. Una vita pesante, piatta, grigia.
Il cuore giunge a tanto perché è simile a una radice che succhia linfa dagli istinti o desideri primordiali: il piacere, l'avere, l'affermazione di sé o il potere. Istinti che, se non evangelizzati, diventano i grandi idoli cui il nostro cuore anela e obbedisce. Istinti che costantemente cercano di prendere il sopravvento, anche in persone che hanno promesso a Dio che “lui solo” è la scelta del cuore e della vita.
Quando invece si assume l'atteggiamento cultuale del silenzio interiore, Dio:
svela all'animo contemplativo dell'orante la pesantezza e la tenebrosità del cuore;
rivela gli istinti o i desideri verso i quali tende il cuore;
umilia e prova con verità e tenerezza che il cuore va purificato (Mt 5,8; Eb 10,22) e messo in ordine (Lc 8,15), poiché è destinato alla dimora del Padre, del Figlio (cf. Gv 14,23) e all'abitazione dello Spirito, che prega in noi e per noi con gemiti ineffabili (Rm 8,26-27).
Si può dire con André Louf – monaco trappista e autore spirituale tra i più noti anche in Italia, ritornato alla casa del Padre nel 2010 – che «il cuore è fatto per la Parola e la Parola per il cuore». In questa luce si comprende il grido del salmista: «La tua parola è mia per sempre, è il grido di gioia del mio cuore. Tendo il mio cuore ad applicare la tua legge, in essa la mia ricompensa per sempre» (Sal 119).
È urgente allora “ritornare al cuore”, riscoprirlo quale luogo destinato ad essere dimora di Dio, campo della sua Parola, abitazione dello Spirito orante. Solo un cuore sgombro da idoli e inutili pensieri, è terreno disponibile alla presenza del Signore, all'ascolto della propria coscienza, al discernimento del volere di Dio, proprio come è stato il Cuore di Maria.
La dimora intima del Cuore di Maria
“Maria custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19.51b): – è questa una annotazione preziosa, una di quelle frasi evangeliche che secoli di contemplazione non hanno esaurito e non l’esauriscono. La custodia della memoria e la meditazione continua della Parola era abitudine della Vergine di Nazaret, un atteggiamento che la distingueva dalle altre persone. Quello che per gli altri era motivo di stupore (cf Lc 2,18: i pastori; Lc 2,47: i dottori della legge) per lei era oggetto di meditazione.
L'evangelista Luca testimonia che Maria scopre il mistero del Figlio solo nella cella del cuore. E in questo cuore buono e perfetto (cf Lc 8,15) Maria – afferma Benedetto XVI nella Verbum Domini – «sapeva trovare il nodo profondo che unisce eventi, atti e cose, apparentemente disgiunti, nel grande disegno di Dio» (n. 87).
Con impareggiabile chiarezza e con arte sapiente, s. Beda († 735), in un'omelia pronunciata per il giorno di Natale, commentando Lc 2,19, presenta Maria «in silenzio, ma con il cuore attento, nella ricerca sollecita del significato dei misteri di Cristo». Se la sua lingua tace per doveroso ossequio verso i segreti divini – sembra dire l'appassionato studioso della Bibbia – il cuore della Vergine veglia, scrutando in atteggiamento adorante la divina Parola contenuta nel libro sacro e racchiusa nel suo grembo verginale.
Tra i biblisti contemporanei, p. Aristide Serra, illustrando i molteplici aspetti della nostra pericope, sottolinea tra l'altro che «la fortuna di Luca 2,19.51b è stata immensa nella vita della Chiesa. Quando la comunità cristiana di ogni tempo ripensa l'insegnamento di Cristo, suo Signore, leva lo sguardo a Maria come a propria immagine conduttrice».
In questa riflessione ci siamo prefissi di compiere il viaggio verso la dimora intima del Cuore di Maria, via aperta a tutti perché tutti ugualmente abilitati a percorrerne qualche tratto. L'itinerario che intendiamo seguire per raggiungere le profondità del cuore della Vergine è quello indicato dalla liturgia romana, in particolare dai testi eucologici (colletta, orazione sulle offerte, prefazio...). Come vedremo, questo percorso conduce a dissetarsi alla fonte viva della Scrittura.
La chiave di accesso per entrare nel mistero della vita interiore di Maria ci viene offerta dalla Nota introduttiva al formulario «Cuore immacolato della beata Vergine Maria» (n. 28) della Raccolta delle Messe della Beata Vergine Maria. Dopo aver precisato che l'espressione «Cuore della Vergine» va interpretata nel senso biblico sopra accennato, la Nota rileva che la liturgia predilige due immagini “abitative” per indicare la presenza di Cristo nel cuore e nel grembo di Maria, quelle della “dimora” e del “tempio”; e una gamma di aggettivi che ne qualificano il Cuore.
Le immagini “abitative”: un Cuore dimora-tempio
All'ammirato sguardo della Chiesa orante il cuore della Vergine, proprio perché scrigno prezioso che accoglie e custodisce le meraviglie dell'Altissimo, fonte inesauribile e vivificante della sua memoria e sapienza, appare per ciò stesso un cuore dimora-tempio. La liturgia ne è sicura, perciò nei testi si prega:
«O Dio, che hai preparato
una degna dimora dello Spirito Santo
nel cuore della beata Vergine Maria...».
«O Signore Dio nostro,
che nel cuore immacolato di Maria
hai posto la dimora del Verbo
e il tempio dello Spirito Santo...».
Le immagini dimora-tempio, presenti in queste orazioni, rimandano a uno spazio protettivo e rassicurante, ad una abitazione accogliente, ad un luogo di intimità e di condivisione. Nello stesso tempo pongono in primo piano il rapporto del Cuore di Maria con il Verbo e lo Spirito. Il Cuore della Vergine – vi si legge – è «degna dimora del Verbo», «tempio dello Spirito Santo». Da notare pure l'esplicito richiamo a Dio Padre, presentato quale Architetto, sapiente e pieno di amore, intento a preparare il Cuore della Vergine come una abitazione degna dello Spirito, ospite divino.
La Vergine di Nazaret rappresenta l'abitazione-tipo, quella che fa vedere completamente realizzato il progetto di Dio: il cuore-tempio è stato costruito dal Padre in vista del Figlio. Così nei testi eucologici della solennità mariana dell'8 dicembre si prega:
«O Dio, che nell'immacolata concezione della Vergine
hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio...».
«Tu hai preservato la Vergine Maria
da ogni macchia di peccato originale
perché, piena di grazia,
diventasse degna Madre del tuo Figlio».
Le immagini dimora-tempio ricorrono con frequenza nei testi liturgici e s'ispirano a vari passi biblici, come quelli ad esempio che si riferiscono:
– al santuario, considerato abitazione di Dio (cf Es 25,8);
– alla tenda del convegno, che accompagnava il popolo nel suo pellegrinaggio nel deserto e dove Mosè consultava il Signore (cf Es 33,7-11);
– all'arca, simbolo eminente della presenza del Signore in mezzo al suo popolo (cf Es 25,10-22);
– alla città santa, Gerusalemme, in cui Dio ha scelto la sua dimora (cf Sir 36,12).
È il brano di Proverbi 9,1 ad influire maggiormente nel costituirsi del simbolo Maria dimora-tempio: “La Sapienza si è costruita la casa / ha intagliato le sue sette colonne” (da ricordare che il numero sette indica pienezza e quindi una casa perfetta). Secondo l’interpretazione dei Padri, la casa che la Sapienza si è costruita è innanzitutto l'umanità di Cristo, in cui il Verbo abita; ed è anche Maria, in cui il Verbo incarnato ha dimorato per nove mesi e da cui ha tratto la materia per edificare la sua dimora.
La liturgia riconosce esplicitamente questa verità: il grembo verginale di Maria – per il dono della maternità divina – è la dimora-tempio del Verbo di Dio:
«Redentore nostro,
che hai fatto della Vergine di Nazaret
la dimora della tua presenza
e il santuario dello Spirito santo,
edifica anche noi in tempio vivo del tuo Spirito».
Nella stessa linea di pensiero si pone l'embolismo del prefazio del formulario «Beata Maria Vergine, tempio del Signore» (n. 23) della Raccolta delle Messe della beata Vergine Maria. Vi sono indicate le ragioni che spingono il cristiano a rendere grazie al Signore per le nozze compiute in Maria tra la natura divina del Verbo e la natura umana:
«È lei la casa d'oro adornata dei doni dello Spirito,
l'aula regale illuminata dal Sole di giustizia,
la città santa allietata da fiumi di grazia,
l'arca dell'alleanza
che porta l'autore della nuova legge,
Gesù salvatore del mondo».
Le immagini “abitative” della dimora-tempio, principali luoghi- simbolo della presenza di Dio fra noi e il nostro incontro con lui, hanno trovato perfetto compimento in Cristo, nel quale abitava la pienezza della divinità (cf Col 2,9). Facendosi eco della Tradizione, sono state applicate a Maria per un duplice motivo: portando Cristo in grembo, la Vergine è stata il vero tempio di Dio; facendo tesoro della Parola, ha fatto germogliare dal proprio cuore, quale altare dell'Altissimo, “l'albero della vita”: Cristo, la nuova e definitiva dimora di Dio con gli uomini (cf Ap 21,3).
In altri termini la liturgia, cercando di esprimere il mistero che contempla, confessa con stupore l'attuarsi del disegno sapiente di Dio. Cristo Gesù, l'autore della Vita, colui che reca all'intera umanità gioia, salvezza, pace, è venuto nel mondo per volontà del Padre, facendosi uomo nel grembo di una donna. Scelta e preparata da Dio, Maria di Nazaret accoglie per tutti noi il Verbo, lo concepisce, lo genera, lo offre. Il suo cuore, quale abitazione e dimora dell'eterna Sapienza, tabernacolo dell'Emmanuele e tempio dello Spirito, diviene per tutta la Chiesa motivo di contemplazione e di conformazione a Cristo suo Sposo.
Le qualifiche del Cuore della Vergine
Il Cuore di Maria è dunque dimora-tempio, un mistero da penetrare con venerazione e amore. Ma ciò che si afferma di Maria si asserisce di ogni discepolo, poiché – secondo l'insegnamento di s. Paolo – dimorano in noi la parola di Cristo (cf. Col 3,16) e Cristo medesimo (cf. Ef 3,17). I testi liturgici accolgono, valorizzano e ripropongono in forma orante la commovente supplica-augurio di s. Paolo in favore dei cristiani di Efeso: Io piego le ginocchia davanti al Padre [...] perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori” (Ef 3,14-17).
Ma i testi della liturgia non si fermano qui. Essi presentano alla contemplazione dell'orante una vasta gamma di aggettivi posti accanto alla locuzione “Cuore di Maria”, i quali, presi nel loro insieme, delineano un'immagine ricca e avvincente della vita interiore della Vergine. L’indimenticabile liturgista dell’Ordine dei Servi di Maria, Ignazio M. Calabuig, a conclusione di uno studio sul formulario della memoria del “Cuore Immacolato di Maria”, illustra i tratti di questa fisionomia spirituale:
– «È un cuore umile e povero nella linea della prima beatitudine (“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”: Mt 5,1) e della proposta formulata espressamente da Gesù: “imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Mt 11,29);
– un cuore fiducioso, secondo la spiritualità dei “poveri del Signore”, che ripongono in Dio tutta la loro fiducia;
– un cuore cosciente del proprio limite eppure altamente consapevole della sua responsabilità e del suo compito;
– un cuore verginale, puro, trasparente, capace di “vedere Dio”, indiviso nel dono al suo Signore eppure solidale con il suo popolo, sollecito delle necessità degli uomini, suoi fratelli e suoi figli;
– un cuore che ha un particolare rapporto con la parola di Dio, è il cuore-terra buona, in cui il seme della Parola fruttifica in modo meraviglioso;
– un cuore da cui sorge la parola decisiva – il fiat dell'Annunciazione;– il canto del Magnificat, la supplica premurosa di Cana, il silenzio accogliente del Calvario;
– un cuore addolorato: la spada di dolore, profetizzata da Simeone, l’ha accompagnata per tutta la vita: nell'esilio di Egitto, nello smarrimento del Figlio a Gerusalemme, nelle incomprensioni subite dal Figlio presso la Croce;
– un cuore di Madre: madre verginale del Figlio di Dio e madre di tutti i figli di Dio, ieri sulla terra, ora glorificata in cielo».
Questa efficace sintesi sulla realtà racchiusa nel Cuore di Maria – ispirata alla Scrittura e ai Padri – viene in particolare tratteggiata, come abbiamo accennato, dal prefazio del formulario “Cuore immacolato della beata Vergine Maria” (n. 28). In esso si legge:
«Tu hai dato alla beata Vergine Maria
un cuore sapiente e docile,
pronto ad ogni cenno del tuo volere;
un cuore nuovo e mite,
in cui hai scolpito la legge della nuova alleanza;
un cuore semplice e puro,
che ha meritato di accogliere il tuo Figlio
e di godere la visione del tuo volto;
un cuore forte e vigilante,
che ha sostenuto intrepido la spada del dolore
e ha atteso con fede l’alba della risurrezione».
La liturgia, quindi, ama offrire alla contemplazione della Chiesa numerose qualifiche del cuore della Vergine. Qui è sufficiente evidenziare le prime due che riteniamo emblematiche per il cammino spirituale del cristiano, soprattutto nel periodo di Quaresima.
Cuore sapiente
La prima qualifica che vogliamo proporre all'attenzione è quella del cuore sapiente di Maria. Questo tratto tipico della madre di Gesù, che la liturgia evidenzia, si ricollega alla linea sapienziale della spiritualità biblica. A tutti è noto che l'ascolto (“Ascolta Israele!”) è una parola chiave della tradizione giudaica. Israele si definisce il popolo dell' “ascolto”, del “ricordo” (Dt 4,9.10.23). Nella prospettiva biblica custodire la Parola implica il vero ascolto, fatto con il cuore, che riconosce Dio presente nei suoi comandi, nel suo rivelarsi sempre nuovo e inaspettato.
L'oggetto cui deve applicarsi il lavorio attivo della memoria d’Israele riguarda tutti i fatti inerenti all'alleanza con il suo Dio documentati nella Scrittura. Per il popolo d'Israele era obbligo ricordare e meditare nel cuore le “grandi cose” compiute da Dio in suo favore, in modo da confermare e approfondire sempre più la sua fede. Perciò il pio israelita medita quei libri, conserva, mantiene, protegge nel cuore gli insegnamenti in essi racchiusi e vi persevera, per scoprirne i significati, anche quando le vie del Signore sono misteriose, e allora diviene “sapiente”, ossia creatura aperta ad accogliere il progetto di salvezza nel quale Dio rivela la sua “sapienza”.
In questa luce acquista un valore particolare l'annotazione lucana: “Maria conservava nel cuore e meditava” (Lc 2,19.51b). Le sottolineature dei due verbi: “conservare” e “meditare” mostrano Maria quale degna erede dei suoi Padri. Il cuore della Vergine, sede di parole ascoltate, ricordate, custodite e approfondite nello Spirito, appare in verità un cuore sapiente, simile a quello dello scriba, che dal suo tesoro sa trarre e comporre cose antiche e cose nuove (cf Mt 13,52). Maria ricorda, riesamina, ritorna sugli eventi della vita del Figlio, li custodisce nello scrigno del cuore, li confronta uno con l'altro, e così ne raggiunge l'intelligenza profonda.
In questa gestazione spirituale del cuore, Maria non solo cresce in sapienza, ma diventa esegeta. Assolve tale compito non solo con la tecnica dello studioso che spiega la Scrittura con la Scrittura, ma soprattutto come donna santa, che paragona le parole lette nei profeti con le parole udite da Gabriele e con i fatti accaduti nella sua vita, di cui lei sola aveva esperienza. Donna di fede (Lc 1,45), Maria non teme di convivere con una Parola a volte misteriosa ed enigmatica (Lc 2,48-50), persuasa che sarebbe venuto il giorno in cui «ciò che era nascosto si sarebbe manifestato in Cristo» (Origene).
In tal modo il cuore sapiente della Vergine diviene figura del cuore dei figli della sapienza (Lc 7,35) e anticipa la vocazione della Chiesa tutta e di ogni credente nei confronti della divina Parola, da accogliere, custodire, meditare, pregare, vivere, perché si affretti il tempo in cui ogni specie di oscurità sia superata.
Il valore esemplare dell'atteggiamento contemplativo di Maria è stato efficacemente messo in luce da tanti Padri, scrittori, autori spirituali di ogni tempo. Richiamiamo due figure particolarmente significative. Il grande teologo inglese, il beato J. Henry Newman al riguardo commenta: «Maria, la Vergine che rimedita la Parola nell'interiorità del cuore, è il nostro modello sia nell'accettare la fede che nello studiarla. Non le basta accettarla, ma vi si ferma. Non solo la possiede, ma nello stesso tempo se ne serve. Le dà il suo assenso, ma anche la sviluppa. Vi sottomette la ragione, ma anche ragiona sulla sua fede».
Più vicino a noi, Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae ha una pagina illuminante. Nel contesto del I capitolo dedicato a «Contemplare Cristo con Maria», presenta Maria quale modello di contemplazione soffermandosi sui ricordi. Scrive il Papa: «Maria vive con gli occhi su Cristo e fa tesoro di ogni sua parola: “Serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19; cf 2,51). I ricordi di Gesù, impressi nel suo animo, l'hanno accompagnata in ogni circostanza, portandola a ripercorrere col pensiero i vari momenti della sua vita accanto al Figlio. Sono stati quei ricordi a costituire, in certo senso, il “rosario” che Ella stessa ha costantemente recitato nei giorni della sua vita terrena. Ed anche ora, tra i canti di gioia della Gerusalemme celeste, i motivi del suo grazie e della sua lode permangono immutati. Sono essi ad ispirare la sua materna premura verso la Chiesa pellegrinante, nella quale Ella continua a sviluppare la trama del suo “racconto” di evangelizzatrice. Maria ripropone continuamente ai credenti i “misteri” del suo Figlio, col desiderio che siano contemplati, affinché possano sprigionare tutta la loro forza salvifica. Quando recita il Rosario, la comunità cristiana si sintonizza col ricordo e con lo sguardo di Maria» (RVM 11).
Alla scuola di questo cuore memore e sapiente di Maria, la Chiesa impara come rivolgersi con fiducia al Padre e a supplicarlo:
«Guarda con bontà, o Padre,
i doni che ti presentiamo
nel ricordo della Vergine Maria,
e fa' che sul suo esempio
custodiamo e meditiamo sempre nel cuore
i tesori di grazia del tuo Figlio».
Cuore docile
Una seconda qualifica caratterizza la fisionomia interiore di Maria, quella del cuore docile. La docilità – una parola dai molteplici significati, ampia e densa; una virtù solitamente non dei principianti, ma delle persone mature –“ è un dato essenziale nell'esperienza di fede del popolo ebraico. Essa si concretizza nell'apertura totale alla Parola, che invita ad osservare la legge e quindi ad obbedire. In ebraico un solo vocabolo-verbo: “ascoltare” racchiude il significato di “ascoltare” e “obbedire”, per cui il vero ascolto è subito obbedienza e adesione. E soltanto nel cuore, nell'interiorità, la fede-ascolto di fronte a Dio diventa disponibilità, adesione, obbedienza.
L'arte difficile dell'ascoltare è propria della tradizione d'Israele, popolo dell'ascolto (Dt 6,4), dell'orecchio aperto ogni mattina (Is 50,4-5) a una parola che si scioglie in bocca dolce più del miele (Sal 119,103; Ez 3,1-3). La stessa parola scende poi nel cuore per esservi, come afferma il salmista, amata e meditata (Sal 119,97) e come aggiungerà Guigo II Certosino, girata e rigirata, volta e rivolta. Dal cuore infine deve arrivare ai piedi, illuminando i passi, ossia tutta l'esistenza della persona (Sal 119,105).
Ma l'arte dell'ascolto docile e obbediente è propria anche della tradizione cristiana, del popolo fondato sulla solida roccia della Parola ascoltata, letta e praticata (Lc 6,46-49), resa attuale dall'annuncio e dall'insegnamento apostolico (At 2,42-47), gustata nello Spirito Santo, l'esegeta interiore (Gv 14,26; 16,13-15), custodita con gelosa vigilanza nel cuore, per costituire, in chi vi persevera, creature gioiose e felici (Gv 1,25).
La liturgia riconosce in Maria il modello di questo ascolto-obbedienza della Parola, colei che ha vissuto in docile ossequio alla volontà di Dio, assimilando gli stessi sentimenti di Cristo Gesù (cf Fil 2,5). Delle nuove dieci collette del Messale Romano (ed. 1983), nella prima – preceduta dal titolo «La Vergine dell'ascolto» – così si prega:
«Signore Dio nostro
che hai fatto della Vergine Maria
il modello di chi accoglie la tua Parola
e la mette in pratica,
apri il nostro cuore alla beatitudine dell'ascolto,
e con la forza del tuo Spirito
fa' che diveniamo luogo santo
in cui la tua parola di salvezza oggi si compie».
Maria è nostro modello non solo perché Dio l'ha resa tale, ma anche perché il suo cuore è stato sempre docile, «pronto ad ogni cenno del suo volere», come afferma il prefazio sopra citato.
Sul tema del compiere la volontà di Dio si ritorna con frequenza nei testi eucologici: da una parte viene mostrato direttamente in Maria, come abbiamo notato, dall'altra viene indicato come l'esigenza di imparare da lei, imitare il suo esempio di accoglienza della Parola, mettersi alla sua scuola di vita, ascoltare i suoi inviti, prestare ascolto al suo insegnamento.
Queste esortazioni inducono ad assumere un atteggiamento di docilità e, quindi, un atteggiamento di discepolato, che richiede fiducia, sottomissione, umiltà, obbedienza. Queste disposizioni non vanno viste come passività, ma come sapienza interiore per un cammino di adesione gioiosa ai comandi di Dio.
Nel grembo della Vergine – sottolinea la liturgia – il Verbo ha messo radici e si è sviluppato come santo Germoglio, perché tutto in Maria era silenzio, intatta disponibilità: “Eccomi – rispose a Gabriele – sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Il docile ossequio dell'umile serva del Signore, il suo fiat obbediente frutto dello Spirito, diventa nei testi liturgici proposta e stimolo a farlo proprio e a non stancarsi d'implorarlo da Dio Padre:
«... Donaci un cuore puro e docile,
perché sulla via dei tuoi comandamenti
impariamo ad amarti sopra ogni cosa,
sempre attenti alle necessità dei fratelli».
La supplica “cuore puro e docile” riguarda il cuore nuovo dei tempi messianici, e cioè il cuore puro, verginale, reso nuovo da Dio (Sal 50,12), umile e pronto come quello di Cristo, il Figlio obbediente fino alla morte di croce e per questo glorificato dal Padre, e come quello della Vergine, sempre obbediente al disegno di Dio, dal primo sì al sacrificio supremo.
Tra le voci della Tradizione possiamo ascoltare al riguardo quella di sant'Alfonso M. de' Liguori, che con energica espressione si propone di «uniformare la propria volontà con quella divina, così da farne una sola», in modo da non volere altro «se non quello che vuole Dio e la sola volontà di Dio sia la nostra». È il sommo della perfezione – sottolinea il santo – «cui ognuno deve aspirare». Quindi conclude: «Maria fu la più perfetta di tutti i santi, perché più perfettamente abbracciò sempre la divina volontà».
Cuore vigilante
Una terza e ultima qualifica su cui porre la nostra attenzione è quella del cuore vigilante di Maria. Anche qui la liturgia rimanda alla storia del popolo d'Israele, all'esperienza di un'attesa non facile a viversi, tanto da apparire a volte inutile e senza senso. Il profeta Isaia annuncia che l'attesa invece ha un profondo significato religioso (Is 2,1-5): il Signore stesso viene incontro al suo popolo e si fa conoscere. Dalla lunga e sofferta attesa, non sempre vissuta secondo il progetto di Dio, Israele uscirà più maturo, con maggiore capacità d'accogliere la parola di Dio e farla diventare “sua via e suo sentiero”.
Quanto il profeta Isaia aveva preannunciato ad Israele si attua in Gesù di Nazaret. “Vigilate!” è la consegna del Cristo, il Figlio dell'Uomo, già presente nella storia e che sempre viene (Mt 24,37-44). “Vigilate” è la parola d'ordine della liturgia, soprattutto nel tempo di preparazione al Natale. L'eucaristia non solo fa rivivere la realtà di un'attesa che non delude, perché in essa si attua la venuta del Signore, ma anche suscita l'impegno della vigilanza operosa. Si prega in un prefazio di Avvento:
«Lo stesso Signore,
che ci dona di prepararci con gioia
al mistero del suo Natale,
ci trovi vigilanti nella preghiera».
La Chiesa che vive e celebra l'Avvento con lo stile di Maria impara come prepararsi all'incontro con Dio. Le autentiche espressioni della vigilanza cristiana: la lode, la fede, la gioia, la speranza della Vergine diventano le caratteristiche del credente in vigile attesa, e da tale virtù alimenta e sorregge la sua preghiera (cf. Lc 21,36; Ef 6,18; Col 4,2; 1Pt 4,7). Ma vigilare è altresì combattere, rivestiti delle armi della luce: fede, amore, speranza, verità, giustizia... (cf. Rm 13,11-13; 1Cor 16,13; Ef 6,10-20; 1Pt 5,8-9).
In Maria di Nazaret l'attesa vigile del Messia riveste l'espressione più pura e più intima, e tocca il suo vertice. Quale donna in attesa, Maria attende il Messia come colei che «primeggia tra gli umili e i poveri del Signore», secondo l'espressione della Lumen gentium (n. 55), tra coloro cioè che attendono la venuta del Messia in modo del tutto conforme al disegno di Dio.
Questa attesa vigile viene espressa molto bene nei testi eucologici. Nel rito per la benedizione di una immagine della Vergine figura un testo certamente ispirato a LG 55, in cui si prega:
«[Maria ] l'eletta Figlia di Sion,
che unendo la sua voce implorante ai gemiti dei patriarchi,
ha raccolto nel cuore le attese dell'antico Israele...».
Il Cuore della Vergine è il luogo, lo spazio in cui si raccoglie e si concentra, limpida ed alta, l'attesa d'Israele: questo, prima del dialogo con l'angelo Gabriele che le reca il messaggio divino. Dopo il consenso di Maria al progetto salvifico di Dio, la situazione muta profondamente. Non saranno più tempi di attesa, ma di compimento. «Con lei, eccelsa Figlia di Sion – prosegue il Concilio Vaticano II – dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura una nuova economia, quando il Figlio di Dio assunse da lei la natura umana, per liberare con i misteri della sua carne l'uomo dal peccato» (LG 55).
Per Maria l'attesa si configura in maniera diversa: si distingue da quella dei patriarchi e dei profeti, che aspettavano da Dio la realizzazione delle promesse, perché ella non attende più il Messia, attende ciò che già possiede, come ogni futura madre. Maria, come donna incinta, attende che l' “Atteso delle genti” si manifesti nascendo dal suo grembo verginale. Maria sa che colui che da lei nascerà sarà il “Santo”.
Il cuore vigilante di Maria è capace di attesa, che si traduce anche nello slancio di una fede appassionata. Si prega nel prefazio:
«Tu hai dato alla Vergine Maria...
un cuore vigilante
che ha atteso con fede l'alba della risurrezione».
Anche per Maria l'attesa è stata faticosa, ha richiesto fedeltà, perseveranza e persino speranza, virtù messe talvolta a dura prova. Nel grande giorno del Sabato Santo, giorno del “riposo” di Cristo, la fede della Chiesa, la speranza di ogni creatura dimora nel cuore di Maria: è l’ “Ora della Madre”. Ella è la Chiesa che crede contro ogni evidenza, che spera contro ogni speranza, che ama fino al supremo sacrificio.
Conclusione aperta
Al termine del nostro viaggio possiamo individuare alcune provocazioni e stimoli sul valore esemplare dell’atteggiamento della Vergine Maria, fatto di ascolto, di silenzio, di riflessione sapienziale, efficacemente messo in luce dalla liturgia:
– il contemplare il Cuore di Maria, l’andare al nucleo più intimo di lei significa per il credente ritornare al suo originario centro corporeo spirituale, alla sorgente primaria delle sue decisioni e scelte, alla radice dei suoi atti di intelligenza e volontà. La liturgia infatti preferisce insistere su ciò che il “Cuore della Vergine” è per noi, piuttosto che su ciò che noi dobbiamo fare per il “Cuore della Vergine”;
– il contemplare il Cuore di Maria significa per il credente prendere coscienza e maggiore consapevolezza del dono inestimabile di essere dimora abitata dal Padre, dal Figlio, dallo Spirito Santo. La liturgia aiuta a riscoprire questo luogo intimo, là dove abita la luce che ci ha creato.
– il contemplare il Cuore di Maria significa imparare da lei gli atteggiamenti evangelici – di sapienza e docilità – con cui visse il suo rapporto con Dio. La liturgia invita il devoto della Vergine ad andare in profondità nel mistero del Cuore di Maria, per un cammino più spedito nella via della santità.
Possiamo concludere con le parole suggestive di Henry de Lubac: «Maria, “Madre muta del Verbo silente” ... prefigurava quel lungo lavorio di memoria e di intensa ruminazione che costituisce l’anima della Tradizione della Chiesa» (Meditazione sulla Chiesa, p. 426).
Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici