Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2017/6, p. 38
Una suora in difesa dei dalit Detenuti cristiani invitati a convertirsi all’islam Rapimento di una suora colombiana Oltre ai conflitti, ora anche la fame

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Testimoni
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INDIA - BIHAR
Una suora in difesa dei dalit
Suor Poonam, 65 anni, è una religiosa della Congregazione di Gesù (Cj), istituto fondato nel 17mo secolo dalla venerabile Mary Ward. Da anni, insieme ad alcuni sacerdoti e ad altre suore, lavora per promuovere il benessere dei dalit, tuttora vittime di varie forme di discriminazione. «Lavorare in Bihar per la liberazione dei dalit, un tempo chiamati “intoccabili” – ha dichiarato sr. Poonam all’Agenzia Asia News ((21 aprile 2017) – è espressione di profonda fede in azione. Come in molte parti dell'India, in Bihar sono presenti diverse forme di ostracismo e discriminazione sociale, economica e politica dei dalit. Noi ci impegniamo affinché queste persone abbiano una vita dignitosa».
La suora – scrive sempre l’Agenzia – fa parte del Forum of Religious women and men for Justice and Peace, un movimento di consacrati che svolgono attività sociali a sostegno ai poveri. Il forum si propone di rafforzare la solidarietà, estendere il sostegno reciproco, rinnovare le risorse spirituali, morali e intellettuali delle persone bisognose, in modo da poter essere di stimolo per la Chiesa e la società. In India, la divisione in caste (brahmini o sacerdoti, guerrieri, mercanti, agricoltori, fuori casta), continua a caratterizzare la visione della società, nonostante le caste siano state abolite dalla Costituzione. Anche nella Chiesa sono presenti forme di emarginazione, ed è per questo che lo scorso anno i vescovi hanno varato un piano d'azione per migliorare le condizioni dei dalit (che rappresentano il 70% dei 27 milioni di cattolici dell’India). Sr. Poonam sostiene che il metodo migliore per risvegliare le coscienze consista nel partire dall'educazione degli stessi emarginati. «Identifichiamo dei leader locali – afferma – li educhiamo, formiamo dei comitati per la salute, il benessere, la vigilanza, la protezione dei consumatori e il controllo delle carceri». Uno dei modi in cui si esprime il desiderio di cambiamento è la protesta. «L'angoscia e la frustrazione delle comunità che continuano a essere poste ai margini della società – osserva sr. Poonam – trovano espressione nella protesta, soprattutto nei casi in cui le caste dominanti tendono a rimarcare la gerarchia attraverso strutture di potere che perpetuano l'oppressione dei diritti dei dalit». «Noi sosteniamo i nostri diritti fondamentali, garantiti dalla Costituzione, cui si oppongono le classi dominanti per mezzo di varie atrocità. Forse l'unico mezzo per controllarle è la protesta. La rabbia per ciò che avviene e il desiderio di stare dalla parte delle vittime spinge persone come me ad unirsi a questa lotta».
PAKISTAN
Detenuti cristiani invitati a convertirsi all’islam
In Pakistan sta ormai diventando un pratica diffusa di chiedere ai detenuti non musulmani di convertirsi all’islam in cambio del rilascio. Lo ha dichiarato all’Agenzia Fides Nasir Saeed, avvocato cristiano che guida l'Ong "Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement” (CLAAS), impegnata nell'assistenza legale di molti cristiani accusati falsamente di blasfemia o di altri crimini. "Ricordo il caso di Asia Bibi – ha affermato Saeed – in carcere per presunta blasfemia. Le fu detto con chiarezza che, se si fosse convertita all'islam, le accuse sarebbero subito decadute. Ma la donna rifiutò.
La pratica di chiedere la conversione all’islam in cambio dell’assoluzione è tornata alla ribalta delle cronache – riferisce l’Agenzia – dopo che il viceprocuratore distrettuale di Lahore, Syed Anees Shah, è stato accusato da decine di cristiani di aver chiesto loro di convertirsi all'islam in cambio dell'assoluzione nel caso del linciaggio di due musulmani. I due furono uccisi nella violenza di massa che scoppiò due anni fa a Youhanabad, quartiere cristiano di Lahore. La violenza divampò il 15 marzo 2015, dopo l'attacco che i terroristi suicidi avevano sferrato davanti a due chiese, una cattolica e una protestante. Nel parapiglia generale i cristiani identificarono due musulmani come complici del crimine e i due furono linciati dalla folla inferocita.
Nei successivi raid della polizia nel quartiere, circa 500 cristiani furono arrestati come presunti autori del linciaggio e tre diversi processi furono avviati in tribunale. Molti di loro furono rilasciati su cauzione, ma 42 sono stati condannati come riferisce sempre l’Agenzia Fides del 22 febbraio 2017. Secondo la ricostruzione di CLAAS, all'offerta del procuratore di cambiare religione, gli imputati sono rimasti in silenzio, tranne uno che ha detto d'istinto: «Preferisco essere impiccato piuttosto che abbracciare l'islam». Il magistrato ha inizialmente negato di aver fatto questa offerta ma, dopo aver saputo dell'esistenza di una registrazione video, ha ammesso di averla pronunciata.
Le minoranze religiose in Pakistan da anni chiedono invano un provvedimento che vieti la conversione forzata. Recentemente il Parlamento della provincia del Sindh, nel Pakistan meridionale, ha approvato una legge in merito ma, a causa delle proteste e delle obiezioni dei gruppi islamici, il governatore non ha firmato il disegno di legge.
MALI
Rapimento di una suora colombiana
Sono trascorsi ormai oltre quattro mesi da quella notte tra il 7 e l’8 febbraio quando in Malì è stata rapita la suora colombiana Gloria Cecilia Argoti. L’episodio è avvenuto a sud est della capitale Bamako, nella diocesi di Sikasso, in cui è situata la parrocchia di Karangasso dove sr. Gloria esercitava la sua missione apostolica. Nelle sue ricerche si è impegnata attivamente anche la chiesa locale di Sikasso, ma senza esito. Si sospetta che il sequestro sia opera di “banditi” allo scopo di chiedere un riscatto, oppure di jihadisti, ma si ipotizza anche che sia stata consegnata ad un altro gruppo che la terrebbe ora in ostaggio.
Lo scorso mese di marzo, la superiora generale della Congregazione, Noemi Quesada Paniagua, ha reso pubblica una commovente lettera ai sequestratori in cui scriveva: “Chiediamo umilmente ai nostri fratelli sequestratori che riflettano sulla loro azione ingiusta perché le suore stavano facendo solo del bene. Trovando uno, due, tre, quattro bambini che avevano perso la mamma al loro nascere, avevano deciso di accoglierli in casa loro, ma siccome il numero dei bambini aumentava, fu aperto un orfanotrofio per ospitarli. Al momento del sequestro gestivano un focolare con 32 bambini. Signori sequestratori, anche voi siete dei padri di famiglia che siamo venute a servire da quella terra lontana che è la Colombia. Siamo venute con tutto l’amore, con il cuore in mano per prenderci cura dei vostri figli. Vi diciamo: veniamo da terre che sono anch’esse povere, e nella nostra povertà vogliamo condividere con voi il tesoro più grande che Dio ci ha donato: la Vita. La sorella Gloria e le sue compagne sono state inviate a Karangasso perché erano disposte a lavorare, amare e servire la sua gente. Dal 7 febbraio, i bambini sono rimasti per la seconda volta orfani. Non è giusto che questi innocenti debbano soffrire per le azioni insensate degli adulti. In nome di Dio e in nome delle 32 mamme di questi piccoli che già stanno in cielo, vi supplichiamo di riconsegnarci sr. Gloria Cecilia Narváez. Tutti siamo fragili e possiamo sbagliare, ma possiamo correggere i nostri errori. Crediamo che voi con questa azione abbiate commesso un errore e sta nelle vostre mani correggere ciò che avete compiuto».
NIGERIA
Oltre ai conflitti, ora anche la fame
La Nigeria è un paese diviso tra un Nord musulmano e un Sud cristiano. Oltre che dai conflitti, il paese è attualmente minacciato anche dalla catastrofe della fame.
Sulla situazione di questo Paese ha parlato, in un’intervista nell’aprile scorso, all’agenzia tedesca KNA l’arcivescovo Ludwig Schick della diocesi di Bamberg, presidente della Commissione per la Chiesa universale della Conferenza episcopale tedesca, dopo una visita compiuta laggiù. La Nigeria, ha affermato, si trova attualmente in una crisi. È importante che abbiamo a manifestare la nostra solidarietà ai cristiani che stanno vivendo un momento difficile, ma anche perché ciò è importante per lo sviluppo del Paese.
In Nigeria non c’è solo il conflitto tra cristiani e musulmani. La problematica è più complessa e ha anche una componente etnica e sociale: i terreni sono sempre meno e le etnie se li contendono tra di loro. La popolazione aumenta molto in fretta, e insieme anche la povertà. In questa situazione hanno buon gioco i movimenti estremisti, come Boko Haram e altri gruppi radicali, che promettono facili soluzioni. Sono gruppi che si propongono di sradicare tutti coloro che non li seguono, in particolare i cristiani, ma anche molti musulmani.
Ci sono state in questi anni molte parrocchie colpite dal terrorismo. Ora, afferma il vescovo, la situazione è alquanto migliorata, ma il pericolo esiste sempre. La Nigeria è uno Paese federale. In molti stati locali a maggioranza musulmana è stata introdotta la legge islamica Sharia. È un fatto molto preoccupante e, soprattutto per i cristiani, una minaccia. Purtroppo il governo centrale si guarda bene dall’intromettersi.
La Chiesa cattolica, assieme alle altre Chiese, cerca di compiere ogni sforzo affinché cristiani e musulmani abbiano a tornare a vivere in pace, com’era un tempo, prima che si scatenasse il terrorismo.
Nel Paese restano però da risolvere degli enormi problemi economici. La guerra, oltre ad avere devastato tutto dove è passata, ha sottratto anche forze lavorative al Paese e dirottato un gran flusso del denaro verso gli armamenti, tenendo presente che dove esiste Boko Haram è necessaria una più consistente forza militare.
Inoltre, se il fenomeno del terrorismo sembra diminuire, nel paese incombe ora lo spettro della fame. E diventerà ancora più grave, se non saranno prese delle energiche misure per contrastarlo. Gli aiuti internazionali costituiscono solo un primo intervento. Più importante è che la popolazione abbia nuovamente la possibilità di provvedere a se stessa. A questo scopo occorre uno Stato che non sia sfruttato dalle “élite”. Ma c’è anche bisogno della pace e al più presto possibile.
a cura di Antonio Dall’Osto