Basso Aldo
Mettere ordine nella propria vita
2017/6, p. 34
Mettere ordine nella propria vita e nella realizzazione dei nostri bisogni appare una condizione molto importante per sperimentare quella gioia di vivere a cui tutti aspiriamo. Come l’uomo non potrebbe vivere in società senza la verità, così nemmeno senza la gioia.

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Spunti per un’igiene mentale
METTERE ORDINE
NELLA PROPRIA VITA
Mettere ordine nella propria vita e nella realizzazione dei nostri bisogni appare una condizione molto importante per sperimentare quella gioia di vivere a cui tutti aspiriamo. Come l’uomo non potrebbe vivere in società senza la verità, così nemmeno senza la gioia.
Un antico detto latino recita: “serva ordinem et ordo servabit te” (Conserva l’ordine e l’ordine ti custodirà). Applicato all’organizzazione generale della propria vita, questa indicazione può avere diversi significati: evitare di essere dispersivi nelle proprie cose, affidandosi semplicemente al capriccio e all’istinto; avere obiettivi importanti e significativi in funzione dei quali organizzare la propria vita; stabilire priorità; rispettare impegni e scadenze.
Tutto questo dovrebbe apparire una prospettiva di vita ragionevole e condivisibile, ma oggi il contesto socio-culturale in cui viviamo non sembra favorirla. Il noto sociologo Garelli, ad esempio, in una recente pubblicazione ricca di spunti di riflessione afferma che oggi «la tendenza prevalente è ad ampliare le possibilità, a moltiplicare le esperienze, ad arricchire continuamente il vissuto, più che a ordinare l’esistenza attorno ad alcuni criteri prioritari».
Facendo poi riferimento alle generazioni più giovani e quindi a persone che si preparano a dare un’organizzazione definitiva alla propria vita, lo stesso autore parla di “soggetti distratti dai molteplici stimoli che affollano il loro vissuto, interpreti di un modello di realizzazione così flessibile da non sopportare impegni e investimenti di medio-lungo periodo; talmente permeati dalla cultura del “mordi e fuggi” da far fatica a portare a termine attività pur liberamente scelte… così propensi a dar spazio nelle loro opzioni di vita alle emozioni e ai sentimenti da mettere in sordina il richiamo agli ideali e ai progetti; o così attratti da esperienze ed eventi a grande risonanza emotiva da confinare nell’insignificanza i momenti ‘feriali’ dell’esistenza… Una generazione che non rifiuta le interazioni, anche se privilegia l’accesso rapido, i messaggi istantanei, le video-chiamate, le video-chat, palesando una difficoltà congenita a connettersi alla vita off-line ( quella in cui più si gioca la relazione educativa), visto il primato attribuito a quella on-line”.
Che cosa dunque potrebbe significare ‘mettere ordine nella propria vita’ nell’attuale contesto della nostra esistenza quotidiana? Provo a dare qualche risposta.
Ordine
nelle proprie attività
A volte le nostre giornate possono essere piene di impegni che ci siamo scelti e/o abbiamo accettato liberamente di svolgere. Conosciamo tutti il rischio di cedere all’attivismo affannoso, al rimo frenetico e incalzante, con il pericolo di trovarsi alla fine in situazioni di stanchezza cronica o burnout.
Mettere ordine in questo ambito può assumere diversi significati. Ad esempio: rispettare alcuni orari fondamentali (come quelli legati al tempo da dedicare al sonno e al lavoro); prendersi momenti di svago e di libertà dagli impegni; stabilire priorità; non perdersi in chiacchiere vuote e superficiali; prendere coscienza che di fronte a diverse richieste ognuno di noi può – se vuole – dire no; non dimenticare che «ciò che non si può allontanare all’esterno si può sempre allontanare dalla propria anima» (A. D. Sertillanges). La Bibbia ci dà questo consiglio: “Figlio, per quanto ti è possibile, trattati bene… Non privarti di un giorno felice”.
Questi suggerimenti possono sembrare dettati semplicemente dal buon senso e di facile applicazione, se si decide di metterli in pratica… Ma non è così. Non a caso papa Benedetto XVI parla di “umiltà e coraggiodi riposare: riuscire a fermarsi ed essere capaci di riposare esige queste due virtù, non certamente facili. Si richiede inoltre una sufficiente capacità introspettiva per riconoscere le “vere” – non le “buone” – ragioni che ci rendono difficile o impossibile uno svolgimento calmo e tranquillo dei nostri impegni quotidiani. Non raramente, infatti, una vita frenetica può essere dettata dall’incapacità di sopportare la solitudine; altre volte, si è tiranneggiati da un eccessivo senso del dovere o da un bisogno compulsivo di essere amati e valorizzati, senza escludere in certi casi lo stimolo di una forte spinta narcisistica.
Ordine nella gestione
delle informazioni
Oggi viviamo in un contesto socio-culturale caratterizzato da un «eccesso di stimoli e un eccesso di scelte» (A. Toffler). I social hanno accresciuto le possibilità comunicative; internet offre un accesso pressoché illimitato ad informazioni di qualsiasi genere. I vantaggi offerti dai diversi media sono innegabili e straordinari; nello stesso tempo, dobbiamo ammettere che è concreto il rischio di un “sovraccarico informativo”, come pure quello di non riuscire a distinguere tra informazioni/comunicazioni importanti e necessarie e informazioni di scarso valore, se non addirittura negative e fuorvianti.
Mettere ordine in questo ambito può concretizzarsi in tanti modi. A volte si tratta semplicemente di vigilare sul tempo dedicato a navigare in internet o all’uso dei social, tenendo conto dei propri impegni e responsabilità professionali. Il card. Martini, parlando ad un gruppo di sacerdoti, raccomanda «un po’ di ordine nell’uso della televisione, nello zapping, un po’ di ordine nel servirsi di internet. Non pensare che la sera dopo le undici o mezzanotte siamo così padroni di noi stessi da poter girare per tutti i canali televisivi, per tutti i siti internet, sapendo bene quando dobbiamo fermarci. Naturalmente l’intenzione è retta, perché si dice: “Voglio vedere cosa vede la mia gente, i miei giovani”. Ma poi da quella buona intenzione si passa alla curiosità, al trattenersi… Questa è mancanza di ordine che produce gravi inconvenienti».
È pure necessario trovare il tempo per dedicarsi allo studio e alla lettura di testi che nutrano lo spirito, avendo particolare cura nella scelta di ciò che si legge. La lettura può offrire, tra l’altro, anche la possibilità di scoprire eventuali guide spirituali o “compagni di viaggio” (Benedetto XVI), agli scritti dei quali ritornare spesso per diletto, per consiglio o per bisogno di luce.
Ordine nella custodia
dei sensi
Può rientrare in queste riflessioni anche un accenno alla “custodia dei sensi” (di cui nella predicazione cristiana si parlava più in passato che al presente), in particolare degli occhi, da esercitare naturalmente tenendo conto sia della situazione psicologica come delle responsabilità e dei contesti di vita di ciascuno (s. Tommaso, ad esempio, dice che dopo una certa età non è più così necessario come nei giovani il rigore nella custodia degli occhi). Qualcuno parla oggi di un inquinamento non solo atmosferico, ma anche “visivo e sonoro”, che a sua volta porta ad un “inquinamento spirituale”: «Come esiste un inquinamento atmosferico, che avvelena l’ambiente e gli esseri viventi, così esiste un inquinamento del cuore e dello spirito, che mortifica ed avvelena l’esistenza spirituale». È necessario dunque “decidere” che cosa si vuole vedere e ascoltare: ne va, in definitiva, della nostra “educazione del gusto”, così da non meritare il rimprovero che già s. Agostino rivolgeva a coloro che «non avevano conosciuto le cose più necessarie essendosi dedicati a cose superflue».
Tutto questo può tradursi in una forma di ascesi, perché richiede spesso disciplina interiore, capacità di stare in silenzio, cura della vita spirituale, ferma volontà di sottrarsi a varie forme di dipendenza, capacità introspettiva (chiedersi, ad esempio, quali sono le “vere” ragioni che portano a chattare e non risparmiare tempo nell’intrattenersi con centinaia di “amici” [?] tramite facebook).
Ordine nella vita
emotiva e affettiva
Afferma Lacroix: «Gli storici che si dedicheranno a descrivere la nostra epoca ricorderanno che fu posta sotto il segno dell’emozione». La ricerca di forti e speciali emozioni sembra essere una manifestazione dell’individualismo così presente nella cultura contemporanea. Scrive ancora Lacroix: «È significativo che l’uomo contemporaneo si interessi più all’emozione, che è di tipo esplosivo, che al sentimento, che ha un carattere durevole. Del resto, nel campo delle emozioni, egli trascura quelle che potrebbero arricchire la sua anima a vantaggio di quelle che gli procurano semplici eccitazioni. Preferisce l’emozione-shock, che è nell’ordine del grido, all’emozione-contemplazione, che è nell’ordine del sospiro. Ricerca le situazioni che danno sensazioni forti. Ha bisogno di essere scosso da commozioni, stordito da attività isteriformi, sbalordito da impressioni inedite e potenti. La sua vita affettiva è fatta di movimento e non di raccoglimento, di azione e non di contemplazione… Il sentimento pacato dell’esistenza sembra ben lontano dalle nostre abitudini»”.
È facile constatare come frequentemente ciò che più emoziona l’uomo di oggi siano passatempi chiassosi, immagini digitali, videogiochi palpitanti, spettacoli sensazionali, coreografie grandiose, esperienze violente, musica frenetica, velocità, per non parlare della ricerca di stati di coscienza modificati e stati di trance. Intossicata da sensazioni forti, la nostra anima diviene indisponibile per la bellezza del mondo. La nostra sensibilità corre il rischio di diventare tecnodipendente: ci si emoziona di più di fronte all’artificiale che al naturale.
C’è bisogno quindi di recuperare la capacità di vibrare per realtà semplici e naturali, coltivare il gusto per il bello, sottrarsi al chiasso esteriore, saper gustare il silenzio e il raccoglimento, non dimenticare che la vita interiore è nutrita soprattutto dalla disponibilità alla contemplazione. «Le persone che “emanano interiorità” devono il loro tesoro interiore alle impressioni ricevute dall’esterno. Per una, sarà un sentimento d’estasi provato davanti a un quadro; per un’altra, l’ammirazione sentita davanti a un paesaggio, una gioia condivisa con un bambino, una conversazione con un essere amato, un momento di raccoglimento nel corso di una cerimonia religiosa, uno scambio di sguardi con una persona amata, una musica ascoltata con rapimento, un momento di voluttuoso abbandono alla bellezza di un giardino, un abbraccio appassionato».
Benedetto XVI ci ha lasciato questa annotazione preziosa: «La capacità di interiorità, una maggiore apertura dello spirito, uno stile di vita che sappia sottrarsi a quanto è chiassoso e invadente, devono tornare ad apparirci mete da annoverare tra le nostre priorità… Siamo onesti: oggi vi è un’ipertrofia dell’uomo esteriore e un indebolimento preoccupante della sua energia interiore».
La nostra sensibilità può essere educata anche dalla lentezza. «Il primo atto da compiere per modificare la propria vita emotiva è darsi del tempo, rallentare il ritmo della propria esistenza... Chi fa le cose lentamente può trarre tutto il succo emozionale dal qui e ora, gusta il sapore della vita.... “Le cose ci parlano se noi abbiamo il tempo di ascoltare”».
In conclusione
Scorrendo le considerazioni sopra riportate e gli spunti pratici proposti si potrebbe avvertire una leggera sensazione di fastidio, se non di rifiuto, dettata dal timore che in qualche modo sia minacciata la libertà, la creatività, la spontaneità del vivere: sensazione favorita tra l’altro anche dall’attuale clima culturale che esalta la più ampia spontaneità e la più ampia soddisfazione dei desideri, senza porre ostacoli a quelli che sono ritenuti i “diritti individuali».
È ben noto che ognuno di noi aspira alla felicità e ha un bisogno innato e profondo di sperimentare la gioia di vivere, quella gioia che corrisponde ad un senso diffuso di pace e di piacere che viene in noi dal possesso di quanto ragionevolmente desideriamo. La libertà di organizzare la propria vita in base ai bisogni e alle condizioni di ciascuno rappresenta a sua volta la condizione irrinunciabile per vivere una vita piena e soddisfatta. Questa libertà, però, non significa lasciarci semplicemente trasportare dai nostri desideri del momento o dal capriccio: si è liberi nella misura in cui scopriamo dei valori che meritano di essere fatti propri e nel metterci poi nelle condizioni di perseguirli con tutte le nostre forze, accettando le inevitabili rinunce a quanto ci allontana o ci impedisce di raggiungerli.
Dovrebbe quindi apparire naturale, a questo punto, parlare dell’importanza del dominio di sé (un atteggiamento che s. Paolo annovera tra i doni dello Spirito). In un’epoca che ricorre a mille stratagemmi e astuzie per convincerci che ogni cosa si può fare senza fatica, che ogni obiettivo è perseguibile in modo rapido, economico, gratificante, esiste il rischio concreto di credere che diventare uomini sia in definitiva cosa facile e per la quale basta seguire la natura e che per realizzare appieno la nostra umanità sia sufficiente affidarsi al desiderio. Parole come pazienza, perseveranza, tenacia, forza di volontà, disciplina dovrebbero forse essere oggetto di maggiore considerazione nella definizione di quel lessico pedagogico a cui ispirarsi, soprattutto quando si tratta dell’educazione delle nuove generazioni.
Oggi si diffonde una certa tendenza a considerare i propri bisogni come sacri e ritenere che ogni nostro desiderio debba essere riconosciuto come diritto. «Determinati come sono da temperamento, inclinazione, provenienza culturale e ambiente di ogni individuo e gruppo, i bisogni sono i nostri problemi, piuttosto che le nostre norme».
Essere capaci di mettere ordine nella propria vita e quindi nella realizzazione dei nostri bisogni appare, in definitiva, una condizione molto importante per sperimentare quella indispensabile gioia di vivere a cui tutti aspiriamo, poiché «come l’uomo non potrebbe vivere in società senza la verità, così nemmeno senza la gioia».
Aldo Basso