Chiaro Mario
Il lavoro emergenza nazionale
2017/6, p. 32
I vescovi parlano della necessità di una conversione che induca a riflettere prima di tutto sulla questione di giustizia e sul senso del lavoro. Il lavoro ha una tale valenza antropologica da non poter essere ridotto alla sola dimensione economica. Occorre costruire un’economia capace di sviluppo sostenibile.

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Messaggio della CEI per il 1° maggio
IL LAVORO
EMERGENZA NAZIONALE
I vescovi parlano della necessità di una conversione che induca a riflettere prima di tutto sulla questione di giustizia e sul senso del lavoro. Il lavoro ha una tale valenza antropologica da non poter essere ridotto alla sola dimensione economica. Occorre costruire un’economia capace di sviluppo sostenibile.
La Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace ha diffuso un Messaggio per la giornata del 1° maggio 2017. Con una citazione dell’apostolo Paolo (“Lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno abbiamo annunziato il Vangelo di Dio”- 1 Tessalonicesi 2,9), i vescovi italiani hanno così voluto subito sottolineare che «il lavoro costituisce una delle frontiere dell’evangelizzazione sin dagli inizi del cristianesimo». Proprio il testo paolino richiama infatti due aspetti che valgono anche nelle attuali circostanze: il tema della giustizia e il tema del senso del lavoro. In questa direzione si muove anche la preparazione della 48ª Settimana sociale dei cattolici italiani (Cagliari 26-29 ottobre 2017) che ruoterà intorno a un’affermazione chiave della Evangelii gaudium: “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale” (n. 192).
Il Messaggio indica anzitutto alcuni numeri preoccupanti: un tasso di disoccupazione ancora troppo alto (attorno al 12%, con punte vicine al 40% tra i giovani, e vicino al 20% al Sud); 8 milioni di persone a rischio di povertà, spesso a causa di un lavoro precario o mal pagato, più di 4 milioni in condizione di povertà assoluta. «Nonostante la lieve inversione di tendenza registrata negli ultimi anni, il lavoro rimane un’emergenza nazionale. Per tornare a guardare con ottimismo al proprio futuro, l’Italia deve mettere il lavoro al primo posto». Ma al di là dei numeri, sottolinea il testo, in gioco ci sono le vite concrete delle persone, con le storie di giovani che non trovano la possibilità di mettere a frutto le proprie qualità, di donne discriminate e trattate senza rispetto, di adulti disoccupati che vedono allontanarsi la possibilità di una nuova occupazione, di immigrati sfruttati e sottopagati.
Questione di giustizia
e di senso del lavoro
Alla luce di tutto ciò i vescovi affermano che la soluzione dei problemi economici e occupazionali non può essere raggiunta senza una “conversione spirituale” che permetta di tornare ad apprezzare l’integralità dell’esperienza lavorativa.
Per iniziare questa conversione è indicata prima di tutto la questione di giustizia. Il lavoro oggi manca perché ha subito una grave svalorizzazione con la “finanziarizzazione” dell’economia che ha reso il lavoro quasi un inutile corollario: si è passati dalla logica del profitto con produzione legata al rispetto del lavoratore alla logica della crescita dei vantaggi economici provenienti da rendite e speculazioni. E anche dove il lavoro è rimasto centrale nella produzione della ricchezza, «non è stato difeso dallo sfruttamento e da tutta l’opacità cercata da chi ha voluto fare profitto senza rispettare chi gli ha consentito di produrre». Questo paradigma con le sue storture si rivela sempre meno sostenibile. Perciò, prosegue il Messaggio citando l’articolo 4 della Costituzione italiana, «non sarà possibile nessuna reale ripresa economica senza che sia riconosciuto a tutti il diritto al lavoro e promosse le condizioni che lo rendano effettivo». L’obiettivo prioritario di ogni progresso sociale è proprio quello di combattere tutte le forme di sfruttamento e di sperequazione retributiva.
Ma occorre riflettere anche su una seconda questione, quella legata al senso del lavoro. Il lavoro ha una tale valenza antropologica da non poter venire ridotto alla sola dimensione economica. «Il lavoro è espressione della creatività che rende l’essere umano simile al suo Creatore». Secondo la tradizione cristiana, il lavoro è sempre associato al senso della vita e perciò non può mai essere ridotto a “occupazione”. Questo tema è centrale oggi di fronte alla sfida della “digitalizzazione” che rischia di mettere al margine l’esperienza lavorativa, oltre che causare la perdita di molti posti di lavoro. Solo un’esperienza lavorativa creativa, partecipativa e solidale potrà permettere a ognuno di accedere a una vera «prosperità nei suoi molteplici aspetti» (Evangelii gaudium n. 192).
Centralità
del lavoro
La questione della giustizia e quella del senso sono strettamente intrecciate tra loro. Infatti, continua il messaggio, solo dove si riconosce la centralità del lavoro si può generare un valore economico che arricchisce l’intera comunità. Occorre dunque oggi saper cogliere gli aspetti che aiutano a costruire un’economia capace di sviluppo sostenibile. La chiave per ordinare i diversi ambiti della vita personale e sociale sta nel rimettere il lavoro al primo posto. L’attenzione va quindi alla scuola, «primo investimento di una società che pensa al proprio futuro», che formi persone all’altezza delle sfide e capace di un interscambio con il mondo del lavoro; alle imprese, «che hanno una particolarissima responsabilità nel trovare forme organizzative e contrattuali capaci di valorizzare davvero il lavoro»; alla questione dell’orario di lavoro e dell’armonizzazione dei tempi lavorativi e familiari (tema non più rinviabile, visto il grande numero di donne che lavorano); alla promozione della nuova imprenditorialità, che può vedere protagonisti soprattutto i giovani.
Il cuore del Messaggio Cei per il 1° maggio sta nell’annunciare alla società italiana che tale conversione può davvero fare ripartire l’intero paese. Per dare impulso a questo impegno, la prossima Settimana sociale dei cattolici in Italia intende dare un contributo affinché sia finalmente riconquistata la centralità del valore del lavoro. Questo diventa possibile a partire dalla convinzione che sia proprio il lavoro umano a generare quel “valore” «capace di integrare la dimensione economica, anche di fronte ai cambiamenti epocali causati dall’incalzante innovazione tecnologica, con quella sociale e antropologica, di cui tutti oggi sentono il bisogno».
Le criticità
del lavoro
Nel corso della conferenza stampa di presentazione del messaggio, l’arcivescovo di Taranto mons. Filippo Santoro (presidente della Commissione episcopale Cei per i problemi sociali e il lavoro e del Comitato organizzatore delle Settimane sociali) ha portato un ulteriore contributo sul tema approfondendo il senso della 48ª Settimana sociale con l’impegno a muoversi secondo l’indicazione di papa Francesco: l’obiettivo è quello di “aprire processi” che impegnino le comunità cristiane e la società italiana a rimettere il lavoro al centro delle nostre preoccupazioni quotidiane a motivo della ineliminabile dimensione sociale della evangelizzazione (Evangelii gaudium, cap. IV).
Il vescovo ha indicato alcuni punti che su questa questione stanno a cuore alla Chiesa italiana. Il primo riguarda il dramma di tanti giovani che, particolarmente nel Sud, lasciano la loro terra o che non hanno lavoro e che spesso neppure lo cercano più. «E quando il lavoro c’è, ci troviamo anche a denunciare le violazioni, gli incidenti mortali, lo sfruttamento, l’illegalità». Il grido per la fragilità del lavoro si unisce al grido della terra violentata e sfruttata: «basta solo ricordare due ferite aperte nella nostra carne che sono la Terra dei fuochi e il caso Taranto. La proposta di papa Francesco di una “ecologia integrale” indica la prospettiva per una giusta soluzione dell’inquinamento della terra e della precarietà del lavoro».
Un secondo problema è la preoccupante estensione dell’area della povertà associata alla crisi occupazionale di questi ultimi anni, quando la disoccupazione e il “lavoro povero” si sono allargati a tutte le forme di lavoro, autonomo e dipendente. In questo contesto oltre all’assenza del lavoro va sottolineata la sua precarietà nelle varie forme di insicurezza, di lavoro nero, di caporalato, di illegalità come le agromafie e le ecomafie. «Porto con me il dolore e lo strazio dei ragazzi morti sul lavoro dei quali ho celebrato le esequie in questi anni, come anche le mie esperienze di quelle famiglie che hanno perso la propria mamma o il proprio papà, uccisi dal calore nei campi di raccolta, d’estate, dopo ore e ore di lavoro per pochi euro, taglieggiati per giunta dal caporale di turno e al netto del biglietto del bus pagato a proprie spese».
Una terza dimensione problematica deriva dal nodo di questioni connesse al lavoro femminile. Le statistiche ci dicono che oggi le ragazze raggiungono livelli di scolarità superiore rispetto ai coetanei maschi. Nonostante ciò, la loro partecipazione al mercato del lavoro rimane molto limitata: la disoccupazione femminile è più alta della media (13,2%); i salari delle donne sono più bassi di quelli degli uomini a parità di mansione; il numero di figli pro capite è tra i più bassi in Europa.
Un quarto problema è quello legato alla distanza tra il sistema scolastico e il mondo del lavoro. Il sistema italiano che separa rigidamente il momento formativo da quello lavorativo crea un divario tra la domanda di competenze delle imprese e i profili in uscita da scuole e università: per questo vanno culturalmente ripensati insieme scuola e lavoro.
Un’ultima importante osservazione di mons. Santoro riguarda il mondo del lavoro che sta cambiando così in fretta da rivoluzionare stili di vita e modelli etici. «Siamo di fronte al fatto della avanzante innovazione tecnologica che introduce mutamenti che sono portatori di grandi domande di fondo. Per esempio, cosa significa lavoro (umano)? Quali devono essere i (nuovi) diritti e doveri del lavoratore? E ancora: come sconfiggere la disoccupazione e quale formazione continua garantire ai lavoratori per prepararli al lavoro del futuro? Ci chiediamo: con quali competenze gestire il rapporto lavoratore e la macchina robot e su quali conoscenze devono investire i giovani?».
Nel tempo dell’Industria 4.0 (espressione che si riferisce alla “quarta rivoluzione industriale” resa possibile dalla disponibilità di sensori e di connessioni wireless a basso costo, con un impiego pervasivo di dati e informazioni, con sistemi totalmente digitalizzati e connessi) è compito della cultura e delle forze sociali trovare forme di tutela efficaci per il “lavoro degno”. Per gestire queste nuove forme di lavoro sarà necessario, per il lavoratore, avere un equilibrio umano e spirituale solido: «il far coincidere in una casa o in un appartamento il luogo del lavoro, gli equilibri relazionali, affettivi e familiari, potrebbe essere un fattore di crisi. Allo stesso modo, una disordinata gestione del tempo potrebbe appiattire sul lavoro anche quei momenti di riposo mentale, di gratuità e di lucidità di cui la vita ha bisogno». La Chiesa deve guardare con attenzione il “lavoro 4.0” perché c’è il rischio di ridurlo solo alle logiche economicistiche, che riducono qualsiasi bene in merci.
Mons. Santoro ha concluso sottolineando che la Settimana sociale di Cagliari intende ispirarsi sia alla Costituzione italiana sia all’insegnamento di papa Francesco. Gli articoli 1 e 4 della Costituzione presuppongono uno stretto legame tra il lavoro (mezzo di libertà, di identità, di inclusione e di coesione sociale, di responsabilità individuale verso la società) e la dignità della persona. Dal canto suo, il papa nelle sue encicliche e nei continui appelli indica la strada tracciata dal Vangelo: «questo richiede coraggio, passione e profezia, perché, in una società secolarizzata, impegnata nell’accaparramento individualistico dei beni, in una economia che uccide, il Vangelo va totalmente controcorrente. Ma proprio questa è la sfida che vogliamo cogliere con rinnovato entusiasmo nella prossima Settimana sociale, a partire dal fascino della fede, dal grido dei poveri e della terra, dal protagonismo dei nostri giovani».
Mario Chiaro