Gazzola Alessandro
Passaggi verso la maturità
2017/6, p. 14
I primi 15 anni dopo l’ordinazione o la professione perpetua, sono il tempo entro cui, normalmente, avvengono gli “scossoni” più grossi di assestamento. È il momento di misurarsi sulla propria tenuta di fronte alle difficoltà e possibili crisi. Ci sono dei “sì” e dei “no” da dire: sette concrete indicazioni operative.

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Testimoni
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Lettera ai giovani del sup. gen. Scalabriniani
PASSAGGI
VERSO LA MATURITÀ
I primi 15 anni dopo l’ordinazione o la professione perpetua, sono il tempo entro cui, normalmente, avvengono gli “scossoni” più grossi di assestamento. È il momento di misurarsi sulla propria tenuta di fronte alle difficoltà e possibili crisi. Ci sono dei “sì” e dei “no” da dire: sette concrete indicazioni operative.
In occasione della scorsa quaresima, il superiore generale degli Scalabriniani, p. Sandro Gazzola ha scritto una lettera ai giovani dell’Istituto, a forte contenuto formativo. Per giovani intende i religiosi che si trovano entro i primi 15 anni dall’ordinazione sacerdotale o dalla professione perpetua. La ragione che l’ha indotto a scrivere è perché questo «è il tempo entro cui, normalmente, avvengono gli “scossoni” più grossi di assestamento, di sano adattamento o di abbandono della scelta di vita fatta. Dico “normalmente”, anche se le eccezioni ci sono sempre».
«Gli anni che seguono, dopo aver passato diverso tempo nella struttura dei seminari e dopo aver completato il corso degli studi teologici costituiscono il tempo in cui avviene l’ingresso nella vita pastorale senza quelle “protezioni” e i “sostegni” che il seminario garantiva.
È il momento
di mettersi alla prova
Alla novità iniziale di un nuovo e diverso tipo di impostazione di vita, subentra il momento delle vere e proprie sfide, del mettersi alla prova sulle proprie capacità, del misurarsi sulla propria tenuta di fronte alle difficoltà e alle possibili crisi, del verificare il radicamento delle proprie convinzioni di fede, del sapere “stare in piedi” da soli, del riuscire a trovare nuovi modi e nuovi momenti di crescita personale. I numeri dicono anche che questo è il tempo in cui si riscontrano il maggior numero di defezioni».
Il padre cita a questo proposito ciò che ha detto papa Francesco nel discorso alla Plenaria della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica il 28 gennaio scorso: «La vocazione, come la stessa fede, è un tesoro che portiamo in vasi di creta (cfr 2 Cor 4,7); per questo dobbiamo custodirla, come si custodiscono le cose più preziose, affinché nessuno ci rubi questo tesoro, né esso perda con il passare del tempo la sua bellezza. Tale cura è compito anzitutto di ciascuno di noi, che siamo stati chiamati a seguire Cristo più da vicino con fede, speranza e carità, coltivate ogni giorno nella preghiera e rafforzate da una buona formazione teologica e spirituale, che difende dalle mode e dalla cultura dell’effimero e permette di camminare saldi nella fede».
Padre Gazzola commenta: «Questa affermazione vuole sgomberare il campo da tutti coloro che pensano di essere immuni da pericoli, tentazioni, fragilità, cadute… La preziosità e la fragilità della vocazione alla vita consacrata, sacerdotale e missionaria necessitano di alcune indispensabili attenzioni. Trascurarle è un vero peccato di presunzione, è un tentare Dio. Chi sceglie o ha scelto questa strada deve sapere che ciò comporta dei “sì” e dei “no”... Dobbiamo sapere che per essere fedeli alla nostra vocazione, non possiamo permetterci tutto quello che ci piace, che ci passa per la testa o che ci viene proposto da un certo modo di pensare e di fare della società che ci circonda. E tutto quello che scegliamo ogni giorno, o rinforza o indebolisce la fedeltà e la pienezza della nostra chiamata. Non esistono scelte (anche quelle più personali e nascoste) che non vadano a intaccare la scelta “centrale” di vita».
«Il tempo della giovinezza – prosegue il padre – porta con sé elementi positivi ed elementi problematici. Tra i primi metterei l’energia propria della forza fisica, ma anche la tensione verso gli ideali, la voglia di progettare il futuro, la creatività, l’entusiasmo, il desiderio di realizzare bene la propria vita...Tra gli aspetti problematici, segnalerei il fatto che siete figli di una cultura e di una società fino a ieri definita “liquida”, ma che oggi si preferisce definire della “post-verità”; una società, cioè, dove la verità non è più riconosciuta dai dati oggettivi, ma viene “fabbricata” di volta in volta dalle emozioni e dai sentimenti. Questo comporta, per quello che concerne il nostro discorso, che non ci sono punti fermi a cui ancorarsi, ma tutto viene filtrato e messo continuamente in discussione dal mondo emotivo.... Anche il mondo dei valori religiosi sembra più epidermico rispetto al passato e soffre esso stesso della “post-verità”. Tutto questo comporta anche una minore capacità di far fronte alle difficoltà e agli inevitabili momenti di prova e di crisi. Con una facilità estrema si mettono in discussione le scelte di vita portanti e si è disposti a rinnegare con una certa “improvvisazione” il passato della propria esistenza».
Ci sono anche dei momenti, prosegue p. Gazzola, in cui si può avvertire la stanchezza, come quella degli apostoli che avevano pescato tutta la notte senza prendere nulla. “Duc in altum” dice Gesù a Simone, “prendi il largo” e sappiamo che, accolto questo invito, Simone porterà a casa un risultato inaspettato e sorprendente». «Le stesse parole, oggi dobbiamo sentirle rivolte a noi. Anche quando, e magari non raramente, le nostre giornate possono essere segnate da un senso di pesantezza, delusione, smarrimento e scoraggiamento, da crisi che sembrano insormontabili e da vicende apparentemente inestricabili, dobbiamo dare credito al Signore, che ci assicura una “pesca abbondante” ben al di là dei nostri calcoli. Anche questo mio messaggio intende essere una parola di incoraggiamento: prima di tutto, a fidarsi e ri-affidarsi al Signore, e poi alla possibilità che esiste per tutti di uscire dal tunnel buio che a volte può presentarsi lungo il cammino di ciascuno».
È importante assumere un “atteggiamento propositivo” e non rimanersene passivi. Il padre cita a questo proposito la celebre frase pronunciata dal Presidente americano John Fitzgerald Kennedy nel suo discorso inaugurale: “Non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi, ma cosa voi potete fare per il vostro paese”. «È ricorrente, infatti, per diversi giovani confratelli mettersi in un atteggiamento “passivo”, di attesa, prima di tutto centrando tutto su se stessi, e poi assumendo un’ottica di vita secondo cui tutto deve rispondere ai propri bisogni e attese; dove la Chiesa e la Congregazione sono considerate istituzioni a proprio servizio, e non viceversa. Allora, parafrasando l’espressione di quel politico, mi viene da dire: cari confratelli giovani, voi che state vivendo il tempo più proficuo della vostra esistenza, non passate le vostre giornate chiedendovi che cosa la Chiesa o la Congregazione debbano fare per voi, ma chiedetevi piuttosto cosa voi potete fare per il bene della Chiesa, della Congregazione».
Dopo questa premessa, p. Gazzola propone una serie di sette “indicazioni pratiche”.
Coltivare il fondamento che regge e motiva la scelta della vita consacrata.
Dicendo “coltivare”, p. Gazzola porta come esempio il lavoro del contadino «che non si stanca, che ha cura e passione, che ci mette il suo tempo e le sue energie». Papa Francesco, nel discorso indicato, diceva: “Se la vita consacrata vuole mantenere la sua missione profetica e il suo fascino, continuando ad essere scuola di fedeltà per i vicini e per i lontani (cfr Ef 2,17), deve mantenere la freschezza e la novità della centralità di Gesù, l’attrattiva della spiritualità e la forza della missione, mostrare la bellezza della sequela di Cristo e irradiare speranza e gioia”. Allora, sottolinea il padre, «credo che prima di tutto dovremmo porci la domanda: “qual è il “centro” della mia vita? Quali attenzioni ed energie investiamo per mantenere vivo il rapporto con “il centro” della nostra vita? Quanto tempo, quanto lavoro, quanto interesse investiamo per coltivare il nostro rapporto con il Signore? La Chiesa ci indica anche degli strumenti molto chiari come la preghiera comunitaria e personale, la celebrazione o partecipazione quotidiana all’Eucaristia, lo spazio per la meditazione, gli esercizi spirituali. Questi elementi vanno cercati e garantiti, altrimenti prima o poi la fiamma si spegnerà».
Dare continuità a un accompagnamento personale.
Come ha detto ancora il papa: “è difficile mantenersi fedeli camminando da soli... Abbiamo bisogno di fratelli e sorelle esperti nelle vie di Dio, per poter fare ciò che fece Gesù con i discepoli di Emmaus: accompagnarli nel cammino della vita e nel momento del disorientamento e riaccendere in essi la fede e la speranza mediante la Parola e l’Eucaristia (cfr Lc 24,13-35). …Non poche vocazioni si perdono per mancanza di validi accompagnatori”. « Invito e incoraggio con tutte le mie forze – scrive p. Gazzola – a far sì che ognuno di voi abbia un “vero padre spirituale” con il quale seriamente e stabilmente incontrarsi e farsi aiutare nel proprio cammino».
Il tempo della prova e/o della crisi.
Prove e crisi sono esperienze che prima o poi, in maniera più o meno forte, arrivano per tutti. Possono essere “salutari” e costruttive perché costringono a fermarsi e a guardare in faccia la realtà e a mettere in atto una serie di azioni e di scelte che potrebbero costituire un solido rafforzamento del nostro essere e della nostra risposta vocazionale. Ma possono anche essere distruttive, e giungere fino a portare a uno sdoppiamento della propria vita.
Il termometro delle dimensione affettivo-sessuale e della gestione di soldi.
«Tutti siamo chiamati in primo luogo ad acquisire una pienezza di umanità, che è parte intrinseca della vocazione, perché è quella che ci permette di sentirci contenti della nostra scelta di vita, e poi di aiutare la gente che si incontra nell’esercizio del ministero a raggiungere la piena umanità in Cristo... Capita, spesso, che questo non avviene e allora si percepiscono segnali di un mondo affettivo-sessuale sofferto, inquieto, portato avanti con pesantezza, vissuto in maniera disordinata...».
«Qui vorrei aggiungere, però, un ulteriore campanello d’allarme, che in molti casi suona congiuntamente a una affettività malvissuta: l’uso non corretto dei soldi. Esso può tradursi in un “tenere nascosti dei soldi per sé”, avvertire la necessità preponderante di poter disporre sempre di una certa somma di soldi, spendere per poter acquistare cose che servono a sostenere l’immagine di sé, modificare e/o falsificare il resoconto personale o i bilanci delle opere per sottrarre soldi a proprio vantaggio... Aggiungo anche che, in diversi casi, i soldi diventano necessari per poter condurre una doppia vita».
La formazione permanente.
«È quotidiana, e non un corso di aggiornamento occasionale o l’acquisizione di un ulteriore titolo accademico. È uno stile di vita, un modo di impostare e dare una priorità agli impegni. È il gusto di cogliere tutte le occasioni della vita che permettono di crescere e di rinnovarsi nella dimensione umana, intellettuale, pastorale, spirituale, carismatica.... Senza questa “ansia positiva”, un po’ alla volta si diventa ripetitivi, poveri interiormente e pastoralmente, col rischio di essere di fatto “tagliati fuori” dalle dinamiche sempre in continua evoluzione nell’ambito della Chiesa, della Congregazione e della società stessa».
Missionari in uscita.
« L’invito oggi è quello di riprendere lo stile che mette insieme la voglia e la capacità di “inventare il futuro” e di non essere semplici esecutori ripetitivi, di essere testimoni gioiosi della propria scelta di vita, di stare in mezzo alla gente, di vivere in prima persona quello che si pretende dagli altri, di non rinchiudersi nella propria stanza per passare ore e ore davanti al computer a coltivare comunicazioni solo virtuali senza mai incontrare l’altro, di non accontentarsi di stare in chiesa o in sacrestia... Missionari in uscita vuol dire anche vivere il proprio essere religiosi, missionari, sacerdoti non come dei “professionisti di un mestiere”, ma come appassionati annunciatori della “buona notizia” derivante dall’incontro con Gesù Cristo».
Costruttori della comunità.
« ...Spesso l’atteggiamento è quello di “osservatori che stanno alla finestra a guardare”, pronti a sottolineare quello che non va, piuttosto che darsi da fare perché la vita di comunità possa esprimersi al meglio e camminare in maniera più spedita. Accertato che la comunità non è una realtà precostituita ma va fatta vivere e crescere giorno dopo giorno nella misura in cui ci si crede e lo si vuole, anche in questo caso invito i giovani confratelli ad essere i primi “costruttori” di un vivere comunitario positivo, chiedendosi: “io cosa sto facendo di bello, di buono e di propositivo per la mia comunità? ... Mi sembra, poi, di dover incoraggiare e ribadire vivere la comunità anche quando non è gratificante».
A questo punto, nell’ultima parte della lettera, p. Gazzola si domanda «Siamo sempre e ancora innamorati di Dio? E articola la risposta in tre punti, dove dire e dove invece dire no (cf. fuoritesto).