Gazzola Alessandro
Siamo sempre e ancora innamorati di Dio? i nostri "sì" e i nostri "no".
2017/6, p. 16
«La risposta concreta a questa fondamentale domanda è nascosta senza equivoci nei nostri quotidiani “si” e nei nostri quotidiani “no”. Ripercorrendo i “consigli evangelici”, che abbiamo scelto come mezzo, come modalità di percorso per la nostra missione di consacrati e di sacerdoti, desidero indicare, anche se in maniera molto parziale, alcuni “sì” e alcuni “no” che, a mio parere, dobbiamo dire e mettere in pratica se vogliamo essere coerenti, se vogliamo dare un senso e se vogliamo che questa opzione di vita abbia un’efficacia nel nostro vivere quotidiano».

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Testimoni
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Siamo sempre e ancora innamorati di Dio?
I nostri “sì” e i nostri “no”
«La risposta concreta a questa fondamentale domanda è nascosta senza equivoci nei nostri quotidiani "si" e nei nostri quotidiani "no". Ripercorrendo i “consigli evangelici”, che abbiamo scelto come mezzo, come modalità di percorso per la nostra missione di consacrati e di sacerdoti, desidero indicare, anche se in maniera molto parziale, alcuni “sì” e alcuni “no” che, a mio parere, dobbiamo dire e mettere in pratica se vogliamo essere coerenti, se vogliamo dare un senso e se vogliamo che questa opzione di vita abbia un’efficacia nel nostro vivere quotidiano».
Una vita che sia segno visibile delle scelte di povertà in uno stile di vita “sobrio” che dica che, nella nostra vita, ci basta il necessario e che non cerchiamo il superfluo.
Per questo diciamo:
sì alla bellezza, alla necessità, all’efficacia e alla testimonianza del “mettere in comune” tutti i beni e da parte di tutti;
no al tenere per sé soldi in maniera “disonesta”; no all’appropriarsi di beni della comunità, della chiesa, della missione, della gente;
sì ad una gestione chiara, trasparente dei soldi e dei beni che si amministrano;
no allo spreco di qualsiasi cosa e no all’uso improprio dei soldi e dei beni della Congregazione;
sì ad uno stile di vita sobrio che non dia la pur minima impressione della ricchezza;
no ad uno stile di vita “borghese”, al pretendere servizi e comodità che la gente comune non può generalmente permettersi;
no al trascorrere tanto tempo davanti alla televisione o al computer, che spesso creano una dipendenza mediatica;
sì al lavoro serio e all’impegno quotidiano come segno della partecipazione con tutti coloro che devono faticare per procurarsi da vivere;
sì al necessario per svolgere in maniera efficace la nostra missione;
no a viaggi inutili e non motivati da reali necessità, e no al continuo rincorrere i bisogni indotti dalla società consumista e no alla pretesa di avere sempre a disposizione i mezzi più moderni;
sì alla solidarietà con chi vive nella precarietà, con la fatica e con la sofferenza del mondo dei migranti;
no all’accumulo di sicurezze economiche;
sì alla responsabilità e alla gioia di poter contribuire alla vita della propria famiglia religiosa;
sì alla riconoscenza verso tutti coloro che in qualsiasi modo aiutano e aiuteranno noi e la nostra missione.
Una vita che sia segno visibile della scelta della castità.
Per questo diciamo:
sì ad amicizie aperte, profonde e vissute sotto la luce del sole;
no a relazioni ambigue e ad amicizie vissute in maniera gelosa ed esclusiva;
sì ad uno stile di vita fraterno in comunità, in cui si creano spazi e tempi per stare insieme;
no a continue e ripetute giornate o serate trascorse fuori dalla comunità, magari sempre con le solite persone;
sì nel ricercare e creare momenti di condivisione profonda in comunità;
sì al rispetto e all’attenzione personali;
sì alla prudenza nell’uso dei mezzi mediatici;
no ad uno stile di vita personale “sregolato” nelle abitudini, negli orari, nella frequentazione di ambienti e/o attività non in linea con quanto richiesto dalla scelta della vita consacrata, sacerdotale e missionaria;
no all’atteggiamento complice di chi favorisce o chiude gli occhi di fronte ai segni di una vita “sregolata” da parte di qualche confratello;
sì alla ricerca di momenti di relax autentici;
no alla fuga nella pornografia e/o alla dipendenza da essa;
no a discorsi spesso improntati su argomenti ambigui o maliziosi.
Una vita che sia segno della scelta di obbedienza.
Per questo diciamo:
sì al dialogo con tutti, soprattutto con chi ha il dovere e la responsabilità di prendere la decisione finale;
no al dialogo inteso come pretesa di voler piegare alla propria volontà quella degli altri o del superiore;
sì alla condivisone delle responsabilità, nel rispetto dei ruoli e dei compiti di ciascuno;
sì alla ricerca comunitaria del bene comune;
no ad uno stile di animazione e conduzione della vita comunitaria che tenda a non decidere mai nulla;
sì alla discussione e alla manifestazione dei propri punti di vista, ma insieme alla disponibilità ad accogliere la decisione finale di chi ha il compito di assumerla;
sì alla valorizzazione di ogni confratello;
no al parlare male del confratello in sua assenza;
no alle forme di “ricatto” da parte di chi si ritiene indispensabile o insostituibile;
sì all’attenzione e alla comprensione misericordiosa delle fragilità altrui;
no alla giustificazione continua e al facile consenso nel permettere di perseguire i propri comodi;
sì all’ascolto e alla possibilità di venire incontro alle vere esigenze personali dei confratelli;
no ad una leadership che vuole accontentare tutti senza indicare un percorso chiaro e a volte anche esigente;
sì alla creatività e alle proposte;
no ai “progetti personali” presentati come esigenze intoccabili;
no ad una forma di rispetto della persona e della cultura a senso unico;
sì all’accettazione culturale della diversità, da non confondere con la giustificazione di scelte personali egoistiche o narcisistiche;
no allo “spettegolare” con amici “esterni” circa la vita interna della comunità.
P. Gazzola conclude: «Anche se i destinatari prioritari di questa lettera sono i confratelli “giovani”, ritengo che le riflessioni e indicazioni qui contenute possano costituire un utile elemento di confronto per tutti».
p. Alessandro Gazzola