Kroeger James
Il Papa e il sacerdozio
2017/5, p. 39
James H. Kroeger, teologo e missiologo filippino, ha raccolto in dieci temi fondamentali la visione dinamica che papa Francesco ha del sacerdozio. Ha attinto dalle sue omelie tenute in varie circostanze e da interventi in altri numerosi incontri ricavandone una sintesi stimolante che ogni sacerdote potrà leggere con grande interesse.

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Dieci temi fondamentali
IL PAPA
E IL SACERDOZIO
James H. Kroeger, teologo e missiologo filippino, ha raccolto in dieci temi fondamentali la visione dinamica che papa Francesco ha del sacerdozio. Ha attinto dalle sue omelie tenute in varie circostanze e da interventi in altri numerosi incontri ricavandone una sintesi stimolante che ogni sacerdote potrà leggere con grande interesse.
Papa Francesco, vero “papa del popolo”, comunica e interagisce con la gente di ogni fascia di età, appartenenza culturale, strati e ceti sociali. È noto per il suo gran numero di “primati”: primo papa gesuita; primo a prendere il nome di Francesco; primo papa non europeo da oltre mille anni, primo papa ad essere indicato nel 2013 dalla rivista Time “Personaggio dell’anno”, titolo prestigioso attribuito a uno che ha “maggiormente influenzato gli eventi dell’anno”.
Papa Francesco ha oltre dieci milioni di persone che lo seguono su Twitter. È spesso ricordato per il suo senso di umorismo e i suoi memorabili detti. Quando fu eletto papa, nel 2013, disse agli altri cardinali: «Dio vi perdoni per ciò che avete fatto».
Un giorno un bambino gli chiese se aveva desiderato di diventare papa ed egli gli rispose: «Bisogna essere del tutto pazzi per desiderarlo». Le sue massime contengono una profonda sapienza, espressa in maniera sintetica e memorabile: «Un poco di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto». «Per essere sapienti, bisogna usare tre linguaggi: pensare bene, sentire bene e agire bene. Essere sapienti permette di essere sorpresi dall’amore di Dio».
Oltre alle sue vedute su un’ampia gamma di problemi attuali, papa Francesco ha parlato in varie occasioni in maniera profonda e perspicace dei sacerdoti e del sacerdozio (messe crismali, messe di ordinazione, giubilei sacerdotali, ecc.). Questa semplice presentazione cerca di estrarre i ricchi tesori delle sue vedute sul sacerdozio, citando per esteso le sue stesse parole; si muovono attorno a dieci temi fondamentali. Ma questo è solo uno dei tentativi di “tematizzare” il suo pensiero sul sacerdozio. Vengono citati 24 suoi importanti documenti che contengono del “materiale sul sacerdozio”.
Ancorate il vostro sacerdozio nella vostra relazione con Cristo
Nella sua prima esortazione apostolica, Evangelii gaudium (3) il papa ha invitato direttamente ognuno (i sacerdoti in particolare) a vivere un impegno quotidiano con Gesù. «Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui... il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte» (24 novembre 2013: Esortazione apostolica Evangelii gaudium). «Ciascuno di noi è molto caro a Dio, amato e scelto da lui, ed è chiamato a servire... Ci farà bene pregare con fiducia ogni giorno per questo, chiedere di essere guariti da Gesù, di assomigliare a Lui, che “non ci chiama più servi, ma amici”» (cfr Gv 15,15) (29 maggio 2016: omelia al Giubileo dei diaconi). Si tratta di una chiara provocazione ai sacerdoti: vivere in conformità a Cristo nel mondo d’oggi. Detto con parole semplici: tutto deve essere radicato nella propria amicizia con Gesù.
Papa Francesco ha parlato della “stanchezza” del sacerdote nella sua omelia alla messa crismale del 2015, sottolineando come essa può portarci più vicini a Cristo. «La stanchezza dei sacerdoti! Sapete quante volte penso a questo: alla stanchezza di tutti voi? Ci penso molto e prego di frequente, specialmente quando ad essere stanco sono io... Succede anche che, quando sentiamo il peso del lavoro pastorale, ci può venire la tentazione di riposare in un modo qualunque, come se il riposo non fosse una cosa di Dio... La nostra fatica è preziosa agli occhi di Gesù, che ci accoglie e ci fa alzare... Teniamo ben presente che una chiave della fecondità sacerdotale sta nel come riposiamo e nel come sentiamo che il Signore tratta la nostra stanchezza. Com’è difficile imparare a riposare! In questo si gioca la nostra fiducia e il nostro ricordare che anche noi siamo pecore e abbiamo bisogno del pastore, che ci aiuti» (2 aprile 2015: omelia alla messa crismale in San Pietro). Dobbiamo imparare a riposare nella braccia del Buon Pastore.
Durante il giubileo dei sacerdoti nel 2016, celebrando l’eucaristia nella Festa del Sacro Cuore, disse: «Oggi volgiamo lo sguardo a due cuori: il Cuore del Buon Pastore e il nostro cuore di pastori. Il Cuore del Buon Pastore non è soltanto il Cuore che ha misericordia di noi, ma è la misericordia stessa.... Lì mi sento sicuro di essere accolto e compreso come sono; lì, con tutti i miei limiti e i miei peccati, gusto la certezza di essere scelto e amato. Guardando a quel Cuore rinnovo il primo amore: la memoria di quando il Signore mi ha toccato nell’animo e mi ha chiamato a seguirlo, la gioia di aver gettato le reti della vita sulla sua Parola» (cfr Lc 5,5) (3 giugno 2016: omelia alla messa per la Festa del Sacro Cuore di Gesù). «Non bisogna «mai dimenticare il primo amore, mai!» (6 giugno 2014: omelia nella Casa di Santa Marta).
Senza dubbio per i sacerdoti, la relazione con Cristo è intimamente collegata con l’Eucaristia. «Mediante il vostro ministero, il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto, perché congiunto al sacrificio di Cristo, che per le vostre mani, in nome di tutta la Chiesa, viene offerto in modo incruento sull’altare nella celebrazione dei Santi Misteri. Quando voi celebrate la Messa, riconoscete dunque ciò che fate. Non farlo di fretta! Imitate ciò che celebrate – non è un rito artificiale, un rituale artificiale – perché così, partecipando al mistero della morte e risurrezione del Signore, portiate la morte di Cristo nelle vostre membra e camminiate con Lui in novità di vita» (26 aprile 2015: omelia per l’ordinazione di 19 sacerdoti in San Pietro).
Come sacerdoti «non possiamo vivere senza avere un rapporto vitale, personale, autentico e saldo con Cristo. [Chi] non si alimenta quotidianamente con quel Cibo diventerà un burocrate... La preghiera quotidiana, la partecipazione assidua ai Sacramenti, in modo particolare all’Eucaristia e alla Riconciliazione, il contatto quotidiano con la Parola di Dio e la spiritualità tradotta in carità vissuta sono l’alimento vitale per ciascuno di noi. Che sia chiaro a tutti noi che senza di Lui non possiamo fare nulla (cfr Gv 15,5) (22 dicembre 2014: discorso alla Curia Romana).
2. Come un Pastore misericordioso, siate vicini alla vostra gente
Papa Francesco ha affermato con chiarezza: «La gente ama, desidera e ha bisogno dei suoi pastori! Il popolo fedele non ci lascia senza impegno diretto, salvo che uno si nasconda in un ufficio o vada per la città con i vetri oscurati. E questa stanchezza è buona, è una stanchezza sana. È la stanchezza del sacerdote con l’odore delle pecore… ma con il sorriso di un papà che contempla i suoi figli o i suoi nipotini... Se Gesù sta pascendo il gregge in mezzo a noi non possiamo essere pastori con la faccia acida, lamentosi, né, ciò che è peggio, pastori annoiati. Odore di pecore e sorriso di padri…» (2 aprile 2015: Messa crismale nella Basilica di San Pietro).
«La gioia di Gesù Buon Pastore non è una gioia per sé, ma è una gioia per gli altri e con gli altri, la gioia vera dell’amore. Questa è anche la gioia del sacerdote. Egli viene trasformato dalla misericordia che gratuitamente dona... Cari sacerdoti, nella celebrazione eucaristica ritroviamo ogni giorno questa nostra identità di pastori. Ogni volta possiamo fare veramente nostre le sue parole: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi». È il senso della nostra vita; sono le parole con cui, in un certo modo, possiamo rinnovare quotidianamente le promesse della nostra Ordinazione. Vi ringrazio per il vostro “sì”» (3 giugno 2016: omelia per la Festa del Sacro Cuore di Gesù).
Parlando del sacerdote-pastore nella sua parrocchia e nella missione che gli è stata affidata, papa Francesco ha affermato che questa missione «gli dà gioia quando le è fedele, quando fa tutto ciò che deve fare e lascia tutto ciò che deve lasciare pur di rimanere in mezzo alle pecore che il Signore gli ha affidato: “Pasci le mie pecore” (Gv 21,16.17)... Colui che è chiamato sappia che esiste in questo mondo una gioia genuina e piena: quella di essere preso dal popolo che uno ama per essere inviato ad esso come dispensatore dei doni e delle consolazioni di Gesù, l’unico Buon Pastore che, pieno di profonda compassione per tutti i piccoli e gli esclusi di questa terra, affaticati e oppressi come pecore senza pastore, ha voluto associare molti al suo ministero per rimanere e operare Lui stesso, nella persona dei suoi sacerdoti, per il bene del suo popolo» (17 aprile 2014, omelia crismale in San Pietro). «Abbiate sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire; per cercare e salvare ciò che era perduto» (17 aprile 2016: omelia ai sacerdoti nella Giornata mondiale delle vocazioni).
I sacerdoti devono partecipare alle sofferenze della loro gente. «Pregando chiediamo la grazia di “sentire e gustare” il Vangelo in modo tale che ci renda sensibili per la vita… possiamo chiedere la grazia di gustare con Lui sulla croce il sapore amaro del fiele di tutti i crocifissi, per sentire così l’odore forte della miseria – in ospedali da campo, [espressione preferita di papa Francesco] in treni e barconi pieni di gente –; quell’odore che l’olio della misericordia non copre, ma che ungendolo fa sì che si risvegli una speranza» (2 giugno 2016: terza meditazione al giubileo dei sacerdoti).
Per papa Francesco, l’attività dei sacerdoti non consiste «nei soli compiti esteriori, come ad esempio le attività manuali – costruire un nuovo salone parrocchiale, o tracciare le linee di un campo di calcio per i giovani dell’oratorio…; gli impegni menzionati da Gesù implicano la nostra capacità di compassione, sono impegni in cui il nostro cuore è “mosso” e commosso. Ci rallegriamo con i fidanzati che si sposano, ridiamo con il bimbo che portano a battezzare; accompagniamo i giovani che si preparano al matrimonio e alla famiglia; ci addoloriamo con chi riceve l’unzione nel letto di ospedale; piangiamo con quelli che seppelliscono una persona cara… Per noi sacerdoti le storie della nostra gente non sono un notiziario: noi conosciamo la nostra gente, possiamo indovinare ciò che sta passando nel loro cuore; e il nostro, nel patire con loro, ci si va sfilacciando, ci si divide in mille pezzetti, ed è commosso e sembra perfino mangiato dalla gente» (2 aprile 2015: Messa crismale in San Pietro).
Il messaggio ai sacerdoti che papa Francesco spesso ripete è espresso nelle parole pronunciate all’ordinazione di 10 sacerdoti la domenica del Buon Pastore del 2013: «Oggi vi chiedo in nome di Cristo e della Chiesa: per favore, non vi stancate di essere misericordiosi» (21 aprile 2013: omelia all’ordinazione di 10 sacerdoti in San Pietro).
E quando ordinò 13 sacerdoti l’11 maggio 2014, disse: « E qui voglio fermarmi e chiedervi, per l’amore di Gesù Cristo: non stancatevi mai di essere misericordiosi! Per favore!» (11 maggio 2014: omelia per l’ordinazione di 13 sacerdoti in San Pietro). E alla messa crismale del 2016: «Come sacerdoti, siamo testimoni e ministri della Misericordia sempre più grande del nostro Padre; abbiamo il dolce e confortante compito di incarnarla, come fece Gesù» (24 marzo 2016, omelia alla messa crismale in San Pietro).
La bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia, Misericordiae vultus sovrabbonda di numerose preziose affermazioni sulla misericordia di Dio. E nella Evangelii gaudium, Francesco cita Tommaso d’Aquino il quale afferma che «la misericordia è la più grande di tutte le virtù» e che «è proprio di Dio usare misericordia» (EG 37).
3. Cercate di vivere uno stile di vita semplice. Siate disponibili
Anche se i sacerdoti diocesani non professano il voto di povertà come i religiosi sacerdoti, tutti i sacerdoti s’impegnano a vivere e a praticare uno stile di vita semplice. È noto che durante i suoi anni a Buenos Aires, il card. Bergoglio viveva in un piccolo appartamento anziché nella residenza episcopale; si serviva del trasporto pubblico anziché di un’auto con l’autista, cucinava da sé. Appena eletto papa viaggiava con gli altri cardinali in autobus, pagava il suo conto all’hotel e anche adesso si serve di un auto molto semplice e vive nella Casa Santa Marta. Il papa Francesco conosce i bisogni materiali necessari per l’apostolato; tuttavia egli invita i suoi fratelli sacerdoti ad esaminare la loro sincerità e autenticità nel vivere la loro povertà spirituale.
Francesco ammette: «Nella Chiesa abbiamo avuto e abbiamo molte cose non tanto buone, e molti peccati... Il nostro popolo perdona molti difetti ai preti, salvo quello di essere attaccati al denaro. Il popolo non lo perdona. E non è tanto per la ricchezza in sé, ma perché il denaro ci fa perdere la ricchezza della misericordia. Il nostro popolo riconosce “a fiuto” quali peccati sono gravi per il pastore, quali uccidono il suo ministero... Essere misericordiosi con gli altri in tutto il nostro agire. Essere misericordioso non è solo un modo di essere, ma il modo di essere. Non c’è altra possibilità di essere sacerdote» (2 giugno 2016: terza meditazione per il giubileo dei sacerdoti).
Come possono i sacerdoti diventare “servi buoni e fedeli” (cf. Mt 25,21)? Per Francesco «siamo invitati a vivere la disponibilità... Il servitore ogni giorno impara a distaccarsi dal disporre tutto per sé e dal disporre di sé come vuole. Si allena ogni mattina a donare la vita, a pensare che ogni giorno non sarà suo, ma sarà da vivere come una consegna di sé... Il servitore è aperto alla sorpresa, alle sorprese quotidiane di Dio... Chi serve non è schiavo dell’agenda che stabilisce. A me fa male al cuore quando vedo un orario, nelle parrocchie: “Dalla tale ora alla tale ora”. E poi? Non c’è porta aperta, non c’è prete, non c’è diacono, non c’è laico che riceva la gente… Questo fa male... vivendo nella disponibilità, il vostro servizio sarà privo di ogni tornaconto ed evangelicamente fecondo» (29 maggio 2016: omelia al giubileo dei diaconi).
Francesco ha parlato spesso della virtù della disponibilità nei sacerdoti. Nella messa crismale del 2014 ebbe a dire: « La disponibilità del sacerdote fa della Chiesa la Casa dalle porte aperte, rifugio per i peccatori, focolare per quanti vivono per strada, casa di cura per i malati, campeggio per i giovani, aula di catechesi per i piccoli della prima Comunione… Dove il popolo di Dio ha un desiderio o una necessità, là c’è il sacerdote che sa ascoltare (ob-audire) e sente un mandato amoroso di Cristo che lo manda a soccorrere con misericordia quella necessità o a sostenere quei buoni desideri con carità creativa» (17 aprile 2014: omelia alla messa crismale in san Pietro).
L’impegno di papa Francesco a vivere in maniera semplice è rispecchiato nella scelta del nome Francesco. Sono comunemente noti molti particolari della scelta del nome narrati da lui stesso. Quando fu evidente di essere stato scelto, il suo amico, il card. Claudio Hummes, seduto vicino a lui, l’abbracciò, gli diede un bacio e disse: “Non dimenticare i poveri”, Francesco affermò: «queste parole mi colpirono: i poveri, i poveri. Subito, pensando ai poveri, mi è venuto in mente Francesco d’Assisi. Per me è l’uomo della povertà». Francesco aggiunse: «come vorrei una Chiesa che è povera e per i poveri». Nella Evangelii gaudium dedica una notevole sezione ai poveri nella Chiesa e nella società (EG 186-216). Egli ripete con forza il suo desiderio: «Desidero una Chiesa povera per i poveri» (EG 198).
4. Ammettete i vostri limiti: diventate un modello di integrità
La lettera agli ebrei (5,1) scrive: “Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito nelle cose che riguardano Dio”. Prebyterorum Ordinis, il documento del Vaticano II sul ministero e la vita dei presbiteri afferma: «I presbiteri sono stati presi fra gli uomini e costituiti in favore degli uomini stessi nelle cose che si riferiscono a Dio, per offrire doni e sacrifici in remissione dei peccati vivono quindi in mezzo agli altri uomini come fratelli in mezzo ai fratelli» (PO 3). I sacerdoti sono veramente “in questo mondo, ma non di questo mondo”; devono essere coscienti della loro nullità/umanità e anche della loro “grandezza”/“dignità”. Anche nella loro debolezza devono manifestare l’irresistibile potere e presenza del divino. Le molteplici opere della grazia di Dio entro i limiti umani sono infatti un profondo mistero; noi sacerdoti dobbiamo lasciarci sovrastare dalla misericordia amorevole di Dio – e versare lacrime di gratitudine.
Francesco afferma: «Dobbiamo situarci qui, nello spazio in cui convivono la nostra miseria più vergognosa e la nostra dignità più alta. Lo stesso spazio. Sporchi, impuri, meschini, vanitosi – è peccato di preti, la vanità – egoisti e, nello stesso tempo, con i piedi lavati, chiamati ed eletti, intenti a distribuire i pani moltiplicati, benedetti dalla nostra gente, amati e curati. Solo la misericordia rende sopportabile quella posizione. Senza di essa o ci crediamo giusti come i farisei o ci allontaniamo come quelli che non si sentono degni... L’importante è che ciascuno si ponga nella tensione feconda in cui la misericordia del Signore ci colloca: non solamente di peccatori perdonati, ma di peccatori a cui è conferita dignità» (2 giugno 2016: prima meditazione al giubileo dei sacerdoti. «La misericordia di Dio è sempre “più grande della nostra coscienza” di peccato» (2 giugno 2016, seconda meditazione al giubileo dei sacerdoti)
Papa Francesco afferma: «Un buon prete, dunque, è prima di tutto un uomo con la sua propria umanità, che conosce la propria storia, con le sue ricchezze e le sue ferite, e che ha imparato a fare pace con essa, raggiungendo la serenità di fondo, propria di un discepolo del Signore... La nostra umanità è il “vaso di creta” in cui custodiamo il tesoro di Dio, un vaso di cui dobbiamo avere cura, per trasmettere bene il suo prezioso contenuto... Egli è il “Sommo Sacerdote”, allo stesso modo vicino a Dio e vicino agli uomini; è il “Servo”, che lava i piedi e si fa prossimo ai più deboli; è il “Buon Pastore”, che sempre ha come fine la cura del gregge» (20 novembre 2015: discorso in occasione del 50° anniversario dei decreti conciliari"Optatam totius" e "Presbyterorum ordinis") .
Si possono individuare parole molto dure di papa Francesco su varie colpe ed errori nei sacerdoti: dal peccato del carrierismo/autoritarismo [e] “del clericalismo che è una distorsione della religione” (2013, Libro di Jorge Bergoglio e Abraham Skorka “Il cielo e la terra”. «C’è la malattia della schizofrenia esistenziale. È la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre» (22 dicembre 2014: discorso alla Curia romana). In diverse occasioni papa Francesco ha raccomandato ai sacerdoti di essere molto più misericordiosi verso i cattolici divorziati e di accogliere le coppie risposate e i loro bambini nella Chiesa (6 agosto 2015: omelia nella Festa della Trasfigurazione del Signore). «La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte... Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo, l’Eucaristia» (EG 47).
I sacerdoti devono perciò esaminare costantemente la loro coscienza e il loro stile di vita. Papa Francesco propone un breve esame di coscienza per i sacerdoti: «Il mio cuore dov’è? In mezzo alla gente, pregando con e per la gente, coinvolto con le loro gioie e sofferenze, o piuttosto in mezzo alle cose del mondo, agli affari terreni, ai miei “spazi” privati?» (20 novembre 2015: discorso in occasione del 50° anniversario dei decreti conciliari "Optatam totius" e "Presbyterorum ordinis" ).
Quale altro approccio guida per l’esame di coscienza Francesco suggerisce l’ “inno alla carità” della prima lettera ai Corinzi (14 febbraio 2015: omelia al clero nella Cattedrale di Manila). Inoltre, noi sacerdoti ci rendiamo conto di essere “servi inutili” (Lc 17,10) che il Signore benedice con la fecondità della sua grazia, e che Lui stesso in persona fa sedere alla sua mensa e ai quali offre l’Eucaristia?» (2 giugno 2016: terza meditazione al giubileo dei sacerdoti). «Sacerdoti, la Chiesa non deve mai essere “autoreferenziale”» (ib).
5. Nel ministero emanate gioia
ricevete e donate affetto
Il tema che ha dominato la riflessione della seconda messa crismale di Papa Francesco (2014) è stato la “gioia sacerdotale”. «Facciamo memoria del giorno felice dell’Istituzione del sacerdozio e di quello della nostra Ordinazione sacerdotale. Il Signore ci ha unto in Cristo con olio di gioia e questa unzione ci invita a ricevere e a farci carico di questo grande dono: la gioia, la letizia sacerdotale. La gioia del sacerdote è un bene prezioso non solo per lui ma anche per tutto il popolo fedele di Dio: quel popolo fedele in mezzo al quale è chiamato il sacerdote per essere unto e al quale è inviato per ungere» (17 aprile 2014: omelia alla messa crismale in San Pietro). «La gioia sacerdotale ha la sua fonte nell’Amore del Padre, e il Signore desidera che la gioia di questo Amore «sia in noi» e «sia piena» (Gv 15,11)... Trovo tre caratteristiche significative nella nostra gioia sacerdotale: è una gioia che ci unge (non che ci rende untuosi, sontuosi e presuntuosi), è una gioia incorruttibile ed è una gioia missionaria che si irradia a tutti e attira tutti.
Una gioia che ci unge. Vale a dire: è penetrata nell’intimo del nostro cuore, lo ha configurato e fortificato sacramentalmente... Unti fino alle ossa… e la nostra gioia, che sgorga da dentro, è l’eco di questa unzione. Una gioia incorruttibile. L’integrità del Dono, alla quale nessuno può togliere né aggiungere nulla, è fonte incessante di gioia: una gioia incorruttibile, che il Signore ha promesso che nessuno potrà toglierci (cfr Gv 16,22). Una gioia missionaria. La gioia del sacerdote è posta in intima relazione con il santo popolo fedele di Dio ... L’unzione è in ordine a ungere il santo popolo fedele di Dio: per battezzare e confermare, per curare e consacrare, per benedire, per consolare ed evangelizzare» (17 aprile 2014: omelia alla messa crismale in San Pietro). Ricordate che il primo grande documento emanato da papa Francesco è stata l’esortazione apostolica Evangelii gaudium. Per Francesco «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù... Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia... Desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia» (EG 1).
Nascoste in questa prima esortazione apostolica di Francesco si trovano molte espressioni creative che ci ricordano la centralità della gioia nel nostro apostolato. «Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua» (EG 6). «Un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale» (EG 10). «Si sviluppa la psicologia della tomba, che a poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo» (EG 83). Francesco ha citato san Giovanni XXIII il quale disse: «A noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura che annunciano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo» (EG 84), I cristiani devono evitare qualsiasi cosa che «ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura» (EG 85). «Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione» (EG 83).
Per Francesco un sacerdote deve essere un vero apostolo, «una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia ovunque si trova. Un cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito! Non perdiamo dunque quello spirito gioioso, pieno di humor, e persino autoironico, che ci rende persone amabili, anche nelle situazioni difficili. Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo! Ci farà molto bene recitare spesso la preghiera di san Thomas More: io la prego tutti i giorni, mi fa bene. “Dammi, Signore, il senso del buon umore. Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo per scoprire nella vita un po' di gioia e farne parte anche agli altri”» (22 dicembre 2014: discorso alla Curia Romana).
Papa Francesco ha ardentemente implorato il Signore per il dono della gioia ai sacerdoti. « In questo Giovedì Santo chiedo al Signore Gesù che conservi il brillare gioioso negli occhi dei nuovi ordinati.... Conserva Signore nei tuoi giovani sacerdoti la gioia della partenza, di fare ogni cosa come nuova, la gioia di consumare la vita per te... chiedo al Signore Gesù di confermare la gioia sacerdotale di quelli che hanno parecchi anni di ministero... Chiedo al Signore Gesù che risplenda la gioia dei sacerdoti anziani, sani o malati. È la gioia della Croce... Sentano, Signore, la gioia di passare la fiaccola, la gioia di veder crescere i figli dei figli e di salutare, sorridendo e con mitezza, le promesse, in quella speranza che non delude» (17 aprile 2014: omelia alla messa crismale)
6. Impegnatevi per una predicazione di qualità
Molti cattolici sono rimasti sorpresi che papa Francesco nella Evangelii gaudium abbia dedicato 25 paragrafi all’omelia e alla predicazione (EG 135-159). Egli ha fatto diverse affermazioni dirette – perfino brusche – sui sacerdoti e la predicazione: «L’omelia è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un pastore con il suo popolo» (135). «L’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento... Deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione... Se l’omelia si prolunga troppo danneggia due caratteristiche della celebrazione liturgica, l’armonia tra le sue parti e il suo ritmo» (138)... «La preparazione della predicazione è un compito così importante che conviene dedicarle un tempo prolungato di studio, preghiera, riflessione e creatività pastorale... Un predicatore che non si prepara non è “spirituale”, è disonesto e irresponsabile verso i doni che ha ricevuto» (145).
«L’omelia non dovrebbe essere utilizzata per correggere errori... per insegnare... per spiegare diverse idee teologiche... per informare circa le ultime notizie» (147). «La cosa indispensabile è che il predicatore abbia la certezza che Dio lo ama, che Gesù Cristo lo ha salvato e che il suo amore ha sempre l’ultima parola» (151). «La preparazione della predicazione si trasforma così in un esercizio di discernimento evangelico [unendo una fede profonda alla vita contemporanea] (154). «Altra caratteristica è il linguaggio positivo... Una predicazione positiva offre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività» (159).
Parlando ai neo ordinati sacerdoti, Francesco disse: «Le vostre omelie non siano noiose, che le vostre omelie arrivino proprio al cuore della gente perché escono dal vostro cuore, perché quello che voi dite a loro è quello che voi avete nel cuore. Così si dà la Parola di Dio e così la vostra dottrina sarà gioia e sostegno ai fedeli di Cristo, il profumo della vostra vita sarà la testimonianza» (26 aprile 2015: omelia per l’ordinazione di 19 neo-sacerdoti in San Pietro). Viene subito a mente il motto episcopale del card. John Henry Newman: “Cor ad cor loquitur” (il cuore parla al cuore).
«Il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo; questa è una prova chiara. Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia. La nostra gente gradisce il Vangelo predicato con l’unzione, gradisce quando il Vangelo che predichiamo giunge alla sua vita quotidiana,... quando illumina le situazioni limite... La gente ci ringrazia perché sente che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno, le sue pene e le sue gioie, le sue angustie e le sue speranze» (28 marzo 2013: Omelia alla messa crismale in San Pietro).
7. Verificate con cura “la vostra posizione o il potere clericale che possedete”
Forse uno dei discorsi più citati di papa Francesco per mettere in guardia sacerdoti e vescovi da alcune possibili insidie nel loro ministero e nella loro vita si trova nel messaggio natalizio alla Curia romana (22 dicembre 2014). Il messaggio è concepito come una specie di “esame di coscienza, secondo la pratica dei Padri del deserto, che preparavano gli “elenchi” in vista del sacramento della riconciliazione. Francesco ha affermato che la guarigione si attua attraverso la consapevolezza della propria malattia e la decisione personale e comunitaria di applicare con pazienza e perseveranza i rimedi opportuni.
Francesco ha ricordato alcune possibili “malattie e tentazioni che indeboliscono la nostra relazione vitale personale, autentica e solidale con Cristo”. Indicando diverse voci specifiche chiarisce e favorisce «una viva relazione con Dio che nutre e rafforza la nostra comunione con gli altri». L’elenco delle malattie di papa Francesco comprende quindici voci (22 dicembre 2014: discorso alla Curia Romana).
Anzitutto 1) «la malattia di essere immortali, immuni e indispensabili! È la malattia di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti. Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”». 2) Un’altra malattia è quella del «“martalismo” (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità... Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un po’». 3) «C’è anche la malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale: ossia di coloro che posseggono un cuore di pietra... È la malattia di coloro che perdono “i sentimenti di Gesù”...». 4) «La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo». 5) «La malattia del cattivo coordinamento: quando le membra perdono la comunione tra di loro».
Papa Francesco nomina altre possibili malattie quali 6) «la malattia dell’´Alzheimer spirituale´: ossia la dimenticanza della propria storia di salvezza, della storia personale con il Signore, del “primo amore”... Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore». 7) «La malattia della rivalità e della vanagloria [che implica] i nostri titoli onorifici». 8) «La malattia della schizofrenia esistenziale. È la malattia di coloro che vivono una doppia vita». 9) «La malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi... Fratelli, guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere». 10) «La malattia di divinizzare i capi. È la malattia di coloro che corteggiano i Superiori, sperando di ottenere la loro benevolenza. Sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo... Sono persone che vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare».
Le ultime cinque malattie elencate dal papa Francesco cominciano con 11) «l’indifferenza verso gli altri. Quando ognuno pensa solo a se stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani». 12) «La malattia della faccia funerea, ossia delle persone burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza». 13) «La malattia dell’accumulare: quando l’apostolo cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro». 14) «La malattia dei circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso». Infine 15) «La malattia del profitto mondano, degli esibizionismi, quando l’apostolo trasforma il suo servizio in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri». «Fratelli, tali malattie e tali tentazioni sono naturalmente un pericolo... Occorre chiarire che è solo lo Spirito Santo a guarire ogni infermità... Chiediamo alla Vergine Maria di farci amare la Chiesa come l’ha amata Cristo, suo Figlio e nostro Signore, e di avere il coraggio di riconoscerci peccatori e bisognosi della sua Misericordia... E, per favore, non dimenticate di pregare per me! Grazie di cuore» (22 dicembre 2014: discorso alla Curia Romana).
C’è da sottolineare che nel Natale 2014 Francesco ha indicato quindici “malattie curiali” (che possono contagiare anche i sacerdoti) e nel suo discorso natalizio del 2015 ha parlato di “antibiotici curiali”. Si è servito di un’analisi acrostica delle dodici lettere della parola misericordia per comunicare il contenuto del suo messaggio positivo, imitando ciò che fece Matteo Ricci nella sue iniziative di evangelizzazione in Cina. Francesco concluse la sua riflessione con la preghiera attribuita al beato Oscar Arnulfo Romero, osservando che i sacerdoti devono essere dei “servitori, non dei messia” (21 dicembre 2015: discorso alla Curia Romana).
8. Valorizzate la pietà popolare dei fedeli
Nella sua ampia esortazione “La gioia del Vangelo” (Evangelii gaudium) papa Francesco ha dedicato diversi paragrafi alla “forza evangelizzatrice della pietà popolare” (122-126).
«Nella pietà popolare si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi. In alcuni momenti guardata con sfiducia, è stata oggetto di rivalutazione nei decenni posteriori al Concilio. È stato Paolo VI nella sua Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi a imprimere ad essa un impulso decisivo. Egli spiega che la pietà popolare “manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere” e “rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede”. Più vicino ai nostri giorni, Benedetto XVI, in America Latina, ha segnalato che si tratta di un “prezioso tesoro della Chiesa cattolica” e che in essa “appare l’anima dei popoli latinoamericani”». (EG 123).
«Nel Documento di Aparecida [a cui Francesco ha dato un grande contributo] si descrivono le ricchezze che lo Spirito Santo dispiega nella pietà popolare con la sua iniziativa gratuita. In quell’amato continente, dove tanti cristiani esprimono la loro fede attraverso la pietà popolare, i Vescovi la chiamano anche “spiritualità popolare” o “mistica popolare”. Si tratta di una vera “spiritualità incarnata nella cultura dei semplici”. È “un modo legittimo di vivere la fede”, “un modo di sentirsi parte della Chiesa, e di essere missionari”; porta con sé la grazia della missionarietà, dell’uscire da se stessi e dell’essere pellegrini» (EG 124).
«Nella pietà popolare, poiché è frutto del Vangelo inculturato, è sottesa una forza attivamente evangelizzatrice che non possiamo sottovalutare: sarebbe come disconoscere l’opera dello Spirito Santo. Piuttosto, siamo chiamati ad incoraggiarla e a rafforzarla per approfondire il processo di inculturazione che è una realtà mai terminata. Le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione» (EG 126).
Prima di essere eletto papa, l’allora card. Jorge Bergoglio in una conferenza del 2012 parlò di “teologia del popolo” che egli tiene in grande stima, sottolineando che la pietà popolare è l’antitesi della diffusa secolarizzazione. Questa teologia è fondata sulla comune cultura e devozione del popolo, inclusi la spiritualità e il senso di giustizia; essa manifesta “la fede del nostro umile popolo”.
Per il card. Bergoglio, l’America Latina, è ampiamente caratterizzata dalla povertà e dal cristianesimo; il secondo aspetto è espresso in diverse e variopinte forme come processioni, veglie e preghiere pubbliche. Egli disse: «Se avviciniamo il nostro popolo con lo sguardo del buon pastore, se non lo giudichiamo ma lo amiamo, ci accorgiamo che questo modo di esprimere la fede cristiana è ancora presente tra noi, specialmente nei nostri poveri». Affermò che «la spiritualità popolare è il modo originale attraverso cui lo Spirito Santo ha guidato e continua a guidare milioni di nostri fratelli».
Lo stesso card. Bergoglio promosse varie forme di pietà popolare a Buenos Aires. Per esempio rese popolare la devozione alla “Madonna che scioglie i nodi” – un titolo che ha origine in Ausgburg, Germania, (Maria Knotenlöser) ed egli ne diffuse la suggestiva immagine.
Inoltre diffuse l’immagine di “San Giuseppe dormiente”. Il card. Tagle di Manila affermò che papa Francesco si trova molto a suo agio con la religiosità popolare perché “rafforza la fede”; nella pietà popolare “lo Spirito Santo e la cultura dei poveri s’incontrano” Senza dubbio, la pietà popolare costituisce un ricco fondamento su cui i sacerdoti possono costruire il loro ministero pastorale.
9. Siate sensibili verso coloro che sono in “periferia” e ai “margini”
Fin dall’inizio del suo ministero come vescovo di Roma, papa Francesco ha affermato che l’autorità del sacerdote è sempre legata al suo servizio, specialmente alla cura e protezione dei più poveri, deboli, a coloro che meno contano e ai più bisognosi, a coloro che sono facilmente dimenticati, agli emarginati e nella periferia della società. In Argentina era conosciuto come il “vescovo delle favelas” per il suo contatto regolare con i poveri; era convinto che questo servizio costituisse il modo più concreto di servire Gesù. Come papa andò a visitare il carcere giovanile di Roma; si recò nell’isola meridionale italiana di Lampedusa per portare la sua solidarietà ai numerosi migranti, molti dei quali erano morti nel tentativo di raggiungere l’Europa.
«Come sacerdoti, noi ci identifichiamo con quel popolo scartato, che il Signore salva, e ci ricordiamo che ci sono moltitudini innumerevoli di persone povere, ignoranti, prigioniere, che si trovano in quella situazione perché altri li opprimono. Ma ricordiamo anche che ognuno di noi sa in quale misura tante volte siamo ciechi... E Gesù viene a riscattarci, a farci uscire, per trasformarci da poveri e ciechi, da prigionieri e oppressi in ministri di misericordia e consolazione» (24 marzo 2016: omelia alla messa crismale in San Pietro).
«Come sacerdoti, siamo testimoni e ministri della misericordia sempre più grande del nostro Padre; abbiamo il dolce e confortante compito di incarnarla, come fece Gesù, che “passò beneficando e risanando” (At 10,38), in mille modi, perché giunga a tutti. Noi possiamo contribuire ad inculturarla, affinché ogni persona la riceva nella propria personale esperienza di vita» (ib).
Francesco afferma che i sacerdoti hanno bisogno di uno “sguardo sacerdotale”, che consenta loro di «vedere le persone nell’ottica della misericordia. È quello che si deve insegnare a coltivare a partire dal seminario e che deve alimentare tutti i piani pastorali... bisogna lasciarsi commuovere dinanzi alla situazione della gente, che a volte è un miscuglio di cose, di malattia, di peccato, di condizionamenti impossibili da superare, come Gesù che si commuoveva vedendo la gente, e i loro problemi... guariva, perdonava, dava sollievo, riposo, faceva respirare alla gente un alito dello Spirito consolatore» (2 giugno 2016: terza meditazione al giubileo dei sacerdoti).
Rivolgendosi ai vescovi, sacerdoti e religiosi nella cattedrale di Manila nel 2015, Francesco parlò della sfida di servire i poveri e i bisognosi «coloro che vivono in una società oppressa dalla povertà e corruzione, tentati di arrendersi». Il clero affronta «la sfida di annunciare la radicalità del Vangelo in una società abituata all’esclusione, alla polarizzazione e alla scandalosa disuguaglianza»; essi devono ricordarsi che «i poveri sono al centro del Vangelo, sono al cuore del Vangelo; se togliamo i poveri dal Vangelo non possiamo capire pienamente il messaggio di Gesù Cristo» (16 gennaio 2015: omelia al clero nella cattedrale di Manila).
In breve: «Tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (EG 20)
10. In ogni cosa ciascuno sia un “vero discepolo missionario”
In Evangelii gaudium papa Francesco propone un profondo rinnovamento missionario dell’intera Chiesa. Certamente il clero è centrale in questo rinnovamento. Afferma che abbiamo bisogno di una «Chiesa evangelizzatrice che esce da se stessa», non di una «Chiesa “autoreferenziale” che vive in se stessa, di se stessa e per se stessa». «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione... Ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale» (EG 27).
«L’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa... È necessario passare “da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria”». (EG 15). «Sottolineo che ciò che intendo qui esprimere ha un significato programmatico e dalle conseguenze importanti. ...Costituiamoci in tutte le regioni della terra in un «stato permanente di missione» (EG 25).
Un’idea centrale di papa Francesco è che «in tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare» (EG 119); «In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario» (EG 120) Tutti i cristiani sono “agenti di evangelizzazione”. «La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati... Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo “discepoli” e “missionari”, ma che siamo sempre “discepoli-missionari”» (EG 120). «Possa il mondo del nostro tempo – che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza – ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo» (EG 10; cf. EN 75)
Francesco afferma: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva» (EG 7; cf Benedetto XVI). Per papa Francesco «il sacerdote, come la Chiesa, deve crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato» (EG 164). Nel capitolo secondo, parlando di alcune sfide riguardanti la proclamazione del Vangelo nel mondo attuale afferma: «Le sfide esistono per essere superate. Siamo realisti, ma senza perdere l’allegria, l’audacia e la dedizione piena di speranza! Non lasciamoci rubare la forza missionaria» (EG 109). E di nuovo: «non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione» (EG 83).
James H. Kroeger