I migranti tra drammi e sogni
2017/5, p. 34
La presente ricerca vuole essere una risposta alla
sollecitudine che papa Francesco mostra nei confronti dei
migranti, in prima fila nel lungo elenco di persone
svantaggiate e vulnerabili perché vittime di una violenza
politica e umana che ha le sue radici nelle dinamiche della
politica internazionale.
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Dossier Caritas: Algeria Purgatorio dimenticato
I MIGRANTI
TRA DRAMMI E SOGNI
La presente ricerca vuole essere una risposta alla sollecitudine che papa Francesco mostra nei confronti dei migranti, in prima fila nel lungo elenco di persone svantaggiate e vulnerabili perché vittime di una violenza politica e umana che ha le sue radici nelle dinamiche della politica internazionale.
«Il 1° gennaio 2017 vede la luce il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che aiuterà la Chiesa a promuovere in modo sempre più efficace i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato e della sollecitudine verso i migranti, i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura» (Messaggio di papa Francesco per la 50° Giornata mondiale per la Pace,1 gennaio 2017).
Con questa citazione iniziale è stato pubblicato di recente da Caritas Italiana un Dossier intitolato “Algeria Purgatorio dimenticato. Fra i drammi e i sogni dei migranti che fuggono”. Nell’anno in cui il nuovo Dicastero vaticano entra in funzione, questa ricerca vuole essere una risposta alla sollecitudine che papa Francesco mostra nei confronti dei migranti, in prima fila nel lungo elenco di persone svantaggiate e vulnerabili perché vittime di una violenza politica e umana. La lettura della vicenda migratoria attuale ha le sue radici nelle dinamiche di politica internazionale che hanno dominato la scena mondiale all’indomani delle guerre mondiali: «sono state e sono tuttora dinamiche di rapina e di affermazione degli interessi particolari a scapito del bene comune. La globalizzazione imperante continua a privilegiare i più ricchi e le singole lobby, in possesso dei mezzi e delle informazioni necessarie per sfruttare le debolezze locali e accrescere l’influenza e il potere personale». Dopo secoli di imperialismo, schiavismo e sfruttamento delle popolazioni più povere, la denuncia di noi europei nei confronti di quelle stesse popolazioni di minacciare il nostro benessere, di invadere i nostri spazi vitali, suona allora come un anacronismo. Per di più politici con forti visioni populistiche stanno sbandierando il pericolo di invasioni barbariche a opera dei migranti, senza tenere in minimo conto quanto questa stessa paventata “invasione” (circoscritta in termini quantitativi) porti di positivo alla crescita sociale, economica e culturale alla nostra vecchia Europa.
Il cambiamento è naturale e ineluttabile; per capirlo e conoscerlo più da vicino, sono state coinvolte nella stesura del dossier le Caritas del Maghreb, in particolare della Tunisia e dell’Algeria, “paesi di transito” della gran parte dei migranti che raggiungono le coste meridionali italiane. La definizione di “Purgatorio dimenticato” «vuole essere così un modo per dare voce ai nostri vicini, troppo spesso “demonizzati” perché diversi culturalmente e religiosamente, eppure riscoperti come possibili alleati nel tentativo europeo di limitare, contenere o addirittura fermare la tanto temuta invasione dei migranti africani».
Il problema
a livello internazionale
Il dossier precisa subito che i dati relativi al fronte delle migrazioni forzate sono allarmanti: una persona su 113 è costretta alla fuga nel mondo, secondo quanto riportato dall’Alto Commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR). Il rapporto annuale Global Trends 2015 indica che sono circa 65,3 milioni le persone costrette alla fuga nel 2015, rispetto ai 59,5 milioni dell’anno prima. Il totale di 65,3 milioni comprende: 3,2 milioni di persone che erano in attesa di decisione sulla loro richiesta d’asilo in paesi industrializzati a fine 2015 (il più alto totale mai registrato dall’UNHCR); 21,3 milioni di rifugiati nel mondo (1,8 milioni in più rispetto al 2014, il dato più alto dall’inizio degli anni novanta); 40,8 milioni di persone costrette a fuggire dalla propria casa ma che si trovavano ancora all’interno dei confini del loro paese (in aumento di 2,6 milioni rispetto al 2014).
La necessità di fuggire, di partire, di lasciarsi alle spalle guerre, persecuzioni e carestie insieme a politiche di contenimento dei flussi sempre più restrittive e militarizzate, ha anche portato ad accrescere il numero dei morti lungo le rotte migratorie: nel 2016, per quanto riguarda il Mediterraneo, il numero di coloro che hanno perso la vita nelle acque del mare è stato di oltre 5 mila, un terzo in più dell’anno precedente.
Nel contesto mediterraneo si registra un nuovo record raggiunto dall’Italia nel 2016 per quanto riguarda gli sbarchi di migranti: sono oltre 181 mila gli arrivi via mare registrati, cifra superiore quindi a quella del 2014 con 170 mila arrivi, e a quella del 2015 con 154 mila. Complessivamente rispetto all’anno precedente gli sbarchi nel nostro paese sono aumentati del 18%. Con punte di arrivi giornalieri molto consistenti: il mese di ottobre scorso ha registrato il numero più elevato di sbarchi dall’inizio dell’anno (oltre 27 mila arrivi). I dati annuali evidenziano così il primato dell’Italia per numero di arrivi nel Mediterraneo: degli oltre 360 mila migranti giunti via mare in Europa la metà è approdata sulle coste italiane, il 48% degli sbarchi è avvenuto in Grecia (174 mila arrivi), mentre sono stati 8.826 i migranti sbarcati in Spagna. In Italia al 31 dicembre 2016 risultavano presenti oltre 176 mila migranti: il 77,7% dei migranti è ospitato in strutture di accoglienza temporanee, il 13,5% nei centri del sistema SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, rete di centri di “seconda accoglienza”) con il restante 8,8% nei centri già esistenti e attrezzati per identificare i migranti (i cosiddetti hotspot) e nei centri di prima accoglienza nelle regioni di sbarco.
Dall’Africa nera
al Mediterraneo
Il dossier evidenzia a questo punto come il viaggio dei migranti, la traversata di paesi, deserti e mari, sia contrassegnato da percorsi prestabiliti, in continua evoluzione secondo le circostanze; queste rotte sono anche costituite da vicoli ciechi (repressioni, fasi transitorie che si prolungano indefinitamente) e crocevia che si diramano in molteplici direzioni possibili. Chi lascia la Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, può passare dalla Repubblica Centrafricana o dal Congo-Brazzaville, per poi raggiungere i percorsi tradizionali che portano al Maghreb dal Camerun: cioè attraverso la Nigeria e il Niger arrivando infine in Algeria. I migranti che si lasciano alle spalle l’Africa occidentale, come i guineani, gli ivoriani o i senegalesi, di solito attraversano il Mali per entrare nelle città dell’Algeria. In molti casi l’esperienza della migrazione verso il Maghreb è stata preceduta da un transito in Africa occidentale e centrale: l’arrivo nel Maghreb si concretizza così, dopo uno o più anni di mobilità senza linearità di percorso. Nelle zone del Sahel magrebino i migranti percorrono centinaia di chilometri muovendosi da est a ovest: dalla Libia in Algeria e dall’Algeria in Marocco.
Le città magrebine del Sahel sono quindi veri e propri “crocevia” di migranti sub-sahariani. Sono spazi urbani che permettono lo scambio di informazioni sulle diverse possibilità di percorso e l’integrazione con le comunità migranti già presenti sul posto. Si tratta quindi di punti nodali fondamentali nell’organizzazione reticolare del flusso migratorio che collega l’area sub-sahariana del Sahel, il nord Africa e l’Europa. Nel loro percorso i migranti si imbattono spesso in vicoli ciechi, in strade senza uscita che interrompono il cammino di salvezza. Ed è questo il motivo per cui le grandi città svolgono sempre più un ruolo indispensabile di sosta intermedia, offrendo maggiori opportunità di lavoro, piccoli commerci e servizi occasionali.
Algeria,
crocevia dei migranti
In questo contesto, sottolinea il dossier, l’Algeria, che ha già 2 milioni di cittadini all’estero, si configura come territorio di transito, grazie alla sua naturale prossimità geografica con l’Europa e alla secolare mobilità del popolo tuareg tra Mali, Niger e il sud algerino. D’altra parte, il forte bisogno di manodopera fa sì che la nazione algerina rappresenti anche un importante paese di destinazione: grazie ai prezzi calmierati di energia e di prodotti alimentari, è possibile viverci senza spendere troppo. In sostanza, chi ha bisogno di rimettere in sesto le proprie finanze si stabilisce qui. Si tratta per lo più di una forza lavoro a basso costo, in situazione irregolare, costretta a impieghi faticosi e mal pagati in edilizia, agricoltura, ristorazione, servizi alberghieri, sfere domestiche. In questo contesto comunque l’Algeria, secondo il dossier Caritas, si rivela come un “Purgatorio dimenticato”: infatti anche qui i migranti sono vittime di continue umiliazioni e soprusi, spesso respinti con violenza dalle forze dell’ordine alle frontiere con il Mali o il Niger, in pieno deserto. In particolare, dal primo dicembre 2016 è in corso una retata contro gli immigrati africani nei quartieri di Algeri, che vengono deportati via camion a 2.000 chilometri di distanza nella località di Tamanrasset, città di confine con il Niger, per essere in seguito espulsi. Al momento si tratta di ben 1.400 immigrati sub-sahariani provenienti in maggioranza da Nigeria, Niger, Liberia, Camerun, Mali e Guinea. Il blitz non ha risparmiato le persone malate, gli anziani, le donne incinte e i bambini, senza distinzione tra richiedenti asilo e profughi, come hanno reso noto diverse ONG internazionali.
Insomma per centinaia di migliaia di migranti che hanno nel cuore il sogno dell’Europa, anche attraversare l’Algeria non è poi così semplice; i molteplici pericoli cui incorrono derivano principalmente da un ambiente naturale inospitale, caratterizzato da immense zone desertiche, da temperature estreme e da forti escursioni termiche. «Ai fattori naturali si aggiungono pericoli dal volto umano: la rete dei passeurs, contrabbandieri di vite, che si sono moltiplicati con l’aumento dei controlli alle frontiere europee, cui il migrante affida se stesso e la sua incolumità senza la minima assicurazione; le misure repressive di controllo, fermo e respingimento messe in atto dalle istituzioni locali per “regolare” i flussi migratori. Impossibile calcolare il numero esatto delle vittime che ogni anno perdono la vita nel percorso a ostacoli verso la salvezza».
Il Maghreb
e l’Europa
Il Maghreb, zona di transito dei migranti africani verso l’Europa, assume sempre più i contorni di un “corridoio umanitario”. Il dossier denuncia che «molti interventi sul tema delle migrazioni non tengono conto dell’esistenza di paesi e popolazioni autoctone, situate tra gli sterminati territori del Sahara e del Mediterraneo: dall’Africa nera, le moltitudini di migranti appaiono piuttosto come frotte di numeri senza volto che si riversano nel Mare nostrum, provenienti da immaginari litorali del Sahel». Molte voci scandalizzate si levano sulla morte in mare di migliaia di uomini, donne e bambini; ma in pochi sembrano accorgersi dell’allarmante numero di decessi nell’immenso mare di sabbia (quattro volte più esteso del Mediterraneo) che i migranti devono attraversare per raggiungere le coste che li separano dall’Europa.
In realtà l’aumento dei controlli alle frontiere dell’Unione Europea e la loro progressiva esternalizzazione verso sud, hanno fatto dei paesi di quest’area gli alleati naturali del vecchio continente nel contenimento della paventata invasione dei nuovi barbari. Se dunque il viaggio attraverso il Mediterraneo diviene sempre più difficile, costoso e pericoloso, l’Africa del nord si sta progressivamente trasformando in un’area di sosta, non solo di transito, per i migranti. «In Algeria e Marocco, il migrante ha la possibilità di sostare il tempo necessario a recuperare le forze e i fondi utili per compiere l’ultimo passo, quello decisivo. Molti migranti sono in grado di organizzare un piccolo business, grazie anche agli aiuti del proprio gruppo etnico, delle organizzazioni caritative, di amici occasionali. Pochi, invece, sono quelli che decidono di tornare indietro».
Negli anni 2000 certamente è emersa una nuova migrazione dall’Africa sub-sahariana. «L’esternalizzazione delle frontiere dell’Unione Europea, avente l’obiettivo di delegare una questione puramente europea ai paesi del Maghreb, non ha saputo tener conto e valorizzare le migrazioni transfrontaliere tra paesi vicini. Concentrando aiuti e finanziamenti nei paesi dell’Africa mediterranea, non ha fatto altro che attirare verso di sé le attenzioni e gli interessi dei nuovi cercatori di fortuna e del mercato di chi specula sui bisogni dei migranti. Più gli stati dell’Unione Europea restringono o chiudono le vie “normali” d’accesso nei propri paesi, più aumenta e si gonfia il volume del traffico degli esseri umani, dei servizi umanitari, delle operazioni di concentrazione e ritorno forzato ai paesi di origine, persino del rimpatrio volontario. Il fallimento dell’attuale politica europea di esternalizzazione risulta ormai palese, ma i governi del vecchio continente sembrano non volersene accorgere».
Mario Chiaro