Traumi e crescita nella VC
2017/5, p. 25
L’opportunità di influire sul proprio mondo emotivo è un
aspetto molto importante dal punto di vista della propria
sopravvivenza psichica. I traumi sono un’occasione
preziosa per regolare le emozioni senza doverle
necessariamente subire e per reagire a ciò che è
accaduto, dando continuità alla propria storia evolutiva.
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L’aiuto della moderna neuro-psicologia
TRAUMI E CRESCITA
NELLA VC
L’opportunità di influire sul proprio mondo emotivo è un aspetto molto importante dal punto di vista della propria sopravvivenza psichica. I traumi sono un’occasione preziosa per regolare le emozioni senza doverle necessariamente subire e per reagire a ciò che è accaduto, dando continuità alla propria storia evolutiva.
Anche tra le mura tranquille di un convento si possono vivere eventi traumatici che sconvolgono il clima di pace e di serenità abituale di una comunità religiosa. Soprattutto se si tratta di eventi che mettono a repentaglio la capacità di adattamento psicofisica delle persone.
Che fare? Come riscoprire, anche dinanzi a eventi traumatici, la continuità delle proprie motivazioni vocazionali? La moderna neuro-psicologia ci può aiutare a capire come la salute psichica si coniuga bene con le aspirazioni di benessere vocazionale della persona.
Un’evangelizzazione
a misura di trauma
Le condizioni di difficoltà e di disagio sono parte dell’esistenza di ogni individuo. I religiosi e le religiose non fanno eccezione a ciò, perché anche loro devono fare i conti con i piccoli o grandi traumi che vengono a scombinare la tranquillità del loro ideale di consacrazione.
A volte basta un conflitto comunitario, o la tensione con un superiore, o un esaurimento nervoso, o il lutto per la perdita dei propri cari. Ma possono essere anche fatti traumatici che riguardano più direttamente il carisma apostolico della propria vocazione, come le persecuzioni dei cristiani, gli episodi di ostilità nell’evangelizzazione delle periferie esistenziali, tutti episodi che testimoniano come le difficoltà della vita possono interrompere senza preavviso l’aspettativa idealizzata di una vita consacrata senza problemi, «che mal si comporrebbe con le esigenze della carità».
Certo, se da una parte è vero che le avversità hanno accompagnato da sempre la storia della Chiesa, dall’altra si può ben dire che ai traumi, piccoli o grandi che siano, non ci si abitua mai!
I recenti eventi del terremoto in centro Italia, che hanno colpito anche chiese e conventi, hanno molto scosso l’opinione pubblica, soprattutto quando certe immagini sono entrate con forza nelle case e nelle abitudini della gente.
Dovremmo cominciare proprio dalla concretezza di queste condizioni estreme per riconoscere che la voglia di tornare a vivere – così come il desiderio di rispondere autenticamente alla propria vocazione – passa attraverso i vissuti emotivi che mettono a dura prova la propria esistenza, e che diventano una sfida per riscoprire le motivazioni che danno continuità alla propria vita.
Dalla concretezza
alla fragilità emotiva
La concretezza di tale precarietà si materializza nelle tante vicende che mettono a nudo l’umanità fragile e vulnerabile dell’individuo, e che lo portano a fare i conti con la sua realtà emotiva fatta di luci e di ombre.
Lo sanno bene quanti si trovano a vivere improvvisamente condizioni di grave insicurezza sociale, come è successo alle suore del monastero di Norcia, quando si sono viste crollare addosso le mura del loro convento nell’ottobre 2016. «È crollato tutto mentre stavamo pregando le lodi della mattina». Così raccontavano la loro esperienza traumatica le suore del Convento di Sant’Antonio Abate a Norcia, sopravvissute al crollo del terremoto. «È caduto il campanile, la chiesa – raccontano – Poi sono venuti i vigili e ci hanno portato in salvo».
Anche nelle circostanze più estreme l’individuo si pone non tanto come colui che interpella la vita ma piuttosto come colui che risponde ai tanti interrogativi dell’esistenza, con coerenza e fedeltà, sapendo «di essere sempre interrogati, come gente alla quale la vita pone continuamente delle domande, ogni giorno e ogni ora, domande alle quali ci tocca rispondere, ogni giorno e ogni ora». Anche nelle condizioni traumatiche la persona è chiamata a dare risposte di senso alle emozioni che vive, stando a contatto con le situazioni di difficoltà che mettono a repentaglio la sua sensibilità emotiva.
Traumi e capacità
di regolazione costruttiva
Le emozioni sono il linguaggio che il corpo adopera per fronteggiare tali condizioni di difficoltà, e per dare delle risposte comportamentali che siano coerenti con le motivazioni sottostanti. Non dimentichiamo che le emozioni “suggeriscono” come affrontare la realtà, ridando al soggetto la responsabilità delle proprie azioni attraverso la regolazione dei vissuti emozionali.
Questa opportunità di influire sul proprio mondo emotivo è un aspetto molto importante dal punto di vista della propria sopravvivenza psichica, perché la persona avverte che quello che sta vivendo ha un senso per la propria identità, ed è un’occasione preziosa per reagire a ciò che è accaduto, dando continuità alla propria storia evolutiva. Tale consapevolezza alimenta la possibilità di fare delle scelte, regolando le emozioni senza doverle necessariamente subire.
Per esempio, quando accade qualcosa di inaspettato, la persona può reagire con sorpresa se l’evento è di segno positivo, oppure con stupore o meraviglia se l’intensità è forte. Reagisce invece con spavento se si trova di fronte a qualcosa che è percepito come pericoloso. In ognuno di questi casi l’emozione è una risposta primaria che scuote la capacità di adattamento dell’individuo, e può indurlo ad esplorare nuovi comportamenti che siano più congruenti con il proprio benessere vocazionale.
Anche la paura che si vive in una condizione estrema come quella del terremoto, è una sorta di “risposta primitiva” con cui il cervello attiva tutto il sistema di allarme che serve a proteggere la sopravvivenza del singolo. Una tale paura «è spesso accompagnata da una reazione organica di cui è responsabile il sistema nervoso autonomo, che prepara l’organismo alla situazione d’emergenza disponendolo, anche se in modo non specifico, all’apprestamento delle difese che si traducono solitamente in atteggiamenti di lotta e fuga».
Ma non ci sono solo le emozioni primarie, per un buon adattamento nell’ambiente. Non basta solo scappare quando si è terrorizzati o attaccare quando si è arrabbiati.
La capacità di adattamento della persona permette di vagliare un’ampia varietà di reazioni psico-fisiche più funzionali alla sua sopravvivenza. Tali alternative migliorative sono disponibili nella mente umana, poiché già in altre circostanze l’individuo ha regolato le proprie azioni dando risposte adattive che si sono rivelate utili per star meglio nel proprio ambiente.
Le conseguenze
di un evento traumatico
Il trauma psicologico può essere definito «come qualcosa che rompe il consueto modo di vivere e vedere il mondo e che ha un impatto negativo sulla persona che lo vive». Gli episodi che possono rivelarsi come esperienze traumatiche sono diversi e possono essere eventi che minacciano la propria integrità fisica o psichica, come nel caso di un terremoto, o di un attacco terroristico, o del saccheggio di una missione. Oppure può trattarsi di “piccoli traumi”, esperienze soggettivamente disturbanti che sono caratterizzate da una percezione di pericolo non particolarmente intensa, come nel caso dei conflitti comunitari, o dinanzi ad un’obbedienza incomprensibile, oppure quando si deve affrontare una malattia improvvisa o un lutto familiare.
Inoltre non tutte le persone reagiscono allo stesso modo a tali eventi traumatici. Le risposte possono variare dal completo recupero di una vita normale, fino alle reazioni più gravi, che impediscono alla persona di continuare a vivere la propria vita come prima dell’evento traumatico.
Le conseguenze di tali situazioni sono riscontrabili non solo a livello emotivo, ma anche a livello fisico, per la stretta connessione che esiste tra mente e corpo. Per cui l’elaborazione di questi eventi ha un effetto anche sulla neurobiologia del cervello, e quindi sulla capacità di adattamento fisiologico, oltre che sulla regolazione emotiva del soggetto.
Questo avviene perché l’innato meccanismo di elaborazione delle informazioni presente nel cervello è in grado di integrare le informazioni relative a quell’evento, ricollocandolo in modo costruttivo nel quadro di adattamento positivo che l’essere umano tende a ripristinare dopo l’accaduto.
Se ciò non avviene, o se gli eventi sono troppo forti o persistenti, la persona può tornare a subire gli effetti dell’evento traumatico anche a distanza di tempo, a volte con le stesse sensazioni angosciose di allora, sentendosi incapace di condurre una vita soddisfacente. In tali circostanze il rischio è che l’evento traumatico si fissi nella memoria psichica dell’individuo come ricordo isolato e non integrato.
Riconoscere
una prospettiva di crescita
Quando le condizioni traumatiche eccedono la capacità di adattamento dell’individuo, è come se il passato ritornasse nel presente: il soggetto “rivive” l’evento traumatico, continuando a provare le emozioni, le sensazioni e i pensieri negativi sperimentati in quel momento. Quando ciò succede, è necessario chiedere aiuto, ed è importante che tale aiuto sia fornito il più presto possibile.
L’importanza di intervenire tempestivamente non è legata solo alla possibilità di prevenire l’insorgenza di eventuali disturbi acuti o cronici, ma anche all’opportunità di osservare in modo naturale le reazioni dei sopravvissuti a un disastro naturale, raccogliendo dati sull’andamento dei disturbi, dati preziosi per comprendere la gravità delle conseguenze dell’evento traumatico sulla psiche delle persone.
L’esperienza clinica insegna che, se si elabora l’esperienza traumatica in tempi relativamente brevi, si permette alle persone di mobilitare le loro energie ormonali e motivazionali – di per sé già attive per far fronte alle condizioni di pericolo – per rispondere in modo nuovo alle circostanze di precarietà in cui si trovano. Come testimoniano, nella loro newsletter, gli psicologi che hanno operato con le suore terremotate delle Marche.
«Cari colleghi, vorrei condividere con voi la bella esperienza che abbiamo vissuto recentemente, presso il Convento di Suore nella città di […]. L'intervento era stato richiesto a seguito dei noti eventi sismici che hanno interessato anche l'entroterra marchigiano. Il clima che si è creato con le suore è stato positivo, in particolar modo per la collaborazione che sin dall'inizio è stata prestata dalle suore, pur nella naturale riservatezza che contraddistingue il loro ruolo. Al termine del lavoro, le suore ci hanno fatto subito partecipi dei benefici ricevuti e, nel follow-up hanno riferito di aver saputo gestire in maniera positiva le emozioni derivanti dalle ulteriori scosse di terremoto nel frattempo verificatesi».
Questo esempio conferma l’utilità di intervenire con urgenza dinanzi alle difficoltà: prima si affrontano, meglio la persona recupera energie psicofisiche e motivazionali che la orientano verso atteggiamenti più coerenti con le proprie scelte vocazionali. Ciò vale per i grandi traumi, ma vale anche per i tanti disagi traumatici che a volte affliggono la vita dei consacrati, e che potrebbero essere oggetto di elaborazione di un processo di formazione permanente, non sporadica e occasionale ma continuativa e duratura.
La capacità di regolare gli aspetti disfunzionali dei propri comportamenti aiuta la persona a identificare i momenti critici delle sue risposte emotive eccessive, per interrompere o modificare il flusso negativo in vista di emozioni più adeguate alla situazione e più coerenti con le proprie scelte di vita.
Se impara ad equilibrare le proprie emozioni essa riesce a dare un senso all’esperienza traumatica che vive, volgendo la propria attenzione a quei significati che aprono il cuore e la mente ad un nuovo modo di stare nelle difficoltà, trasformandole in un anello di collegamento con una visione migliorativa e costruttiva del proprio processo di crescita, dov’è possibile riconciliare la fragilità emotiva con la dimensione prospettica della propria esistenza umana.
Giuseppe Crea, mccj
psicologo, psicoterapeuta