Omelia nel giovedì dopo Pasqua
2017/5, p. 12
Il Risorto che entra, a porte chiuse, nella casa dove
erano gli apostoli mi pare l’icona di quanto ci è più
necessario nel cammino di rinnovamento delle nostre
comunità e delle nostre vite.
Questo rinnovamento, infatti, ci chiede un impegno alla
comunione tra noi e con altri fratelli e sorelle.
È il Signore Gesù Risorto e Vivo la forza che ci permette
di credere possibile la nostra crescita in questo impegno
alla comunione.
È Lui che apre e ci permette di aprire le nostre porte per
incontrare altri fratelli e sorelle con cui camminare.
È Lui che è presente ed operante anche là ove i nostri
contesti comunitari e relazionali sembrano rimanere
chiusi.
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Omelia nel giovedì dopo Pasqua - Assemblea USMI
Il Risorto che entra, a porte chiuse, nella casa dove erano gli apostoli mi pare l’icona di quanto ci è più necessario nel cammino di rinnovamento delle nostre comunità e delle nostre vite.
Questo rinnovamento, infatti, ci chiede un impegno alla comunione tra noi e con altri fratelli e sorelle.
È il Signore Gesù Risorto e Vivo la forza che ci permette di credere possibile la nostra crescita in questo impegno alla comunione.
È Lui che apre e ci permette di aprire le nostre porte per incontrare altri fratelli e sorelle con cui camminare.
È Lui che è presente ed operante anche là ove i nostri contesti comunitari e relazionali sembrano rimanere chiusi.
È Lui che ci apre alla speranza di una nuova vita e di un mondo nuovo, dove la giustizia e la pace dominano lo spirito di vendetta la violenza insensata; dove il senso umanità e il rispetto dell’altro – nella sua identità e nella sua differenza – prevalgono sull’intolleranza egoista, immemore e prepotente, dove il piccolo e il povero riacquistano la loro dignità di fratelli e di figli dello stesso Padre.
Senza di Lui, vorrei dire senza la sua forza dirompente troppe porte restano penosamente chiuse, troppi muri eretti dalla fragile nostra umanità ci dividono in noi stessi e dagli altri.
Le nostre porte chiuse sono le resistenze, le barriere, le autoreferenzialità, che ci impediscono di aprirci al contesto nuovo, alla Grazia che lo Spirito ha preparato per i nostri giorni.
La forza del Risorto anzitutto ci libera dalla PAURA.
La paura è il più forte ostacolo tante volte all’amore e al dono.
Qualcuno ha detto che il contrario dell’amore non è l’odio, ma la paura.
Paura di noi stessi: non ce la faccio, non sono capace…
Paura del nostro passato: ho già provato tante volte, so che sbaglio, non mi fido…
Paura degli altri: cosa diranno, come giudicheranno quello che dico, quello che faccio…
Paura del futuro: saprò resistere, saprò essere fedele, sarò all’altezza? Sapremo preparare un futuro di speranza alle nostre giovani generazioni di consacrati e consacrate, a dispetto delle nostre fragilità? “Chi darà forza alle nostre braccia deboli e alle nostre ginocchia vacillanti?” …
L’incontro con Cristo libera la nostra povera umanità anzitutto dalla paura ed infonde coraggio, un coraggio nuovo, che si appoggia su di lui.
Il coraggio che sostiene Pietro nel camminare sulle acque agitate del lago quando guarda in faccia Gesù e dritto va verso di lui e che diventa paura e lo fa affondare e gridare “Aiuto” quando egli guarda se stesso e le onde che lo circondano e forse pensa che sta a galla per sua forza o suo merito!
Incontrare Cristo significa essere liberati dalla paura: quante volte nel Vangelo sentiamo questo invito: non temere, non avere paura.
Lo dice Gabriele alla Vergine di Nazareth: “Non temere Maria: tu hai trovato grazia presso Dio”.
Lo dice l’angelo anche a Giuseppe: “Non temere di prendere Maria come tua sposa: quel che nasce in Lei è opera dello Spirito Santo”.
Lo dicono gli angeli ai pastori: “Andate e non temete…”
Molte volte lo dice Gesù ai suoi discepoli, quando lo scambiano per un fantasma: Non temete…
L’abbiamo sentito anche nel vangelo di oggi: “Perché siete turbati e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? ” (Lc 24,38).
Lo dice rivolto ai discepoli di tutti i tempi, a noi: “Non temere piccolo gregge…”
Cristo dunque ci libera dalla paura e ci fa capaci di cose che da soli e contando sulle nostre forze mai ci sentiremmo in grado di fare.
Cristo è capace di oltrepassare le nostre barriere e i nostri limiti.
Egli entra nelle nostre comunità, anche se noi restiamo a volte chiusi in noi stessi; apre tutte le porte e la sua pace, che si fa presente in mezzo alla comunità, rinnova la vita di noi discepoli e ci fa rinascere una nuova fraternità.
Bellissime, al riguardo, le parole che il Papa ha pronunciato nella notte di Pasqua del 2008: “Tra l’io e il tu c’è il muro dell’alterità. Certo, nell’amore possiamo in qualche modo entrare nell’esistenza dell’altro. Rimane tuttavia la barriera invalicabile dell’essere diversi.
Gesù, invece, è in grado di passare non solo attraverso le porte esteriori chiuse, come ci raccontano i Vangeli. Può passare attraverso la porta interiore tra l’io e il tu, la porta chiusa tra l’ieri e l’oggi, tra il passato e il domani. […]
Possono separarci continenti, culture, strutture sociali o anche distanze storiche. Ma quando ci incontriamo, ci conosciamo in base allo stesso Signore, alla stessa fede, alla stessa speranza, allo stesso amore che ci formano.
Allora sperimentiamo che il fondamento delle nostre vite è lo stesso. Sperimentiamo che nel più profondo del nostro intimo siamo ancorati alla stessa identità, a partire dalla quale tutte le diversità esteriori, per quanto grandi possano essere, risultano secondarie. […]
Siamo in comunione a causa della nostra identità più profonda: Cristo in noi”.
Ma il Signore Risorto, quando si fa presente in mezzo ai suoi, non solo apre le porte del luogo nel quale erano rinchiusi…
“Apre la loro mente perché possano comprendere le Scritture”: così abbiamo sentito nel Vangelo di oggi.
Così la testimonianza dei due di Emmaus che erano tornati con gli altri fratelli della comunità perché il Risorto, aveva loro aperto gli occhi e il cuore, viene confermata dalla parola stessa del Maestro…
Il Cristo dunque non solo apre le porte, ma apre gli occhi, la mente, il cuore.
Sono gesti pieni di fascino e di attualità, per il cammino nostro di persone e di istituzioni in questo tempo santo e benedetto in cui il Signore ci ha chiamato a vivere.
Aprire porte, occhi, mente e cuore è necessario per noi perché ci sia “vino nuovo in otri nuovi”, “per assumere tutta una serie di necessarie diaconie innovative, che sono vissute fuori dagli schemi già collaudati del passato e devono necessariamente trovare accoglienza anche in strutture istituzionali nuove” (da “Vino nuovo in otri nuovi”, pag. 15).
Forse dobbiamo trovare anche il coraggio e l’illuminazione per “aprire” anche parole e antiche e nostre, che hanno bisogno di rigenerarsi e trovare nuova freschezza e nuovo senso.
La parola “carisma”, per esempio, chiede di rigenerarsi in una comprensione più ecclesiale, più comunionale, più oblativa che ci impegni tanto alla testimonianza quanto alla condivisione con altre vocazioni di questo dono che abbiamo ricevuto, e che non è solo per noi.
“Siamo chiamati a vivere di orizzonti più che di emergenze, ad avere visioni prima che programmi, ad immaginare percorsi e a non farci infettare dalla sindrome della “croce rossa”, cioè farci assorbire completamente nella rincorsa alla soluzione dei problemi” (Vino nuovo… pag 26-27).
Se noi ci guardiamo, con lucidità, dentro e intorno…. potremmo dirci: “Chi fortificherà le nostre ginocchia vacillanti?” (Is 35,3).
In questo laetissimum spatium che è il tempo di Pasqua risuona per noi la parola consolante del Risorto: “Pace a voi”.
Questa parola, realmente creduta, custodita, vissuta e condivisa, cancella la paura, la tristezza o la rassegnazione, invitandoci alla conversione più difficile e più bella, al necessario passaggio: aprire un varco nuovo nei nostri giorni, oltre la nube dell’incertezza, aprici alla gioia della vita risorta, che ci appartiene già in Cristo.
E così accogliere i nostri giorni come una benedizione, e, grazie alla parola del Cristo, farci capaci di benedirli.
In questi giorni santi di Pasqua non c’è responsabilità più grande per noi che quella di assimilare il mistero della Risurrezione per poterne diventare gioiosi e generosi annunciatori, come Pietro come gli apostoli.
Non si può vivere la Pasqua senza entrare nel mistero. Non è un fatto intellettuale, non è solo conoscere, leggere… E’ di più, molto di più!
Entrare nel mistero significa capacità di stupore, di contemplazione, capacità di ascoltare il silenzio e sentire il sussurro di un filo di silenzio sonoro in cui Dio ci parla.
Entrare nel mistero ci chiede di non avere paura della realtà: non chiudersi in sé stessi, non fuggire davanti a ciò che non comprendiamo, non chiudere gli occhi davanti ai problemi, non negarli, non eliminare gli interrogativi…
Entrare nel mistero significa andare oltre le proprie comode sicurezze, oltre la pigrizia e l’indifferenza che ci frenano, e mettersi alla ricerca della verità, della bellezza e dell’amore.
Si tratta di divenire persone sempre più capaci di accogliere la pace che il Signore Risorto ci dona, cioè persone di benedizione, pronte a riconoscere come dono ogni attimo, ogni incontro, ogni vicenda; a lasciarci benedire in un abbraccio di fiducia e di speranza che ci mette in relazione positiva fra noi e con Dio, datore di ogni benedizione.
Amen.
p. Mario Aldegani, FdM