Brena Enzo
Riportare Dio nella natura
2017/4, p. 30
A partire dal fondatore, sant’Ignazio, i gesuiti sono da sempre caratterizzati da un profondo amore per la natura, che deriva loro dagli Esercizi Spirituali. Per rispondere all’attuale crisi ecologica, hanno saputo integrare sapientemente l’attenzione al creato e la ricchezza della spiritualità ignaziana.

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L’impegno dei Gesuiti sul fronte ecologico
RIPORTARE
DIO NELLA NATURA
A partire dal fondatore, sant’Ignazio, i gesuiti sono da sempre caratterizzati da un profondo amore per la natura, che deriva loro dagli Esercizi Spirituali. Per rispondere all’attuale crisi ecologica, hanno saputo integrare sapientemente l’attenzione al creato e la ricchezza della spiritualità ignaziana.
Da tempo impegnati sul fronte ecologico, i gesuiti si sono sentiti interpellati dall’enciclica di papa Francesco Laudato si’. Proprio sulla questione ecologica – informa p. Leo D’Souza sj – hanno fatto convergere i lavori della Congregazione generale 36ª, unendo sapientemente l’attenzione al creato a un altro tema che la base delle Province e Regioni gesuite hanno ugualmente messo in evidenza, quello dell’integrazione spirituale ignaziana.
La crisi
è reale
Si parla di crisi ecologica da decenni, ormai. La questione è entrata nei libri di biologia, climatologia, botanica da ancor più tempo, ma una reale presa di coscienza della portata del problema e della sua soluzione è ancora lontana. I passi compiuti finora sono paragonabili all’aver affidato a un solo operatore ecologico la pulizia di un’intera metropoli!
Lo studio della situazione in cui versa il nostro pianeta ha messo in evidenza ragioni economiche, sociali, politiche e culturali alla base del problema. Biologi, economisti, sociologi e politici hanno riflettuto sulle cause del problema e sono giunti a varie soluzioni che, per essere applicate, hanno visto nascere organismi nazionali e internazionali che, a loro volta, hanno promosso incontri e conferenze: un enorme movimento organizzativo e burocratico che non ha portato a risultati degni di considerazione. Basti pensare alle recenti affermazioni del neopresidente statunitense Donald Trump, che considera del tutto marginali fenomeni e dati rilevati da chi da anni studia il problema.
Non solo le cose non migliorano, ma peggiorano. «Il rapporto della Convenzione sulla diversità biologica, il Global Biodiversity Outlook, asserisce che nonostante le numerose ed efficaci misure di conservazione a sostegno della biodiversità, nessuno degli obiettivi specifici è stato raggiunto e la perdita della biodiversità continua».
Nella sua enciclica Laudato si’, papa Francesco ha messo in risalto la «debolezza della reazione politica internazionale», in gran parte dovuta alla «sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza», per cui «troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti» (cfr. n. 54).
Sul versante politico internazionale, Christiana Figueres, segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCC), in un rapporto stilato prima del summit sui cambiamenti climatici di Parigi (2015), ha avvertito che il mondo deve fare di più che tenere sotto osservazione il riscaldamento globale: il contributo volontario promesso dai vari paesi circa il taglio di emissioni di diossido di carbonio è insufficiente a garantire l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi entro il 2100.
Le ragioni
di una crisi
L’ecologia è in crisi perché fino ad oggi ci si è occupati più delle conseguenze che delle cause del degrado ambientale. D’Souza mette a fuoco tre cause primarie del problema: il rifiuto di essere creature, l’egoismo e il consumismo.
La tentazione primordiale dell’uomo è stata ed è quella di non accettare di essere creatura, fatto a immagine e somiglianza di Dio, ma di voler essere Dio a se stesso, «considerarsi degli dei, dei maestri di noi stessi, decidere cosa è bene e cosa non lo è».
In campo ecologico ciò ha voluto dire stabilire quali piante sono buone e quali non lo sono, per cui «le foreste vengono distrutte per far crescere colture ad alto reddito». Ugualmente, in campo industriale, lo sviluppo gestito dal criterio del profitto porta le industrie a utilizzare i diversi elementi della terra per la manifattura dei prodotti «nonostante, durante il processo, gli scarti prodotti inquinino il suolo e l’aria con conseguenze sui cambiamenti climatici».
Il dato di fatto preoccupante è che chi ha il potere – il ricco – decide le proprie priorità incurante degli effetti deleteri che le sue decisioni hanno sul resto dell’ambiente e dell’umanità, in termini di sostentamento, salute, distribuzione delle risorse e delle opportunità. «Giocando a fare Dio, l’essere umano ha rifiutato o dimenticato la verità: il suo essere creatura. Quando una persona rinuncia all’umiltà di ammettere questa verità, perde il vincolo della pace col creatore, con se stesso, con gli altri e con il resto del creato».
Ma il cuore della crisi ambientale, secondo p. D’Souza, è l’egoismo. «La mentalità “me, mio, non m’importa degli altri” è oggi molto diffusa a livello personale, comunitario, nazionale e internazionale». Da questo atteggiamento deriva il rifiuto di aderire ai trattati internazionali sui cambiamenti climatici, così come di accogliere i rifugiati per paura che la nostra economia e i nostri vantaggi vengano compromessi.
Sulla stessa linea può collocarsi la gestione dei rifiuti (medici, elettronici, nucleari...) che spinge a pagare i paesi poveri perché li accolgano sul loro territorio. E, alla stessa stregua, va pensata la prassi della distruzione dei prodotti per mantenere alti i prezzi. L’accumulo di ricchezze e la mancanza di condivisione manifesta un’avidità che «conduce allo sfruttamento e all’ingiustizia».
Questo stato di cose è divenuto talmente abituale per le nostre società tecnologicamente evolute, che anche a noi consacrati sono necessari «molto discernimento e onestà per individuare e accettare le zone di egoismo presenti nelle nostre vite a livello personale e comunitario».
La causa più rilevante del degrado ambientale, invece, è il consumismo. «Vivere l’oggi utilizzando al massimo le risorse del mondo senza pensare al domani è stato lo stile di pensiero e di azione dell’uomo. È l’attuale cultura del supermercato, che offre merci di cui non si ha realmente bisogno».
Il mondo occidentale – ma ormai dovremmo dire globalizzato – è salito da decenni sulla giostra della cultura consumista, e non è più in grado di scendere. Ormai «abbiamo bisogno che le cose vengano consumate, bruciate, logorate, sostituite, scartate a una velocità sempre maggiore», scriveva un analista di mercato americano nel 1955!
La cultura del consumo, ben istruita e governata dalla televisione, ha condotto persone e culture a una tale semplificazione della vita che vede gli esseri umani in seria difficoltà a usare la propria intelligenza per un discernimento giocato su criteri diversi dal semplice utilitarismo soggettivo. «Anche noi religiosi siamo figli di questo mondo che ci bombarda con messaggi di ogni genere e assorbiamo questi valori. La mania per i prodotti elettronici più recenti, specialmente per quelli che danno accesso ai social media, è oggi concreta e diffusa perfino tra i religiosi».
Priorità:
conversione!
Come si può intuire, afferma p. D’Souza, questa crisi di portata planetaria non può essere risolta senza mezzi soprannaturali. Come ricorda papa Francesco, e prima di lui papa Giovanni Paolo II, la risposta cristiana «è una conversione ecologica laddove gli effetti dell’incontro con Gesù Cristo diventano evidenti nella relazione con il mondo che ci circonda».
Il contributo specifico dell’enciclica Laudato si’ sta proprio in questo: papa Francesco ha compendiato il linguaggio politico, economico e scientifico sul tema ma è andato oltre, introducendo in modo deciso e sistematico il linguaggio della fede. Questo accento particolare appartiene alla formazione spirituale gesuita, nella quale anche il papa si è formato.
A partire dal fondatore, sant’Ignazio, i gesuiti sono da sempre caratterizzati da un profondo amore per la natura, che deriva loro dagli Esercizi Spirituali. Ovunque si sono recati, i gesuiti hanno unito al compito primario dell’evangelizzazione un vivo interesse per il territorio, che studiavano nei suoi particolari geografici, «tracciando i fiumi fino alla loro origine, catalogando piante e animali e osservando come i nativi li utilizzassero nell’alimentazione e nella medicina».
In America latina i missionari gesuiti «si schierarono con gli indigeni che venivano sfruttati e derubati dai colonialisti invasori, organizzando per loro cooperative agricole e commerciali. Ciò fu fatto anche a spese della Compagnia che venne soppressa da forze potenti e influenti che accusavano i gesuiti di sedizione».
In India i gesuiti si sono sempre impegnati in complesse questioni ambientali. Attualmente, «la maggior parte delle Province dei gesuiti ha una commissione che si occupa di ecologia con il compito di supervisionare, monitorare e guidare le iniziative ecologiche della Provincia». Importanti ambiti che vedono impegnati i gesuiti nel Paese riguardano la tassonomia, la biodiversità e l’etnobotanica, «campi fondamentali per la salvaguardia e la moltiplicazione su larga scala delle piante a rischio, per l’imboschimento delle aree degradate e la loro bonifica biologica».
Nulla da eccepire sulle iniziative concrete realizzate e in realizzazione, ma c’è bisogno di andare più in profondità, al cuore del problema. Le cose fatte finora – secondo p. D’Souza – «non hanno portato a una conversione del cuore. Non abbiamo abbandonato le nostre comodità. Il nostro stile di vita personale è cambiato molto poco. Non possiamo certo dire di condurre una vita semplice». Uso razionale dell’acqua, limitare la produzione di rifiuti, uso attento dell’energia, non utilizzare l’auto per brevi distanze: sono solo alcuni esempi che ci ricordano la necessità di passare dall’ammirazione per certe intuizioni a un impegno radicale di cambiamento dello stile di vita degno di un discepolo di Gesù.
«In un mondo in cui la povertà colpisce l’esistenza di milioni di persone, noi viviamo ancora una vita alquanto sicura e comoda, poco preoccupati dei poveri.
Aiuti per
la conversione
Papa Francesco chiede una Chiesa povera per i poveri», e ciò richiede un profondo cambiamento del cuore. E «non è offrendo una guida economica, sociale o politica, e nemmeno morale che realizzeremo questo cambiamento del cuore. (...) Abbiamo distrutto questo mondo creato da Dio e vorremmo rimetterlo a posto senza il suo aiuto. Dobbiamo rimettere Dio nell’ambiente, per poterlo salvare».
P. D’Souza suggerisce tre mezzi già presenti nella nostra vita, ma non adeguatamente utilizzati per la specifica conversione “ecologica” necessaria oggi.
La liturgia delle ore è il primo di questi mezzi, ogni giorno nelle mani dei consacrati. «Questi salmi fanno costantemente riferimento alla potenza, grandezza e sacralità della creazione di Dio. Questa preghiera può essere utile ad evocare reverenza e rispetto per la bontà della creazione di Dio».
L’eucaristia quotidiana, centro della nostra vita, è un altro mezzo per la conversione che ci permette di riconoscere la presenza di Dio nelle nostre lotte e gioie quotidiane. Citando un teologo carmelitano, p. Tony Mazurkievicz, D’Souza sottolinea la contraddizione intrinseca tra quanto celebriamo nell’eucaristia e la stoltezza di un comportamento che distrugge le specie della natura o che non tiene conto dell’inquinamento atmosferico. Quando nel Padre nostro diciamo “dacci oggi il nostro pane quotidiano” «la nostra preghiera diventa efficace solo se abbiamo l’umiltà di accomunarci non solamente agli altri esseri umani ma di legarci a tutte le creature che si rivolgono al Padre per il loro nutrimento quotidiano».
La predicazione è il terzo strumento disponibile per la conversione. Bisogna «stimolare la razza umana ad ancorarsi alla terra e ad abbracciare la crisi ecologica», ricordando che non è l’uomo il signore della creazione, ma Dio, che vuole la vita di ogni creatura. Dio desidera che l’uomo torni sui suoi passi e viva. «Oggi abbiamo bisogno di persone che non si limitino a deplorare la distruzione dell’ambiente, ma che infondano speranza», mostrando come tra ecologia e religione non vi sia separazione, ma unità profonda poiché «il creato appartiene a Dio e non è fatto per la dominazione o lo sfruttamento dell’uomo».
Enzo Brena