Ferrari Matteo
Questa è la notte
2017/4, p. 16
Nella Notte santa, alla luce del cero pasquale, la Chiesa si mette in ascolto della Parola di Dio in tutte le sue forme. La Veglia diviene così anche per i credenti una scuola di ascolto della Parola. Ed è da qui che bisogna partire per comprendere il tempo di Pasqua.

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Pasqua - Veglia pasquale
QUESTA
È LA NOTTE
Nella Notte santa, alla luce del cero pasquale, la Chiesa si mette in ascolto della Parola di Dio in tutte le sue forme. La Veglia diviene così anche per i credenti una scuola di ascolto della Parola. Ed è da qui che bisogna partire per comprendere il tempo di Pasqua.
Per comprendere il tempo di Pasqua occorre partire dalla sua fonte, che è la Veglia pasquale. Nella Veglia accanto all’ambone, luogo della proclamazione della Parola, splende il cero pasquale, alla luce del quale la Chiesa leggerà le Scritture sante in questa celebrazione, ma anche per tutto il tempo di Pasqua fino al “compimento” della Pentecoste. Così come nella Veglia appare chiaramente che le Scritture vengono lette alla luce di Cristo a partire dalla creazione fino all’annuncio del dono di “un cuore nuovo” da parte di Ezechiele profeta e alla narrazione della scoperta della tomba vuota nel brano evangelico, alla stesso modo la Chiesa impara il suo modo di mettersi in ascolto della Parola di Dio. È un lungo cammino, il cammino della storia, il pellegrinaggio delle “quattro notti”, letto alla luce della Pasqua di Israele e di Gesù. In questo cammino si inserisce anche l’“oggi” della Chiesa e dell’umanità che vede realizzarsi nel presente della celebrazione ciò di cui fa memoria e ciò che attende.
Purtroppo il Lezionario liturgico ha scelto di non leggere testi del Primo Testamento nel tempo di Pasqua. Si tratta di una assenza molto pesante, dal momento che il Signore Gesù è morto e risorto «secondo le Scritture», come afferma l’Apostolo (1Cor 15,3-4). In questo modo manca nella liturgia del Tempo pasquale un elemento molto importante del mistero che si celebra e della modalità di leggere le Scritture che la Veglia pasquale ci fa sperimentare.
Partiamo quindi dalla Veglia per introdurci nella celebrazione del mistero della Pasqua del Signore che il Triduo pasquale e il Tempo di Pasqua ci fanno vivere nei suoi aspetti particolari.
Le sfumature
della Parola
La liturgia della Parola della notte di Pasqua è particolare perché in essa la Parola di Dio risuona in tutte le forme nelle quali risuona e si incarna nella Bibbia. Infatti nelle Scritture ebraico-cristiane la Parola di Dio non è contenuta in un’unica forma, ma nella pluralità che il Canone biblico ci ha tramandato. Nella Scrittura innanzitutto Dio ci parla nella storia e negli eventi che in essa si realizzano. Questo aspetto lo troviamo nella Torah nella quale Dio è colui che crea, libera e salva. Nella seconda parte del canone biblico, seguendo la distribuzione ebraica dei libri, Dio si rivela nei profeti come colui che parla. Una parola di Dio capace di illuminare e di interpretare la storia. Poi abbiamo gli Scritti, nei quali la Parola di Dio si comunica nella sapienza umana e illumina la vita concreta. Nella terza parte del canone biblico troviamo la Parola di Dio anche nella parola che l’uomo rivolge a Dio stesso, in modo particolare nei Salmi. Infine, in quello che per i cristiani è il Nuovo Testamento, la Parola di Dio si incarna e risuona nella carne del Figlio, che ha posto in mezzo a noi la sua tenda.
Nella liturgia della Parola della Veglia troviamo dunque tutte le sfumature e le forme in cui la Parola di Dio si è comunicata e si comunica all’umanità: nella Toràh (Genesi, Esodo), nei Profeti (Isaia, Baruc, Ezechiele), negli Scritti (Salmi), nel Nuovo Testamento (Romani e Vangelo). In questa Notte santa, alla luce del cero pasquale, la Chiesa si mette in ascolto della Parola di Dio in tutte le sue forme. Per questo la Veglia diviene anche per i credenti una scuola di ascolto della Parola.
Iniziando
dalla fine
Volendo percorrere brevemente l’itinerario che la liturgia della Parola della Veglia ci fa compiere e cogliere il senso pasquale che ne emerge, è fruttuoso partire dalla fine. Cioè non partiamo dalla prima lettura (creazione), ma dal racconto della cena nella liturgia eucaristica. Come la Cena ha aperto il Triduo, così la Cena lo conclude. La Cena è custode del senso della Pasqua di Gesù, perché è lui stesso che ce l’ha consegnata per custodire la sua memoria in mezzo a noi. Così non possiamo leggere le pagine di Scrittura che troviamo nella Veglia senza partire dai gesti e dalle parole che il Signore ci ha lasciato, per comprendere il suo mistero pasquale e anche il senso della nostra vita di battezzati.
Poi troviamo due passi del Nuovo Testamento. L’annuncio della risurrezione del Signore secondo Matteo (vangelo dell’anno A: Mt 28,1-10) e un brano della Lettera ai Romani (epistola: Rm 6,3-11). Nel primo si annuncia l’evento: delle donne ormai senza speranza, che vanno alla tomba per trovare un cadavere. Avevano sperato in Gesù e posto in lui la loro speranza, ma ora è tutto finito e non resta che andare a visitare una tomba. Le donne però scoprono l’inedito, la novità di Dio. Matteo sottolinea rispetto agli altri evangelisti il carattere apocalittico della apparizione dell’angelo alle donne. Di fronte a loro l’angelo fa rotolare la pietra che chiudeva l’ingresso della tomba e vi si siede sopra, quasi ad annunciare con questo gesto la vittoria di Dio sulla morte. In Luca risuona una domanda: «Perché cercate il vivente tra i morti?» (Lc 24,5). Perché cercate lì dove non potete trovare? Perché cercate nel posto sbagliato, con uno sguardo sbagliato? Perché non ricordate le sue parole, la sua Parola? In Matteo no. L’angelo afferma di sapere che le donne cercano «Gesù, il crocifisso» e che egli non è qui. Noi spesso cerchiamo Dio nei nostri luoghi di morte, ma l’angelo afferma: «non è qui». Dio è sempre «altrove» rispetto alle nostre attese, e ci precede nella nostra ricerca di incontro con lui: «vi precede in Galilea; là lo vedrete!».
Se il testo evangelico annuncia l’evento della risurrezione del Signore, il brano della Lettera ai Romani, facendo riferimento al Battesimo, ci dice che cosa c’entra con noi quell’evento. Paolo annuncia ai credenti che quell’evento deve suscitare ancora oggi in noi una profonda emozione, come lo ha suscitato nei primi cristiani. Anche noi siamo “con-sepolti” con Cristo, per essere con lui risuscitati. Paolo ci invita a leggere la Pasqua di Gesù come un fatto che ci riguarda. Questo rapporto tra vangelo ed epistola, in fondo, illumina tutta la liturgia della Parola della Veglia pasquale: infatti ogni lettura che viene proclamata è da leggersi in quest’ottica battesimale, verso la quale la lettura tratta dalla Lettera ai Romani ci guida. L’ottica cioè di una storia di salvezza che tocca e incrocia oggi la vita della Chiesa e dei credenti.
I testi profetici:
l’azione di Dio nella storia
Andando sempre indietro troviamo quattro letture profetiche: una di Ezechiele (Ez 36,16-17a.18-28), una di Baruc (3,9-15.32-4,4) e due di Isaia (Is 55,1-11; Is 54,5-14). Ezechiele è come il culmine di questa parte profetica della liturgia della Parola. Il passo 36,16-38 si situa in un contesto di rinnovamento: un rinnovamento che raggiunge l’uomo fin nel suo intimo. Il prologo storico (vv. 17-29) ci parla di una storia di peccato e di ribellione. Come dice Luis Alonso Schökel tutto sembra poggiare su un prologo di peccati. Di fronte a questa storia Dio non agisce “mosso dal peccato”, ma “per se stesso”, per santificare il suo nome. Non siamo davanti all’affermazione di un Dio “egoista”, ma al liberante annuncio della assoluta gratuità dell’agire di Dio: è l’amore di cui parla Paolo in Rm 5,8: mentre eravamo peccatori Dio ha manifestato il suo amore, perché Cristo è morto per noi.
Questo testo di Ezechiele diviene manifestazione del senso della Pasqua come azione gratuita di Dio, che sempre si rinnova nella storia nonostante il peccato e l’infedeltà degli uomini. La parola profetica applica questo annuncio ad ogni momento della storia umana, che può essere rinnovata dallo Spirito (ruach) creatore di Dio.
I due passi di Isaia, da una parte, presentano Dio come lo sposo del suo popolo (IV lettura), dall’altra, annunciano una alleanza eterna che intende stabilire con Israele. Sono testi che cantano la fedeltà e l’amore di Dio che non può abbandonare il suo popolo. C’è una efficacia della Parola di Dio che nulla può fermare, così come la pioggia e la neve non possono cadere sulla terra senza effetto, senza fecondarla e farla germogliare. È uno sguardo sulla storia umana trasfigurato dalla fedeltà di Dio.
La Torah:
le notti di Dio
Poi abbiamo una terza parte della liturgia della Parola, che potremmo intitolare: le notti di Dio (cf. il “Poema delle quattro notti” nel Targum di Es 12). Qui troviamo, andando sempre a ritroso, il passaggio del Mar Rosso (Es 14,15-15,1), la prova di Abramo (Gn 22,1-18), la creazione (Gn 1,1-2,4a). Si va dalla liberazione alla creazione.
Innanzitutto troviamo l’annuncio di un Dio che libera e salva (III lettura). L’evento del passaggio del mare avviene perché è opera di Dio: questo è uno dei messaggi principali del testo. Non si tratta di una conquista dell’uomo, non è Israele che combatte e vince il suo avversario, come capiterà in altre occasioni dove pure egli vedrà all’opera la mano del suo Dio, ma qui il popolo è “spettatore” di un Dio che “combatte per lui”.
Nel brano della prova di Abramo (II lettura) troviamo il tema della promessa di Dio, che riguarda non solo la vita del Patriarca, ma anche dell’intero popolo di Dio. Nel contesto della Veglia pasquale possiamo sottolineare un aspetto importante che alcuni commentatori hanno osservato riguardo a questo testo (André Wénin). La promessa di Dio è una prova per Abramo: che cosa farà della realizzazione della parola che Dio ha pronunciato per la sua vita? Anche per noi vale la medesima cosa: di fronte al dono di Dio, alla vita nuova della Pasqua di Gesù, come ci comporteremo? Sapremo spendere fino in fondo la nostra vita o cercheremo di aggrapparci gelosamente ad essa?
Infine abbiamo il racconto della creazione (I lettura). A questo punto è chiaro che non possiamo leggere questo testo nella Veglia pasquale senza pensare alla nuova creazione che è stata inaugurata dalla Pasqua di Cristo. Non dimentichiamo che il primo giorno dopo il sabato è anche il giorno in cui Dio ha dato inizio alla creazione, separando la luce dalle tenebre. Leggere il racconto della creazione alla luce del cero pasquale, ci deve spingere a non fermarci a pensarla solamente come ciò che è accaduto all’inizio, ma anche come annuncio di ciò che dovrà realizzarsi alla fine. Nella creazione è il sogno di Dio, la nuova creazione in Cristo, che viene annunciata all’assemblea liturgica radunata per la Veglia di Pasqua.
Notte custode
di un “segreto”
Nel canto dell’Exultet si ricorda un fatto singolare della fede cristiana. Questa notte è la sola che ha conosciuto i tempi e l’ora in cui Cristo è risorto. Questa notte custodisce per noi un “segreto” che nessuno conosce. Nessuno dei Vangeli, infatti, e nessun scritto del Nuovo Testamento ci narra l’evento della risurrezione di Gesù. Il centro della nostra fede, l’evento più importante sul quale si fonda la fede cristiana non è stato descritto da nessuno, da nessuno è stato visto: solo questa notte ne custodisce per noi il mistero. In essa ognuno può diventare “testimone oculare” di ciò che occhio non vide né orecchi udì (1Cor 2,9).
Matteo Ferrari
monaco di Camaldoli