Dall'Osto Antonio
"Laggiù c'è una situazione terribile"
2017/4, p. 12
I vescovi del Sud Sudan hanno scritto un Messaggio pastorale per denunciare al mondo la grave situazione in cui versa il loro paese, per sollecitare i responsabili a mettere fine alla guerre e ai soprusi. E dicono di aspettare con ansia e speranza il viaggio del Papa.

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Il Sud Sudan aspetta il Papa
“LAGGIÙ C’È
UNA SITUAZIONE TERRIBILE”
I vescovi del Sud Sudan hanno scritto un Messaggio pastorale per denunciare al mondo la grave situazione in cui versa il loro paese, per sollecitare i responsabili a mettere fine alla guerre e ai soprusi. E dicono di aspettare con ansia e speranza il viaggio del Papa.
Il 26 febbraio scorso, papa Francesco durante la visita alla parrocchia anglicana di Roma, “All Saints”, ha annunciato di avere in programma un viaggio in Sud Sudan perché, ha detto «laggiù c’è una situazione terribile». La decisione fa seguito all’invito rivoltogli, a fine ottobre, dall’arcivescovo di Juba, Paulino Lukudu Loro, che assieme all’arcivescovo della Provincia episcopaliana del Sud Sudan, Daniel Deng Bul Yak, e al moderatore della Chiesa presbiteriana del Sud Sudan, Peter Gai Lual Marrow, incontrandolo in Vaticano, gli avevano illustrato la gravissima situazione del Paese, e chiesto di rivolgere un appello al governo e alla comunità internazionale. «Sono venuti da me – ha affermato il papa – e mi hanno detto: “venga, ma non da solo, venga con l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby”».
Sarà un viaggio breve, di un solo giorno, e avrà un carattere profondamente ecumenico, oltre che caritativo e c’è da sperare che porti sollievo a una popolazione ridotta allo stremo. Le organizzazioni umanitarie che lavorano laggiù parlano infatti di “bisogni senza precedenti” del paese, devastato da una guerra civile che dura da tre anni e in preda a una crisi umanitaria classificata come la più grave dell’Africa e la terza nel mondo, dopo quelle della Siria e dell’Afghanistan».
Stando a quanto hanno affermato di recente le ONG che agiscono sul campo, vi sono oltre 5 milioni di sud sudanesi che hanno urgente bisogno di aiuti umanitari e almeno 1,2 milioni di civili che si sono rifugiati nei Paesi limitrofi. Gran parte dei profughi si sta spostando a sud, in Uganda, dove i campi sono al limite della capienza. La gente è vulnerabile, affamata e debole: soprattutto donne e bambini stanno morendo durante il cammino.
L’attuale crisi alimentare è la conseguenza di vari fattori: la siccità, l’economia al collasso, ma soprattutto la guerra civile, iniziata nel dicembre 2013 e terminata nel 2016 con l’attuazione di un accordo di pace fragile. Ma, nonostante le numerose tregue, e la firma di accordi di pace nell’agosto del 2015, scrive la rivista Nigrizia (16 febbraio 2017), gli scontri tra l’esercito governativo e i gruppi ribelli – se ne contano ormai almeno 7 più o meno alleati tra loro – non sono mai veramente cessati.
Il messaggio pastorale
dei vescovi
L’attuale “terribile” situazione, come l’ha definita il papa, è dettagliatamente descritta nel messaggio pastorale che i vescovi hanno indirizzato a tutti i fedeli del Paese, nell’incontro avuto a Giuba il 21-23 febbraio 2017, a cui ha partecipato anche il Nunzio apostolico del Sud Sudan e Kenya, l’arc. Charles Daniel Balvo. Il messaggio si ispira alle parole del profeta Isaia – da cui prende anche il titolo – citate dagli evangelisti Matteo e Marco, “Una voce grida nel deserto”. Ma è una voce che non trova ascolto. Infatti «noi, vescovi del Sud Sudan, – è detto – abbiamo spesso scritto messaggi pastorali per sollecitare il cambiamento nella nostra nazione, ma sembra che abbiano avuto poco effetto». Durante l’incontro «abbiamo letto i “segni dei tempi” e ascoltato ciò che Dio ci sta dicendo attraverso la situazione concreta in cui ci troviamo. Abbiamo ascoltato delle relazioni inquietanti delle sette diocesi di tutto il paese e abbiamo riflettuto su come rispondere».
La situazione
nel Paese
«Il nostro paese – sottolineano i vescovi – non è in pace. La gente vive nella paura. La guerra civile che è, come abbiamo spesso affermato, senza giustificazione di alcun genere, prosegue. Nonostante i nostri inviti a tutti i partiti, alle fazioni e agli individui a fermare la guerra, le uccisioni, gli stupri, i saccheggi, i dislocamenti, gli attacchi alle chiese e la distruzione della proprietà continuano in tutto il paese. In alcune città regna la calma, ma l’assenza di sparatorie non significa che è giunta la pace. In altre città, i civili sono di fatto intrappolati all’interno della città per l’insicurezza che regna nelle strade circostanti».
«Ciò che preoccupa maggiormente è il fatto che molta violenza è perpetrata dal governo e dalle forze di opposizione contro i civili... Gli abitanti vengono uccisi, stuprati, torturati, bruciati, picchiati, vessati, evacuati dalle loro case e impediti a mietere i loro raccolti. Alcune città sono diventate “città fantasma”, vuote, eccetto che per le forze di sicurezza e forse per i membri di una fazione o tribù. Perfino quando sono fuggiti nelle nostre chiese o nei campi dell’ONU, in cerca di protezione, sono ancora vessati dalle forze di sicurezza. Molti sono stati costretti a rifugiarsi nei paesi vicini in cerca di protezione. Anche se le autorità dicono che sono liberi di tornare alle loro case, in pratica essi hanno paura di farlo. In alcuni luoghi la distruzione è stata definita “terra bruciata”; la gente che cosa ha lasciato per tornare? Tutto ciò è una specie di “punizione collettiva”, messa fuori legge come crimine di guerra dalle Convenzioni di Ginevra.
Il livello di odio collegato col conflitto sta crescendo. Mentre si sa che i soldati in battaglia uccidono altri soldati, l’uccisione, la tortura e lo stupro dei civili è un crimine di guerra. Inoltre, non solo sono uccisi, ma i loro corpi vengono mutilati e bruciati. La gente è stata rinchiusa nelle proprie case che sono poi state date alle fiamme per bruciare gli occupanti e i loro corpi gettati nelle fogne. C’è una mancanza generale di rispetto della vita umana.
Gli autori di questi crimini, i cosiddetti “uomini armati sconosciuti”, che vestono di solito in uniforme ma sono generalmente conosciuti, agiscono nell’impunità. Noi stiamo ancora aspettando giustizia per l’assassinio della nostra cara suor Veronica, una dottoressa uccisa da soldati mentre guidava un’ambulanza con la scritta ben visibile, il 16 maggio 2016. I suoi assassini sono stati arrestati, ma non abbiamo saputo più niente e aspettiamo che si faccia giustizia».
«Il nostro paese – prosegue il messaggio – è avvinto da una crisi umanitaria: carestia, insicurezza e difficoltà economica. La nostra gente lotta semplicemente per vivere. Benché in molte parti del paese le piogge siano state scarse, è fuor di dubbio che la carestia è dovuta all’uomo, all’insicurezza e a una scadente gestione economica. La fame, a sua volta, crea insicurezza, in un circolo vizioso in cui la persona affamata, soprattutto se ha un fucile, può ricorrere al saccheggio per nutrire se stessa e la sua famiglia. Milioni di persone ne sono colpite, un gran numero sono sfollati dalle loro case e molti sono fuggiti nei paesi vicini dove devono far fronte a terribili stenti nei campi profughi».
«Siamo preoccupati – proseguono i vescovi – che alcuni elementi del governo sembrano essere diffidenti verso la Chiesa. In alcune zone, la Chiesa ha potuto farsi mediatrice di accordi locali di pace, ma questi possono essere facilmente compromessi se dei funzionari del governo vengono rimossi e sostituiti con dei sostenitori della linea dura che non gradiscono gli sforzi di pace della Chiesa. Sacerdoti, suore e altro personale sono oggetto di vessazioni. Alcuni nostri programmi radio sono stati rimossi e alcune chiese bruciate.
Meno di due settimane fa, il 14 febbraio, alcuni funzionari di sicurezza hanno cercato di chiudere la nostra libreria cattolica. Hanno maltrattato il nostro personale e confiscato numerosi libri. La delegazione ecumenica dei capi della chiesa che ha visitato il papa Francesco a Roma e l’arcivescovo Justin Welby a Londra hanno cercato di ottenere un incontro con il presidente Salva Kiir fin dal dicembre 2016, ma finora senza successo. Sentiamo della gente dire che “la Chiesa è contro il governo”. Vogliamo informare tutti voi che la Chiesa non è con nessuno né contro nessuno, neanche contro il governo o l’opposizione. Noi siamo per tutte le cose buone – pace, giustizia, amore, perdono, riconciliazione, dialogo, legalità, buon governo – e contro il male – violenza, uccisioni, stupri, tortura, saccheggio, corruzione, detenzione arbitraria, tribalismo, discriminazione, oppressione – indipendentemente da chi sono e chi li pratica. Siamo pronti a dialogare con e tra il governo e l’opposizione, in qualsiasi momento».
Il cammino
che ci sta davanti
«Pubblichiamo questo messaggio alla gente del Sud Sudan – scrivono i vescovi – ma lo rivolgiamo anche ad altri compresa la comunità internazionale. Vogliamo che il mondo conosca la vera situazione in cui si trova la nostra gente. Il papa Francesco, ieri 22 febbraio 2016, dal Vaticano ha lanciato un appello per il Sud Sudan. Noi abbiamo incaricato la nostra Caritas del Sud Sudan e chiesto ai nostri partner della Caritas Internazionale di agire urgentemente per alleviare la crisi umanitaria nel Paese e invitiamo il resto della comunità internazionale a fare altrettanto.
Coloro che possono fare dei cambiamenti per il bene del nostro popolo non hanno ascoltato i nostri messaggi pastorali precedenti. Questa volta vogliamo agire più d’anticipo in modo concreto. Assieme alle altre chiese, attraverso il Piano di Azione per la pace (APP) del nostro Consiglio delle chiese del Sud Sudan (SSCC) abbiamo l’intenzione di incontrare a faccia a faccia non solo il Presidente ma anche il vice presidente, i ministri, i membri del parlamento, i leader di opposizione e i politici, gli ufficiali dell’esercito di tutte le parti, e chiunque altro pensiamo abbia il potere di cambiare in meglio il nostro paese. Vogliamo incontrarli, non solo una volta, ma ripetutamente fin tanto che sarà necessario, dicendo che abbiamo bisogno di vedere l’azione, non tanto il dialogo per il dialogo».
I vescovi citano a questo punto l’episodio del Vangelo narrato da Gesù: “In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: «Fammi giustizia contro il mio avversario». Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”» (Lc 18, 2-5). «Come quella vedova, vogliamo continuamente importunare i responsabili del nostro paese».
Inoltre, «con le chiese nostre partner nel Consiglio sud sudanese delle Chiese (SSCC ) e con quelle dei nostri paesi vicini come il Kenya, Uganda, Etiopia e Sudan, vogliamo che la situazione della nostra gente giunga ai governi di questi paesi perché abbiano a comprenderla e a compiere le scelte giuste per migliorarla... Quando incontreremo i leaders di ciascun paese saremo accompagnati dai cardinali e dai loro vescovi».
Conclusione
«Noi siamo la Chiesa; siamo i pastori» – concludono i vescovi. «Invitiamo tutti ad essere spiritualmente forti e a usare moderazione, tolleranza, perdono e amore; a lavorare per la giustizia e la pace; a rifiutare la violenza e la vendetta. Noi siamo con voi. Abbiamo sentito ciò che Dio ci dice attraverso di voi e le vostre sofferenze concrete e parlandone nella nostra pubblica lettera pastorale le rendiamo note al mondo. Continueremo a essere “la voce che grida nel deserto”. Vogliamo darvi la speranza che non siete abbandonati e che lavoriamo per risolvere la situazione a molti livelli diversi».
Il messaggio termina annunciando “con grande gioia” la volontà del papa di compiere il viaggio in Sud Sudan, e aggiunge: «Il santo Padre è molto preoccupato per le sofferenze della gente del Sud Sudan. Voi siete già presenti nelle sue preghiere, ma la sua venuta sarà un simbolo concreto della sua premura paterna e della sua solidarietà con le vostre sofferenze. Attirerà l’attenzione del mondo intero sulla situazione di qui. Vi invitiamo a iniziare un programma di preghiera perché questa visita possa realizzarsi. Usiamo fruttuosamente i prossimi mesi per iniziare la trasformazione della nostra nazione».
A.D.