Albanesi Vinicio
Lezioni da imparare
2017/3, p. 25
La storia di Emmanuel è tragica. Per la sua morte, per le circostanze in cui è avvenuta, per il persecutore. Un sogno infranto, una donna lasciata sola, un clima ostile, un suo persecutore nemmeno cosciente di come agiva e di che cosa è responsabile.

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Testimoni
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La vicenda di Emmanuel Chidi Nanmadi
LEZIONI
DA IMPARARE
La storia di Emmanuel è tragica. Per la sua morte, per le circostanze in cui è avvenuta, per il persecutore. Un sogno infranto, una donna lasciata sola, un clima ostile, un suo persecutore nemmeno cosciente di come agiva e di che cosa è responsabile.
Il 18 gennaio di quest’anno il Tribunale di Fermo, ha accettato il patteggiamento per l’omicidio preterintenzionale di Emmanuel Chidi Nanmdi, nigeriano di 36 anni, giunto in Italia come rifugiato, insieme alla sua compagna Chiniery, condannando Amedeo Mancini, autore dell’aggressione a quattro anni, per omicidio preterintenzionale a sfondo razzista.
La vicenda
Il 5 luglio 2016 Emmanuel e Chiniery percorrono, nel primo pomeriggio, una via centrale della città di Fermo in cerca di una crema solare. Amedeo Mancini intercetta i due, seduto su un sedile in una panchina insieme ad un suo amico, e senza alcun motivo, apostrofa la ragazza come “scimmia africana”. Ad alta voce e più volte. Emmanuel non comprende l’insulto; è la donna che spiega a Emmanuel il significato delle parole. Il giovane reagisce. I dettagli di questi momenti non sono stati mai chiariti. Di fatto un pugno di Amedeo Mancini alla mandibola di Emmanuel lo stende, cade a terra, batte la nuca e va in coma irreversibile. Morirà poco dopo, senza riprendere conoscenza.
La stampa locale da subito vuole accreditare la tesi di una zuffa finita male: una disgrazia non voluta tra un italiano e un rifugiato nero. Reagisco pubblicamente perché Emmanuele e Chiniery, ospiti nel seminario di Fermo, a nome della Fondazione diocesana “Caritas in veritate”, erano stati insultati gratuitamente ed Emmanuel era stato vittima di azione violenta fino alla morte, senza alcun motivo.
Mercoledì 7 luglio alle 21 è indetta una veglia di preghiera presso il Seminario: partecipa il Vescovo e preghiamo con tutti gli ospiti del Seminario (oltre un centinaio), alcuni sacerdoti e molti giovani di organizzazione cattoliche della Diocesi.
La morte di Emmanuel ha rilevanza nazionale nella stampa e nelle tv, anche perché il giovedì, prima dei funerali, l’allora Ministro dell’Interno partecipa a Fermo a una riunione presso la Prefettura. Il funerale è celebrato in Duomo il sabato successivo 9 luglio. Al funerale partecipano autorità nazionali, europee, regionali e comunali: (per la Camera dei Deputati la Presidente Laura Boldrini, per il Governo l’on. Boschi, per il Parlamento europeo il Vice Presidente David Sassoli e la deputata Cécile Kashetu Kyenge, autorità regionali, il Sindaco della città).
Il feretro viene riposto nella cappella del Cimitero di Fermo. Ciniery vuole che la salma sia rimpatriata in Nigeria. In seguito sarà tumulata in un loculo del Cimitero di Capodarco in attesa di essere trasferita. Una manifestazione pubblica si svolge il lunedì successivo 11 luglio, con la partecipazione di molte associazioni religiose e laiche della Regione.
Gli abitanti della città sono assenti sia ai funerali che alla manifestazione.
Da quel momento si scatena una reazione aggressiva, offensiva e verbalmente violenta soprattutto in rete.
La prima accusa; aver io provocato una reazione esagerata, chiamando le autorità nazionali, facendo così credere che la città fosse razzista. In realtà non avevo chiamato nessuno e non avevo mai accusato la città di essere razzista. Avevo solo detto chiaramente che l’atto di Amedeo era stato violento e gratuitamente razzista. E, cosa grave per molti, che mi sarei costituito parte civile nel processo.
Nel proseguo dei giorni, l’obiettivo della difesa, ampliamente sostenuto dalla stampa locale, era quello di dimostrare che Amedeo aveva dato un pugno violento a Emmanuel, ma frutto di una sua provocazione, così da accreditare la legittima difesa.
Per settimane la stampa locale sposa questa tesi, con una serie di presunte prove: la dichiarazione mendace di Chiniery, molti testimoni, impronte in un palo della segnalazione stradale. Nel frattempo si invoca la liberazione di Amedeo dal carcere; si protesta per la mancanza del braccialetto elettronico: Amedeo diventa una specie di eroe da liberare dall’ingiustizia.
Un fatto
inaspettato
Il 16 luglio 2016, dopo 11 giorni dalla morte di Emmanuel, vengono scoperti e arrestati i due “bombaroli” che tra febbraio e maggio 2016, avevano posto degli ordigni rudimentali esplosi, sempre a Fermo, prima in due abitazioni di parroci, poi nella mia parrocchia e un quarto ordigno in un’altra Chiesa, per fortuna non esploso. Gli autori erano due giovani reo confessi della frazione di Capodarco di Fermo, dove risiede la Comunità, persone che conoscevamo. Le reazioni della popolazione: “non può essere …”, “un po’ di polvere da sparo …”, “ragazzate …”. I due furbescamente confessano, chiedono perdono, promettono di non farlo più, patteggiano la pena a tre anni ai domiciliari.
Da quel momento scende il silenzio nella città e in rete. Nessun commento, notizie minime indispensabili sulla stampa locale: “… andare avanti” è lo slogan.
Il patteggiamento
Con il trascorrere del tempo, con le indagini in atto, la tesi della legittima difesa diventa debole. Da qui la proposta di patteggiamento che prevede: pena di quattro anni ai domiciliari, con otto ore di permesso per il lavoro di Amedeo, un risarcimento di 5 mila euro necessari per il rimpatrio della salma, senza altro indennizzo. Il Giudice accetta il patteggiamento, Chiniery nel frattempo è accolta in uno Sprar fuori Regione.
Dall’esterno il patteggiamento appare come il risultato di una compravendita a un suq. Tolte due aggravanti per Amedeo: la recidiva, essendo il capo ultrà conosciuto come picchiatore professionale e già colpito da quattro Daspo, e i motivi futili e abbietti. Rimasta l'aggravante razziale. In compenso è riconosciuta l’attenuante della provocazione da parte di Emmanuel. Il tutto per arrivare a quattro anni di pena, invece dei 10 anni minimi previsti.
A conclusione del patteggiamento ho scritto in un comunicato stampa:
“Il patteggiamento mette fine a una vicenda che ha portato a una morte inutile e violenta. Fin dall’inizio ho voluto tenere alto il concetto del rispetto della persona. Ed Emmanuel era un uomo che non aveva fatto niente di male, non aveva nulla ed era fuggito da una terra crudele. È un patteggiamento che accetto, al di là dei contorcimenti giuridici tra aggravanti e attenuanti. Amedeo poteva agire anche in altro modo. Ma è ragazzo semplice, che non sempre controlla i suoi impulsi. Resta la necessità di accompagnare e non abbandonare Chiniery e di esaudire il suo desiderio di far rientrare la salma di Emmanuel in Nigeria. In questi mesi, le cattiverie di alcuni mi sono sembrate inutili e anche gratuite, i commenti e le reazioni potevano rimanere ai fatti e non accanirsi sulle persone”.
La lezione
In questa vicenda ho appreso molte lezioni. La prima è la sofferenza: essere ingiuriato per aver difeso la dignità di una persona morta procura dolore. Un dolore morale ingiusto. Vale per tutte le situazioni dichiarate marginali. Lo stigma è una cattiveria che colpisce chi ne è vittima, ma anche chi tenta di cancellarla. Ieri erano i disabili, i pazzi, i tossici, oggi gli stranieri, i senza dimora, chiunque non abbia carte in regola.
Alla sofferenza si aggiunge la solitudine: pochi amici, poca solidarietà, molte aggressività gratuite, rese pubbliche per offenderti e screditarti con rabbia istintiva, senza freni, animalesca. Solitudine che colpisce anche la vittima: nessuna pietà per Emmanuel morto. Giace nel loculo e siamo veramente in pochi a visitare la tomba e a commuoverci per la sua vita grama e breve.
Un’altra lezione è la pochezza dell’anima: il nemico, il presunto usurpatore rimane tale per sempre, anche se vittima. Occorre difendere i propri, accreditando dubbi, bugie, assurdità. Tutto è lecito per autoconvincersi di essere dalla parte giusta. Quando qualcosa di brutto riguarda i propri cari è logico minimizzare e dimenticare.
La gran parte della popolazione rimane silente: di un silenzio ostile, disposta a dar credito ai dubbi, convincersi che chi grida, tutto sommato, ha ragione.
C’è infine chi è solidale, ma lo fa prudentemente. Nessuna manifestazione pubblica, ma appelli generici e inconsistenti per il bene, la pace, la fraternità, lo spirito evangelico, la prudenza. Una zona grigia che mai diventerà chiara, perché permette di essere neutri, non inimicandosi nessuno, abbandonando così a sé la vittima.
La storia di Emmanuel è tragica. Per la sua morte, per le circostanze in cui è avvenuta, per il persecutore. Un sogno infranto, una donna lasciata sola, un clima ostile, un suo persecutore nemmeno cosciente di come agiva e di che cosa è responsabile.
Non c’è altra strada che continuare a non transigere sulla dignità della persona: un principio che non deve fare eccezioni. Se la dignità è infranta è necessario il coraggio di restituirla. Costerà dolore e solitudine. Con una prospettiva però: nel tempo le persone capiranno e riconosceranno che quella scelta era la strada giusta. Una specie di prezzo da pagare per chi vive in strada e incontra persone che chiedono aiuto.
È il messaggio che non si stanca di dare papa Francesco: per gli scarti, per i popoli, per chiunque non viene considerato o è offeso. Non sono discorsi, ma la via concreta della misericordia. Chi non l’interpreta rischia di diventare un “falso profeta”, predicando parole vuote e innocue.
don Vinicio Albanesi
Presidente della Comunità di Capodarco