La protesta della vita contemplativa
2017/2, p. 46
Nell’anno giubilare appena concluso,
tra i gesti e le parole di papa
Francesco vi è stata pure la promulgazione
della Costituzione Apostolica
Vultum Dei quaerere. Ai monasteri
è chiesto, “a cinquant’anni”
(VDq, 8) dalla chiusura del Concilio,
di radicalizzare la propria consacrazione
alla ricerca dell’essenziale e
dell’invisibile e di farlo in modo compatibile
e sempre più adeguato all’incremento
di intelligenza evangelica
che ha rappresentato il Vaticano II.
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La protesta della vita contemplativa
Nell’anno giubilare appena concluso, tra i gesti e le parole di papa Francesco vi è stata pure la promulgazione della Costituzione Apostolica Vultum Dei quaerere. Ai monasteri è chiesto, “a cinquant’anni” (VDq, 8) dalla chiusura del Concilio, di radicalizzare la propria consacrazione alla ricerca dell’essenziale e dell’invisibile e di farlo in modo compatibile e sempre più adeguato all’incremento di intelligenza evangelica che ha rappresentato il Vaticano II. Ci vorrà molto coraggio nell’accogliere e onorare la sfida di discernimento e di evangelizzazione della stessa vita monastica lanciata da papa Francesco. Il primo punto è la rinuncia serena e gioiosa a quel complesso di superiorità spirituale di cui si parla già nella Evangelii gaudium, quando si citano i sette pericoli da cui guardarsi nella Chiesa e il primo dei quali sono “i purismi angelicati” (EG 231).
Avventura discepolare
Nella Vultum Dei quaerere, la vita monastica, particolarmente espressa in quella femminile interamente dedita alla vita contemplativa, viene riportata nella sede naturale dell’avventura “discepolare” di ogni battezzato, chiamato a combattere la buona battaglia della fede in modo incarnato e storicamente reperibile. Di conseguenza, la vita claustrale viene sottratta all’aura di un mondo a parte cui si delega la preservazione di uno spazio di sacralità per diventare una protesta contro tutto ciò che non profuma di Vangelo. In questo spazio rischia di sopravvivere, in altre forme, la casta di sacerdotesse, mai completamente cancellata dall’inconscio collettivo. Come già per la vita consacrata in genere, anche per la vita monastica, non esclusa quella femminile, l’elemento profetico è rimesso al centro rispetto a quello “sacerdotale-sacrale”.
Profezia e segno
Papa Francesco sottolinea che la vita monastica, elemento di unità con le altre confessioni cristiane, si configura in uno stile proprio che è profezia e segno e che «può e deve attirare efficacemente tutti i membri della Chiesa a compiere con slancio i doveri della vocazione cristiana». Le comunità di oranti, e in particolare quelle contemplative, «che nella forma della separazione dal mondo, si trovano più intimamente unite a Cristo, cuore del mondo», non propongono una realizzazione più perfetta del Vangelo ma, attuando le esigenze del Battesimo, costituiscono un’istanza di discernimento e convocazione a servizio di tutta la Chiesa: segno che indica un cammino, una ricerca, ricordando all’intero popolo di Dio il senso primo ed ultimo di ciò che esso vive (VDq, 4).
Questa nota rappresenta il vero punto di svolta. Detto in altre parole, ciò che caratterizza una comunità monastica non è il fatto che si trovi in uno “stato di perfezione” particolarmente eccelso. La vocazione e l’appello fondamentale è vivere, in fedeltà alla grazia battesimale, una “istanza di discernimento e convocazione”: separazione e connessione diventano le due facce della medesima “koinonia” (VDq, 25).
Tutta la Chiesa è chiamata a prendere coscienza del dono che la vita contemplativa rappresenta come luogo profetico in cui si custodisce una distanza e una differenza irrinunciabili per tenere vivo il discernimento di ciò che è essenziale.
Nondimeno, ad ogni monaca e monaco personalmente è chiesto ancora una volta di lasciarsi interpellare dalla domanda posta da papa Francesco il 21 Novembre 2013 nel monastero camaldolese di sant’Antonio all’Aventino: «Nei monasteri si aspetta il domani di Dio?».
Il “domani di Dio” evocato da papa Francesco è indubbiamente un dono, ma è pure il frutto dell’esercizio della responsabilità, necessariamente ascetica (VDq, 35), di farsi discepoli di una Tradizione nella fatica appassionata dell’incardinazione, nel presente, dei valori di sempre.
Scritture, fedeltà e libertà
Neppure i monasteri sono esenti dal cammino di Chiesa “in uscita” (EG 19-24), per rischiare anche nuovi percorsi per raggiungere la medesima meta in un dinamismo autenticamente pasquale. Anzi, i monasteri sono chiamati ad essere audacemente in prima fila nell’essere segno profetico di quel “domani di Dio” che va non solo accolto, ma pure ricompreso continuamente nella fedeltà e nella libertà. Non è certo un caso che Antonio il grande, dalla profondità del suo deserto di solitudine fiorito di comunione, continui a ricordare ai contemplativi: «Il monaco ha due cose: le Scritture e la libertà». Siamo di fronte ad un grande dono e ad un’immensa responsabilità: coltivare una vita contemplativa che sia, in verità, radicalmente monastica e profeticamente evangelica.
La riflessione sulla Vultum Dei quaerere può e deve rappresentare un momento di reale conversione che non si può certo accontentare di semplici aggiustamenti. Da questo punto di vista è più che mai necessario un cammino condiviso tra monaci e monache di diverse tradizioni carismatiche per essere in grado, insieme, di offrire una testimonianza affidabile agli uomini e alle donne del nostro tempo per cercare insieme il Volto di Dio pur in modo diverso e sempre unico.
fratel MichaelDavide, osb
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