Una claustrale dal cuore missionario
2017/12, p. 24
Madre Caterina ha ben armonizzato in sé clausura e
missione unificate in un medesimo zelo che voleva a tutti
i costi dilatare il regno eucaristico. È definita una
“missionaria dell’Ostia”, di quel Gesù che è creduto con
fede presente nel prossimo, in ogni uomo e donna che
cerca il senso del proprio andare, una parola che ne
incoraggi il cammino.
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Madre Caterina Lavizzari: a 150 anni dalla nascita
UNA CLAUSTRALE
DAL CUORE MISSIONARIO
Madre Caterina ha ben armonizzato in sé clausura e missione unificate in un medesimo zelo che voleva a tutti i costi dilatare il regno eucaristico. È definita una “missionaria dell’Ostia”, di quel Ges�� che è creduto con fede presente nel prossimo, in ogni uomo e donna che cerca il senso del proprio andare, una parola che ne incoraggi il cammino.
Sullo sfondo suggestivo del Lago Maggiore, in un incipiente mese di ottobre carico degli stupendi colori autunnali che ci ha regalato tuttavia giornate quasi primaverili, noi Benedettine dell’adorazione perpetua del SS. Sacramento della Federazione italiana abbiamo vissuto un arricchente momento di incontro presso il monastero “SS. Trinità” di Ghiffa (VB), là dove tutto è cominciato.
A radunarci, quali figlie che ritornano temporaneamente alla casa materna, è stata la protagonista delle intense giornate commemorative dal 5 all’8 ottobre 2017: madre Maria Caterina di Gesù Bambino. Un ricco programma di celebrazioni e conferenze che ci ha ravvivate nella conoscenza e nell’entusiasmo per questa eccezionale figura di donna e di monaca riconsegnandoci ancora una volta, in tutta la sua forza e profondità, il nostro carisma benedettino-eucaristico da lei vissuto santamente e propagato con autentico spirito missionario. Celebrare delle ricorrenze particolari, quali in questo caso il 150° dalla nascita di madre Caterina, diventa occasione di grata memoria che porta con sé una grazia particolare. E tale è stata per quanti, monache ma anche oblati e amici, vi hanno partecipato direttamente. Le sorelle presenti, sostenute dalle comunità che le avevano inviate in rappresentanza, sono poi tornate nei loro monasteri cariche di tanta ricchezza da comunicare. Sentimenti, questi, ben espressi dalla priora di Ghiffa, madre Raffaella Brovelli, nei diversi discorsi pronunciati in unità di intenti condivisi.
Il nostro Istituto, fondato nel 1653 in Francia da madre Mectilde de Bar (1614-1698), dopo varie vicissitudini è approdato in Italia nel 1880 con prima sede a Seregno (MI), grazie a madre Maria Teresa Lamar (1847-1882), del monastero parigino di Rue Tournefort, e all’interessamento del patriarca Paolo Angelo Ballerini (1814-1897).
A Seregno, il 21 novembre 1889, fa il suo ingresso la giovane Luigia Lavizzari, nativa di Vervio (SO), di distinto casato ma soprattutto di nobiltà interiore, che prenderà il nome di suor Maria Caterina di Gesù Bambino. Quella comunità monastica era ancora in embrione poiché la madre Lamar, morta dopo solo due anni, non era riuscita a formarla in modo completo: la clausura non era ancora stabilita del tutto e tanti erano i problemi da risolvere. Madre Maria della Croce (1840-1925), che ne aveva preso le redini, inviò la promettente valtellinese nella fiorente comunità di Arras perché si impregnasse bene del carisma. Nel 1891, la giovane fece ritorno a Seregno con una buona conoscenza del francese ma soprattutto ben formata alla scuola di san Benedetto e di madre Mectilde. Con il suo esempio e la sua intraprendenza iniziò una sotterranea e incisiva opera di riforma, ancor più quando dal 1884 affiancò la nuova priora, madre Scolastica Sala (1858-1912), in qualità di vice priora. Nel 1900 è lei ad essere eletta a “fare le veci di Cristo” (RB cap. II). Può ormai operare con maggiore libertà e incidenza, consolidando nelle virtù monastiche la comunità che si accresceva prodigiosamente e guidandola nel 1906 durante il necessario e doloroso trasferimento nella nuova sede di Ghiffa, da lei poi denominato il “paradisino”.
Madre Caterina era una donna ricca di doti umane e spirituali non comuni, un’anima nutrita continuamente alla scuola della preghiera e dell’abbandono in Dio. A tutto questo si aggiungeva una dolce fortezza del carattere, un temperamento gioioso e materno e l’acuta penetrazione del mistero di Dio che la rendevano maestra prima di tutto con l’esempio. Non da meno è il suo sagace e intelligente umorismo che la aiutava a non drammatizzare più del dovuto e ad essere sempre positiva e propositiva con gli altri. È stata la donna della Provvidenza per parecchie monache, monasteri e persone che da lei hanno ricevuto tanto bene e che, ancora oggi nei loro “eredi”, ne alimentano con gratitudine la memoria ritenendola indiscutibile punto di riferimento e sicura mediatrice presso il trono dell’Altissimo. La Chiesa infatti, il 1° giugno 2007, ne ha riconosciuto l’eroicità delle virtù dichiarandola Venerabile.
Nell’operare una sintesi – molto difficile data la ricchezza di quanto vissuto, ascoltato, pregato – ci lasciamo aiutare dalla pregnante consegna dell’Abate di “Santa Maria del Pilastrello” in Lendinara (RO), dom Christopher M. Zielinski, all’omelia di domenica 8 ottobre. Rivisitando le parole della consacrazione che sono il memoriale del dono supremo di Cristo: “Preso il pane nelle sue mani lo benedisse, lo spezzò, lo distribuì”, ha invitato tutti noi a lasciarci benedire, spezzare e distribuire. Ecco la vita di madre Caterina!
Un’esistenza
benedetta
Ogni bambino che nasce è un dono, una benedizione di Dio. Molte persone, con la loro esistenza luminosa e riuscita, l’hanno resa viva ed eloquente: benedette dal Signore sono divenute a loro volta segno di benedizione per quanti le hanno incontrate e per quelli che, anche dopo la loro morte, sono ancora raggiunti dalla scia di santità lasciata e dalla fecondità delle loro opere.
Luigia Lavizzari nasce il 6 ottobre 1867 e muore il 25 dicembre 1931: tra queste due date quanti avvenimenti straordinari dell’azione divina in una esistenza che si fa docile consegna alla volontà di Dio e che vive, cresce e matura quale albero ben radicato e fruttifero! Lo ha sottolineato anche mons. Oscar Cantoni, vescovo di Como alla cui diocesi apparteneva madre Caterina, durante l’omelia della messa del 6 ottobre.
Lo slogan guida delle giornate commemorative, tratto dagli scritti di madre Caterina – lettere, conferenze e capitoli – è eloquente: «Dio solo è, Dio solo fa». Ogni momento della sua vita è stata una conferma di questa professione di fede che l’ha accompagnata sempre illuminando il suo operato, le sue scelte, tutto il suo essere. Come ben evidenziato dalla dott.ssa Francesca Consolini, postulatrice della causa di beatificazione della venerabile Caterina Lavizzari, nella conferenza tenuta l’8 ottobre, anche l’infanzia trascorsa in famiglia e quale allieva delle Marcelline di Vimercate negli anni adolescenziali, sono dei tasselli fondamentali nello sviluppo della sua personalità matura, tenace, volitiva, straordinariamente aperta in modo empatico alle necessità degli altri, soprattutto dei tanti poveri, ammalati, disorientati bisognosi di cibo e di cure, ma anche di attenzione, di ascolto, di riconoscimento e rispetto della propria dignità. Questa naturale propensione, affinata dall’educazione cristiana ricevuta, ha fatto sì che madre Caterina vivesse la dimensione propria di claustrale con l’occhio e il cuore sempre capaci di andare oltre le mura del monastero per cogliere il gemito di tanti e accogliere, a prezzo di sacrifici e privazioni, ogni tipo di indigenza materiale e spirituale. Per questo motivo aveva istituito le oblate regolari, monache non vincolate dalla clausura che facevano da tramite tra la comunità e l’esterno. Pure le giovani e le signore che, numerose, partecipavano agli esercizi spirituali nella foresteria del monastero, hanno beneficato della vicinanza accorta e fattiva della santa Priora. Il prof. Angelo D’Acunto, nell’allocuzione del 7 ottobre, ha sottolineato pure questo aspetto della vita di madre Caterina quale benedizione; ella, infatti, è stata segno efficace della presenza di Dio tra gli uomini, parole, gesti, palpiti d’amore offerti a tutti.
L’amata Madre ha ben armonizzato in sé clausura e missione unificate in un medesimo zelo che voleva a tutti i costi dilatare il regno eucaristico. A giusto proposito è definita una “missionaria dell’Ostia”, di quel Gesù che, sulla scia della regola benedettina, è creduto con fede presente nel prossimo, in ogni uomo e donna che cerca il senso del proprio andare, una parola che ne incoraggi il cammino, un esempio di vita che ne illumini la strada, un cuore materno che accolga anche ciò che, per pudore o resistenza, rimane dolorosamente celato nell’animo. Madre Caterina era tutto questo, per le sue figlie prima di tutto, ma anche per quanti sono rientrati nell’orbita del suo benefico raggio d’azione e di intercessione.
Un’esistenza
spezzata
Questa benedizione è andata ben oltre i confini del suo monastero. La Venerabile è stata infatti una personalità di primo piano nello sviluppo e consolidamento dell’Istituto delle Benedettine dell’adorazione perpetua del SS. Sacramento in Italia. Incoraggiata e sostenuta dall’appoggio dell’olivetano padre Celestino Maria Colombo (1874-1935), la saggia priora si muove in una duplice missione: da un lato rendere salda l’osservanza monastica all’interno della comunità di Ghiffa; dall’altro, dare risposta pronta e generosa ai segni dei tempi e alle richieste delle varie Chiese locali e dei loro Pastori, inviando monache per aggregare o per fondare nuovi monasteri. Il tutto con una lungimiranza profetica, capace di accollarsi sofferenze e rischi, anche quello di fallire, sempre fiduciosa nella potenza e nell’intervento di Dio.
Le leggi sovversive del 1866 e il diffuso anticlericalismo presente nelle istituzioni politiche e culturali, avevano dato origine ad una crisi degli istituti religiosi che sembrava irreparabile. Di fatto la diffusione nel primo Novecento in Italia dell’Istituto di Mectilde de Bar si è rivelata un autentico intervento della Grazia a favore della rinascita della vita benedettina femminile.
Il monastero di Catania è stato il primo ad essere aggregato alla Comunità piemontese e gli anni successivi al 1910 videro una crescente rifioritura della vitalità monastica quale prezioso stimolo alla vita ecclesiale. Quando arrivava una richiesta esplicita per una nuova disponibilità, madre Caterina non chiedeva altra garanzia per sé e per l’Istituto se non quella di poter vivere in pienezza e fedeltà l’adorazione perpetua in spirito di riparazione come l’aveva voluta la Fondatrice. E così, pagando un prezzo affettivo altissimo, si privava degli elementi migliori, sempre pronta a dare perché, come hanno testimoniato diverse monache, quando c’era di mezzo l’obbedienza lei non ragionava più.
Molte sono state le sofferenze, le difficoltà, le incomprensioni, la fatica che madre Caterina, e le sue figlie con lei, ha abbracciato con trasporto e senza mai guardare a se stessa, senza risparmiarsi o negarsi. La sua esistenza è stata spezzata ma non frantumata, divisa ma non dispersa. Dio l’ha lavorata e plasmata attraverso quel dolore divenuto linfa vitale per tanti monasteri e per tante monache. In modo capillare ella ha trasfuso il carisma che abbiamo scelto come modalità di risposta alla chiamata del Signore a lasciarci spezzare come pane fragrante per la fame spirituale dei nostri fratelli.
Un’esistenza
distribuita
Madre Caterina aveva una salute cagionevole, in più era invalidata ad una gamba per i postumi del tifo, eppure in tempi in cui spostarsi era oltremodo difficile e avventuroso, viaggiò tantissimo nelle varie parti d’Italia dove i monasteri benedettini rifiorivano grazie al carisma metildiano. Andava per accertarsi, per incoraggiare, per confermare, per stimolare… la sua guida sicura, costante e saggia attraverso le frequenti lettere e le sue visite, era di conforto, di insegnamento di sostegno per le madri e sorelle inviate in missione e per le stesse comunità che troppo avevano sofferto in attesa che quel miracoloso innesto potesse ridare slancio.
Lo spirito missionario di madre Caterina è giunto sino ad oggi spingendosi lontano. Impressionata dalla persecuzione subita dai cristiani in Messico (1926-1929), aveva forse profetizzato la presenza del nostro carisma in quella terra. Scriveva infatti, firmandosi Gesù Bambino, a una delle sue monache nel Natale del 1927: «Nella pace di questa cara festa, pensi tu ai martiri messicani? Prega che il loro sangue sia a estensione magnifica del mio regno in America e che là, col tempo, vi sia l’Istituto». Dall’agosto 2011, due monache di Ghiffa stanno dando vita ad un cenacolo metildiano a Chapala, in provincia di Guadalajara.
La vita spezzata di madre Caterina è stata quel continuo «aiutare Gesù a farsi largo» ben sviluppato da madre Maria Ester Stucchi, Presidente della nostra Federazione, con la conferenza del 6 ottobre. Proprio perché spezzata, madre Caterina può lasciarsi distribuire.
Legata da una sincera devozione a Maria Santissima, così come evidenziato all’omelia il 7 ottobre da don Dino Bottino, Vicario episcopale per i monasteri di clausura della diocesi di Novara, madre Caterina si lasciava prima di tutto ammaestrare da colei che per noi Benedettine del SS. Sacramento è la Celeste Abbadessa. Fu pienamente donna e squisitamente madre. Più che mai opportuna ci sembra la promessa di madre Caterina apposta sulla sua tomba nella cripta del monastero: «Sarò sempre la vostra madre».
Ed è proprio “una madre per tutti” che abbiamo commemorato e che vogliamo far conoscere a quanti leggeranno questo articolo e sui quali, come su di noi e su tutti, chiediamo l’intercessione della venerabile madre Caterina perché, a sua imitazione, possiamo cercare sempre la gloria di Dio e il bene dei fratelli nel generoso servizio alla Chiesa camminando insieme nella fede che illumina, nella carità che edifica, nella speranza che sostiene.
Suor Maria Cecilia La Mela OSBap