Pontara Pederiva Maria Teresa
Le "periferie" della Chiesa francesce
2017/12, p. 12
Se la presenza della Chiesa d’oltralpe nelle situazioni di disagio e povertà aveva una lunga storia, i tempi erano maturi per intensificare l’azione: i bisogni che emergono dalla società si moltiplicavano a vista d’occhio e diventava sempre più necessario riuscire ad intercettarli.

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Religiosi e religiose spesso apripista
LE «PERIFERIE»
DELLA CHIESA FRANCESE
Se la presenza della Chiesa d’oltralpe nelle situazioni di disagio e povertà aveva una lunga storia, i tempi erano maturi per intensificare l’azione: i bisogni che emergono dalla società si moltiplicavano a vista d’occhio e diventava sempre più necessario riuscire ad intercettarli.
A Parigi, Île-de-France, l’associazione «Août-Secours-Alimentaire - Agosto soccorso alimentare (Asa)», nata nel 1994 per iniziativa di Pierre Lanne, diacono della diocesi della capitale francese, in piena estate è al lavoro ogni anno per sostituire gruppi e associazioni che durante tutto l’anno si occupano di distribuzione ai poveri della capitale francese. 700mila pacchetti-pranzo gratuiti per sfamare almeno 12mila persone in situazione di disagio grave (anziani, famiglie in difficoltà, madri sole, uomini e donne che vivono sulla strada). 450 i volontari che lavorano dal 1° al 31 agosto con materie prime fornite dalla Banca Alimentare, altri partner e diversi donatori privati. In 23 anni di attività i pacchetti pranzo si sono moltiplicati e così pure il numero di donatori e volontari.
Solo un esempio della presenza della Chiesa di Francia in quelle che oggi siamo soliti definire «periferie», un termine entrato nel linguaggio comune dentro e fuori la Chiesa a seguito dell’uso che ne ha fatto papa Francesco: «periferia» è la direzione verso cui orientare la missione del cristiano. Sono infatti le periferie, geografiche, economiche o esistenziali, i luoghi che la Chiesa, da sempre, ma soprattutto oggi, è chiamata ad abitare: un concetto che Bergoglio ribadisce spesso.
Nella cattedrale di san Rufino ad Assisi incontrando clero e religiosi il 4 ottobre 2013 indicava le azioni indispensabili per una persona consacrata: «Ascoltare la Parola di Dio, saper camminare insieme, annunciare fino alle periferie». E spiegava: «Uscire per andare incontro all’altro, nelle periferie, che sono luoghi, ma sono soprattutto persone in situazioni di vita speciale».
Già nell’assemblea plenaria d’autunno dell’anno successivo, svoltasi come sempre a Lourdes, i vescovi francesi decidevano, senza indugio, di mettere in pratica quell’indicazione. Se la presenza della Chiesa d’oltralpe nelle situazioni di disagio e povertà aveva una lunga storia, i tempi erano maturi per intensificare l’azione: i bisogni che emergono dalla società si moltiplicavano a vista d’occhio e diventava sempre più necessario riuscire ad intercettarli.
Il progetto «Chiesa
in periferia» della Cef
«Molti settori della Chiesa stanno già lavorando quotidianamente per annodare o riannodare i legami di una società più solidale e fraterna: tanti sono presenti e attivi nei quartieri cosiddetti "difficili" delle città e anche nel mondo rurale ... – diceva in quella sede mons. Denis Moutel, vescovo di Saint-Brieuc, in Bretagna, presidente della Commissione episcopale per la pastorale giovanile – Là dove la persona (precari, anziani, disabili, malati …) è spesso percepita come un peso e la sofferenza fa regredire in dignità umana, gli operatori ecclesiali sono impegnati a risvelare tutta la ricchezza nascosta tra le pieghe di situazioni a rischio emarginazione. Lì, nelle periferie urbane dove le relazioni interpersonali possono essere indebolite a causa di differenze culturali o religiose, o ancor di più nelle zone rurali, dove viene quasi ostacolato un minimo inserimento sociale, quanti operano in nome della Chiesa si impegnano ad abbattere muri, annodare o riannodare legami. Essi vivono per dare vita a quella “Chiesa in periferia” cui papa Francesco ci chiama. È al cuore di questa "Chiesa in periferia" che dobbiamo mostrare e far fruttificare gesti di fraternità, vivere insieme, condividere le situazioni e rafforzare i legami sociali che ci uniscono. Tutti insieme (movimenti, associazioni, diocesi, centri sociali ...) dobbiamo condividere esperienze "di successo" e continuare a innovare nelle nostre buone pratiche. Dobbiamo tutti essere capaci di inventare ancora qualcosa di buono».
Con il «Progetto Chiesa in periferia» i vescovi si proponevano quindi di mettere in evidenza le iniziative creative dei legami creati dalla Chiesa ai margini della società, intendendo per «periferie» tutte le realtà in disagio dalla sofferenza geografica o esistenziale qualunque sia, interna o esterna, ai deficit di collegamento - aree peri-urbane o rurali – fino alle diverse esperienze di disabilità, di reclusione, di vagabondaggio.
Il 2° Rapporto
«La Chiesa in periferia»
Tra le iniziative del Progetto la stesura a scadenza annuale di un Rapporto per fotografare la realtà, vista di volta in volta da diverse angolature. Pubblicato nel giugno 2016 il 1° Rapporto: un sondaggio sulla percezione della Chiesa da parte dell’opinione pubblica francese cui si affiancava una sorta di fotografia dell’esistente in termini di associazioni, movimenti e realtà parrocchiali di volontariato. I dati mostravano che, nella stragrande maggioranza, i cittadini francesi si attendevano che i cattolici fossero impegnati nelle zone più disagiate di città e paesi, a stretto contatto con i più vulnerabili ed emarginati. D’altro canto la ricerca metteva altresì in luce una realtà di presenza effettiva della Chiesa di Francia proprio a servizio delle sempre più numerose forme di povertà, quelle che il papa definisce appunto le periferie geografiche ed esistenziali.
Nel mese di ottobre di quest’anno, mons. Pascal Delannoy, vicepresidente della conferenza episcopale francese, presentava il 2° Rapporto su «La Chiesa nelle periferie» ribadendo ancora una volta il preciso intento della Cef di seguire la via tracciata da Bergoglio: «È lo stesso papa Francesco che ci chiede ripetutamente di andare nelle periferie, a spronarci gli uni gli altri ad abbattere le barriere che ci impediscono di vederle» scrive il vescovo di Saint-Denis.
Il Rapporto 2017, realizzato in collaborazione con la Corref (la Conferenza delle religiose e dei religiosi di Francia), evidenzia un mosaico multicolore dove sono rappresentate le diverse modalità - davvero articolate e talvolta autenticamente innovative - con le quali le persone consacrate vivono e operano nelle periferie. Un esempio di ciò che lo Spirito può suggerire per attualizzare con creatività e coraggio il carisma dei fondatori lasciando da parte ogni sterile nostalgia di tempi passati (scelte compiute da anni in terra americana all’interno della LCWR, non senza ostacoli, ora rimossi definitivamente da Bergoglio).
Addentrandosi nella lettura si viene informati delle «novità» individuate da ordini e congregazioni religiose per «incarnare» (spesso sarebbe più corretto dire «re-incarnare») una presenza, a livello educativo o assistenziale, versione 2.a. E talvolta, come ricorda il vescovo, si tratta di esperienze non ancora così conosciute neppure all’interno della comunità ecclesiale (è più facile che, pensando a dei religiosi, la mente vada alle strutture ospedaliere o educative piuttosto che a realtà di strada). «Eppure si tratta di esperienze mediante le quali il carisma dei fondatori viene attualizzato in maniera talvolta inaspettata e profetica. Non si tratta di concedere un po’ di tempo ai più svantaggiati, ma di condividere la propria vita con loro e da questa esperienza nessuno ne può uscire indifferente!».
«Come non essere toccati dalla ricchezza spirituale che si sprigiona da queste esperienze e ci contagia l’un l’altro?» si chiede mons. Delannoy, testimone che, fin dalla sua istituzione, la Conferenza episcopale di Francia ha prestato particolare attenzione alla presenza della vita consacrata nell’oggi della Chiesa e della società e alla sua azione di farsi prossimo con le persone scartate, a partire da quanti vivono sulla strada ai margini della società fino agli anziani e ai migranti.
Religiosi e religiose
spesso apripista
Nel mese di gennaio scorso tra i 417 Istituti che fanno parte della Conferenza dei religiosi/e francesi è stata condotta una rilevazione sulle modalità attraverso le quali «Le comunità intrecciano legami con le periferie»: per iniziativa della commissione Corref (Monde ouvrier–Monde populaire-Monde rural) si chiedeva di mettere in evidenza l’esistente in termini di persone raggiunte, soggetti in azione ed eventuali altri partner coinvolti. Ammontano a 204 gli istituti che hanno risposto al sondaggio, coordinato da suor Véronique Margron, presidente Corref: i risultati emersi fotografano una realtà straordinariamente ricca e vivace anche perché, spesso, il nudo dato è illustrato da una serie di relazioni sulle iniziative avviate dai consacrati nell’intera Francia.
Il Rapporto pubblicato dalla Cef con il contributo fondamentale Corref, è corredato da schemi e diagrammi che ne facilitano la lettura (una caratteristica comune alla stragrande maggioranza degli episcopati europei quella di corredare i documenti con fotografie e tabelle di vario tipo, limitando invece le citazioni). A questa parte più tecnica segue un’esplorazione della realtà concreta attraverso racconti in prima persona, interviste, ritratti e storie che illustrano la ricchezza e la fertilità di queste nuove forme di condivisione con gli scartati dalla società: a fronte di una relativa modestia dei mezzi a disposizione e/o dell’età non proprio ottimale delle persone impiegate, tutte le esperienze testimoniano una sorprendente vitalità dei carismi e spesso anche la capacità dei religiosi/e di farsi apripista con le loro scelte di iniziative che avranno poi bisogno dell’aiuto di altri per essere portate avanti, non di rado giovani.
Se l’85% dei religiosi/e francesi sono di vita apostolica (il restante 15% di vita contemplativa), l’82% dei consacrati coinvolti in tali iniziative nelle periferie è costituito da donne. Il profilo sociologico del religioso/a che opera nelle periferie riflette infatti esattamente la realtà della vita consacrata nella Francia di oggi (non molto differente da altre realtà europee, come l’Italia per fare un esempio): una maggioranza di donne (82%), in gran parte in età avanzata (solo il 35 % delle comunità ha almeno 1 membro al di sotto dei 60 anni e il 70% ha almeno 1 membro sotto i 75 anni) e con una sempre più diffusa presenza di origine straniera (quantificabile al 13%).
Le aree di intervento vedono una prevalenza (69%) nelle zone urbane rispetto a quelle rurali, con un’attenzione particolare ai quartieri popolari (61%).
Significativi gli ambiti d’azione che rappresentano il ventaglio di tutte le fragilità del nostro tempo: al primo posto i problemi legati al fenomeno migratorio in atto (16%), seguono questioni intergenerazionali (15%), salute (13%), integrazione culturale (12%), famiglia, giustizia (entrambi al 10%), problemi legati alla diversità (9%), giovani (8%), dialogo interreligioso (4%), viaggiatori (3%). Tanti temi la cui pesante e cruda realtà finisce inevitabilmente per mescolarsi e intrecciarsi a storie personali concrete: si tratta di incontrare volti, ascoltare racconti, condividere sofferenze, prestare aiuto.
Tra gli altri soggetti coinvolti ad ampio raggio: operatori diocesani, movimenti e associazioni laicali, Ente pubblico, servizi sociali ad ampio raggio (Croce Rossa e altri).
«La vita religiosa
solidale con la fragilità»
Significativo l’intervento a firma di suor Véronique Margron, 59 anni, teologa morale, superiora delle Suore domenicane della carità, decano onorario della facoltà di teologia di Angers, eletta presidente Corref il 12 novembre 2016 a Lourdes. Tentiamo una sintesi dei passi più rilevanti.
«Fin dai primi tempi della Chiesa quando gli eremiti diventarono monaci l’intenzione era quella di ricreare una mini-società ispirata ai valori evangelici improntati a carità, sostegno fraterno e preghiera. Ciò rappresentava una sfida quotidiana, perché significava convivenza tra persone di età e background culturali diversi, ma una straordinaria fonte di ricchezza. Oggi, lo sappiamo bene, la situazione dei nostri conventi è profondamente cambiata. Ma noi non viviamo fuori dal mondo e l’evoluzione della società ci tocca. Lo Spirito ci ha resi più sensibili alle singole identità delle persone e alla necessità di valorizzare i talenti di ciascuno, un fatto decisamente trascurato in un passato relativamente recente (pensiamo solo agli enormi dormitori), anche se ciò spesso non ha impedito il dispiegarsi di veri crogiuoli di promozione umana all’interno degli istituti. Oggi accade piuttosto che, se alcune sorelle (2 o 3) decidono di condividere la stessa stanza, questo sia in nome di scelte apostoliche (e non un’imposizione dall’alto).
Anche la fisionomia delle comunità è mutata: se in precedenza era normale la convivenza tra diverse generazioni di consacrati, oggi non di rado accade che una sola sorella giovane si prenda cura di diverse anziane e la sfida del vivere insieme è ancora più forte! A mio avviso tutti questi piccoli gruppi, nell’umiltà e nella discrezione, rappresentano piccoli laboratori di incontro delle differenze e la loro testimonianza è ancora più significativa sia per la Chiesa che per la società.
È definitivamente tramontato il tempo di autentici stuoli di religiosi/e che, dalla fine del XVII, il XVIII e ancora nel XIX secolo, spendevano la loro vita all’interno di scuole o di ospedali: non abbiamo più le forze per fornire, da soli, le risposte agli enormi bisogni che emergono dalla società moderna. Ciò che ci resta è la possibilità di rivolgersi alle persone che stanno sulla soglia, ai margini. Dobbiamo individuare percorsi più modesti sì, ma che siano ugualmente di aiuto e supporto alle persone. Da almeno 20 anni abbiamo avviato contatti con altri partner nella società per affiancarli nella loro azione a favore degli ammalati, i poveri, i migranti (ad esempio supporto amministrativo o corsi di alfabetizzazione). La vita religiosa diventa così solidale con la fragilità umana».
Fragilità
e fraternità
«Non riesco ad immaginare dei religiosi/e che vivano chiusi dentro i loro conventi incuranti del dolore della società» dichiara Jean-Yves Mercier, priore della Congregazione Nôtre-Dame d’Espérance a Croixrault. Una congregazione atipica: sorta nel 1966, riconosciuta ufficialmente nel 1984 dal vescovo di Amiens e associata all’ordine benedettino nel 1990, si è rapidamente ingrandita con diversi laboratori artigiani dove lavorano diversi disabili e le vocazioni si sono moltiplicate con provenienze anche dall’estero (Belgio, Spagna, persino Cameroun): «Noi viviamo della complementarietà delle nostre fragilità. Ciò che non va bene oggi, lo sarà domani. Quanto alla Regola di san Benedetto ha dovuto subire un adattamento perché sarebbe impensabile per noi seguire il ritmo della preghiera (la prima è portata alle 7.15) come abbiamo dovuto affidarci ad una cuoca per la preparazione dei pasti».
Ben prima che ammalati cui fornire i medicinali agli orari giusti o persone da accompagnare negli ambulatori medici questi consacrati vedono in queste persone dei fratelli, dono di Dio sulla loro strada.
Per un cristiano esistono ovunque delle persone da amare e si moltiplicano le congregazioni che scelgono di destinare il loro (talvolta cospicuo) patrimonio immobiliare per nuovi scopi di accoglienza alle nuove povertà. Una presenza – talvolta fragile e minima in quanto ai numeri – ma simbolicamente forte. Un po’ come dire che la vita di fraternità finisce per declinarsi in queste esperienze nell’accoglienza delle fragilità.
Un arcobaleno
colorato di iniziative
La comunità di accoglienza dei benedettini di Croixrault è solo un esempio dei tanti raccontati nella seconda parte del Rapporto: vediamo da vicino qualche iniziativa.
I «Giardinieri della creazione» sono i «Fratelli missionari della campagna», una comunità fondata nel 2012 con il carisma di un’attenzione particolare alle questioni ecologico-ambientali. Ne fanno parte Dominique (59 anni), Emmanuel (63), Claude (79) e Paul (78) tutti impegnati nel servizio pastorale all’interno della comunità locale, il borgo di La Carneille (circa 600 abitanti in Normandia). Ogni mattina, mentre Paul celebra la messa a Briuoze a 12 km di distanza, Dominique falcia l’erba nel comune limitrofo di Sainte-Opportune, Claude, procura il pane, saluta il proprietario del garage, chiacchiera 5 minuti con un vicino, scambia alcune battute con una signora che spesso partecipa alla loro preghiera ed Emmanuel interviene a Rouen in qualità di assistente diocesano dei ragazzi di Azione Cattolica.
La comunità vive al ritmo della natura: Emmanuel, ingegnere agrario, appassionato di botanica, specializzato in ecologia applicata, è membro del gruppo di lavoro sull’ambiente istituito in seno alla Conferenza episcopale francese e collabora ad un blog «Chiesa ed ecologia». Ha fatto sua la massima del sociologo ortodosso Michel Maxime Egger: «Non si potrà mai accudire e lavorare nell’orto senza coltivare il giardino della nostra anima, il nostro orto interiore». Claude, prima di entrare in convento a 23 anni, aveva lavorato nell’azienda agricola di famiglia, e oggi, motivato dalla Laudato Si’, è oltremodo felice di essere in questa avventura. «Non si tratta solo di differenziare rifiuti, noi siamo alla ricerca del Dio creatore. Non siamo venuti qui con una bandiera verde, ma per vivere il Vangelo da questa speciale angolatura. L'ecologia è una questione sociale cui i cristiani devono rispondere».
La comunità delle «Sorelle di Jeanne Delanoue» (1666-1736) si dedica alla promozione umana dei reclusi nella prigione di Joux-la Ville, in accordo con il vescovo locale (mons.Hervé Giraud di Sens-Auxerre suffraganea di Digione). Sono tre le religiose presenti a servizio dei detenuti e delle loro famiglie. «È super quello che state facendo qui!» esclama un’avvocatessa giunta fin lì da Parigi per un’udienza. Le religiose forniscono ospitalità ai familiari che si recano in visita ai loro cari, talvolta impossibilitati a ripartire in giornata o a pagare la spesa di un albergo. Le suore chiedono solo 15,00 euro a notte e la struttura è al completo ogni fine settimana con una frequentazione di oltre un centinaio di persone all’anno e nel corso della settimana ospita anche un detenuto che trascorre qualche ora di permesso insieme a un familiare.
Attiguo al carcere c’è un locale gestito da un’associazione che s’incarica dell’accoglienza delle famiglie in visita. Suor Simone fa da segretaria e in più aggiunge un sorriso, una tazza di caffè, un supporto per riempire i moduli che attestano quanto fornito ai detenuti … Suor Alphonsine si occupa invece dell’ascolto dei reclusi e prepara una riflessione cristiana due volte al mese: la religiosa è l’unico membro dell’équipe, costituita da una decina di persone, a fare da collegamento tra la sezione maschile (500 detenuti) e quella femminile (un centinaio di donne). «Questa missione mi ha confermato nel carisma della mia congregazione (circa 300 religiose in Francia, Madagascar, Indonesia e Mali): mi trovo molto bene con quello che altri hanno organizzato prima di noi».
«Inverno solidale» è un’iniziativa all’interno della diocesi di Parigi rivolta alle persone senza fissa dimora (tra i membri Guillaume, 27 anni, già capo scout, ingegnere navale). In uno scantinato attiguo alla chiesa della Trinità, Paris 9e, hanno ricavato delle camere con 3 letti ciascuna e una cucina. E’lì che ogni sera, a partire dalle 20.00, si consuma la cena in comune preparata con l’aiuto di tutti: mentre cuociono le vivande si discute del più e del meno (evitando con cura di essere troppo invadenti). Il mattino dopo segue la colazione.
Si calcolano tra le 150 e le 200 persone coinvolte, una volta la settimana o una volta al mese, con un’età media di 30 anni.
L’elenco potrebbe continuare con la «Casa Marta e Maria» aperta a Lione in una struttura messa a disposizione dalla diocesi dove vengono accolte mamme e neonati grazie all’aiuto di giovani studentesse o professioniste dai 25 ai 35 anni; o la «Demeure des Sources», una struttura per l’accoglienza dei malati psichici e ancora «Ensemble2generations-2 generazioni insieme», un appartamento dove abitano insieme Yvonne di 87 anni e Perrine di 20, ma ci sono anche esperienze di condivisione tra famiglie, di accoglienza migranti, o all’insegna del dialogo interreligioso («2 cattolici, 1 protestante e 1 musulmano= 4 amici»).
«Vedere queste persone felici, rende felice anche me» commenta Jude della Federazione Simone di Cirene.
Maria Teresa Pontara Pederiva