Mastrofini Fabrizio
Ha pianto con i Rohingya
2017/12, p. 0
Per dialogare, ha detto, occorre una “apertura del cuore”. Così, con uno stile rispettoso, ma sincero, davanti al Corpo diplomatico, le autorità dello stato, i rappresentanti della società civile, ha mandato a tutti un messaggio cristallino e inequivocabile.

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Il viaggio del Papa in Myanmar e in Bangladesh
HA PIANTO
CON I ROHINGYA
Per dialogare, ha detto, occorre una “apertura del cuore”. Così, con uno stile rispettoso, ma sincero, davanti al Corpo diplomatico, le autorità dello stato, i rappresentanti della società civile, ha mandato a tutti un messaggio cristallino e inequivocabile.
Il Myanmar può e deve essere la casa di tutti coloro che la considerano propria casa. Alla prima prova impegnativa, Papa Francesco davanti al Corpo diplomatico, le autorità dello stato, i rappresentanti della società civile, manda un messaggio cristallino. Almeno per chi legge. Sarà altrettanto evidente per chi avrà ascoltato? E per l’opinione pubblica birmana?
Dall’inizioalla fine
È il caso di riprendere questo argomento utilizzando la valutazione che Papa Francesco ha fornito nel viaggio di ritorno, parlando con i giornalisti. Rispetto alla polemica sulla decisione di non utilizzare il termine “Rohingya” durante la tappa birmana ma di incontrare un gruppo di profughi in Bangladesh, il Pontefice ha sottolineato che si è trattato di una scelta “che non mi ha impedito di dire la verità” nei colloqui diretti con la giunta militare e la presidente de facto Aung San Suu Chi. “Quando ho compreso che il messaggio era arrivato, mi sono ritenuto soddisfatto. Mi interessa far passare il messaggio, non mi interessa gettarlo in faccia con una condanna. Mi interessa il dialogo”. Ed ha aggiunto che l’incontro con i rifugiati era «una condizione» per effettuare questo viaggio. Molto forti comunque sono state le frasi usate dal Papa sia in Myanmar sia in Bangladesh, per invitare al dialogo interreligioso e alla costruzione di società aperte e tolleranti.
Prima tappaMyanmar
Parlando nel paese asiatico e della storia recente Papa Francesco rileva che «il suo tesoro più grande è certamente il suo popolo, che ha molto sofferto e tuttora soffre, a causa di conflitti interni e di ostilità che sono durate troppo a lungo e hanno creato profonde divisioni. Poiché la nazione è ora impegnata per ripristinare la pace, la guarigione di queste ferite si impone come una priorità politica e spirituale fondamentale». Il futuro del Myanmar «dev’essere la pace, una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e ad ogni gruppo – nessuno escluso – di offrire il suo legittimo contributo al bene comune».
E qui papa Francesco rivendica il ruolo pacifico e pacificatore delle religioni, in un paese dove violenza e fanatismo assumono coloriture religiose e dove i non buddisti (il 12% della popolazione di 51 milioni di abitanti) non hanno parità di diritti; i seminaristi ed il clero cattolico, ad esempio non possono votare. «Le differenze religiose non devono essere fonte di divisione e di diffidenza, ma piuttosto una forza per l’unità, per il perdono, per la tolleranza e la saggia costruzione del Paese. Le religioni possono svolgere un ruolo significativo nella guarigione delle ferite emotive, spirituali e psicologiche di quanti hanno sofferto negli anni di conflitto. Attingendo ai valori profondamente radicati, esse possono aiutare ad estirpare le cause del conflitto, costruire ponti di dialogo, ricercare la giustizia ed essere voce profetica per quanti soffrono. (…) Nel cercare di costruire una cultura dell’incontro e della solidarietà, essi contribuiscono al bene comune e pongono le indispensabili basi morali per un futuro di speranza e prosperità per le generazioni a venire». I temi della collaborazione e del dialogo interreligioso sono stati ribaditi nell’incontro con il Consiglio supremo buddista e poi con i vescovi.
Seconda tappaBangladesh
«Nel mondo di oggi, nessuna singola comunità, nazione o Stato, può sopravvivere e progredire nell’isolamento. In quanto membri dell’unica famiglia umana, abbiamo bisogno l’uno dell’altro e siamo dipendenti l’uno dall’altro». Con queste parole Papa Francesco si è presentato di fronte al presidente della Repubblica, alle autorità politiche del paese e al Corpo diplomatico, ricordando come i princìpi del dialogo, della collaborazione, della concordia, sono scritti nella Costituzione. Papa Francesco ha espresso parole di apprezzamento e sostegno verso l’aiuto fornito ai profughi provenienti dal Myanmar. Ed ha sottolineato quale è il significato della presenza cattolica, minoritaria, in questa nazione. «Il Bangladesh è noto per l’armonia che tradizionalmente è esistita tra i seguaci di varie religioni. Questa atmosfera di mutuo rispetto e un crescente clima di dialogo interreligioso consentono ai credenti di esprimere liberamente le loro più profonde convinzioni sul significato e sullo scopo della vita. Così essi possono contribuire a promuovere i valori spirituali che sono la base sicura per una società giusta e pacifica. In un mondo dove la religione è spesso – scandalosamente – mal utilizzata al fine di fomentare divisione, questa testimonianza della sua forza di riconciliazione e di unione è quanto mai necessaria. (…) I cattolici del Bangladesh, anche se relativamente pochi di numero, tuttavia cercano di svolgere un ruolo costruttivo nello sviluppo del Paese, specialmente attraverso le loro scuole, le cliniche e i dispensari. La Chiesa apprezza la libertà, di cui beneficia l’intera nazione, di praticare la propria fede e di realizzare le proprie opere caritative, tra cui quella di offrire ai giovani, che rappresentano il futuro della società, un’educazione di qualità e un esercizio di sani valori etici e umani. Nelle sue scuole la Chiesa cerca di promuovere una cultura dell’incontro che renda gli studenti capaci di assumersi le proprie responsabilità nella vita della società. In effetti, la grande maggioranza degli studenti e molti degli insegnanti in queste scuole non sono cristiani, ma provengono da altre tradizioni religiose».
Molto importante e suggestiva la messa a Dacca nel Suhrawardy Udyan Park e che rimarrà storica per la Chiesa cattolica del Bangladesh, che conta 380mila fedeli. Ha infatti ordinato 16 nuovi preti, che si vanno ad aggiungere ai 400 del Paese, che ha 160 milioni di abitanti, in stragrande maggioranza musulmani. Nel suo saluto a braccio, tradotto in bengalese e accolto da applausi, papa Francesco ha in particolare ringraziato i presenti (centomila persone), alcuni dei quali, ha detto, «so che hanno fatto un viaggio anche di due giorni per essere qui». Nella stessa giornata, venerdì 1 dicembre, c’è stato l’incontro interreligioso, al quale hanno partecipato induisti, buddisti, musulmani ed esponenti della società civile. Qui Papa Francesco ha parlato per immagini, rilevando che per dialogare occorre una “apertura del cuore” e possiamo immaginarla con tre caratteristiche: è una porta, una scala, un cammino
«In primo luogo, essa è una porta. Non è una teoria astratta, ma un’esperienza vissuta. Ci permette di intraprendere un dialogo di vita, non un semplice scambio di idee. Richiede buona volontà e accoglienza, ma non deve essere confusa con l’indifferenza o la reticenza nell’esprimere le nostre convinzioni più profonde. Impegnarsi fruttuosamente con l’altro significa condividere le nostre diverse identità religiose e culturali, ma sempre con umiltà, onestà e rispetto»
«’apertura del cuore – ha proseguito – è anche simile ad una scala che raggiunge l’Assoluto. Ricordando questa dimensione trascendente della nostra attività, ci rendiamo conto della necessità di purificare i nostri cuori, in modo da poter vedere tutte le cose nella loro prospettiva più vera. Ad ogni passo la nostra visuale diventerà più chiara e riceveremo la forza per perseverare nell’impegno di comprendere e valorizzare gli altri e il loro punto di vista. In questo modo, troveremo la saggezza e la forza necessarie per tendere a tutti la mano dell’amicizia».
«L’apertura del cuore è anche un cammino – ha aggiunto che conduce a ricercare la bontà, la giustizia e la solidarietà. Conduce a cercare il bene del nostro prossimo»
E venendo al concreto del Bangladesh, Papa Francesco ha avuto parole di apprezzamento per lo spirito di collaborazione. «Un’apertura, accettazione e cooperazione tra i credenti non solo contribuisce a una cultura di armonia e di pace; esso ne è il cuore pulsante. Quanto ha bisogno il mondo di questo cuore che batte con forza, per contrastare il virus della corruzione politica, le ideologie religiose distruttive, la tentazione di chiudere gli occhi di fronte alle necessità dei poveri, dei rifugiati, delle minoranze perseguitate e dei più vulnerabili! Quanta apertura è necessaria per accogliere le persone del nostro mondo, specialmente i giovani, che a volte si sentono soli e sconcertati nel ricercare il senso della vita!».
Parlando a braccio a clero, religiosi e religiose, il Papa ha insistito in particolare sulla “tenerezza” di Dio da vivere anche nelle comunità religiose e ha condannato il «terrorismo delle chiacchiere» come uno dei mali della vita comunitaria, dando suggerimenti su come evitarlo e affrontarlo. Inoltre ha insistito sul discernimento come stile di vita comunitario, e sulla “armonia”: un concetto caro alla società e alle religioni bengalesi ma che, ha detto, si può applicare con profitto anche alla vita religiosa.
Tema trasversalei giovani
Proprio quest’ultimo riferimento permette di apprezzare l’impegno che Papa Francesco sta mettendo per dialogare con i giovani e invitare le autorità religiose, politiche, sociali, di ogni paese visitato, a mettere i giovani al centro dell’attenzione. Papa Francesco ha lasciato Myanmar dopo aver celebrato la messa per i giovani. Tema ricorrente in questi giorni: a loro ha affidato il futuro della Chiesa e della società. Il giorno precedente, mercoledì 29 novembre, ai vescovi aveva chiesto di non dimenticarsi dei giovani e di metterli anzi al centro di ogni strategia pastorale. Soprattutto – ha detto ai vescovi – «vorrei chiedervi un impegno speciale nell’accompagnare i giovani. Occupatevi della loro formazione ai sani principi morali che li guideranno nell’affrontare le sfide di un mondo minacciato dalle colonizzazioni ideologiche e culturali. Il prossimo Sinodo dei Vescovi non solo riguarderà tali aspetti, ma interpellerà direttamente i giovani, ascoltando le loro storie e coinvolgendoli nel comune discernimento su come meglio proclamare il Vangelo negli anni a venire. Una delle grandi benedizioni della Chiesa in Myanmar è la sua gioventù e, in particolare, il numero di seminaristi e di giovani religiosi. Ringraziamo Dio per questo. Nello spirito del Sinodo, per favore, coinvolgeteli e sosteneteli nel loro percorso di fede, perché sono chiamati, attraverso il loro idealismo ed entusiasmo, a essere evangelizzatori gioiosi e convincenti dei loro coetanei».
Nell’ultima giornata, sabato 2 dicembre in Bangladesh, Papa Francesco ha invitato i giovani ad «accogliere e accettare coloro che agiscono e pensano diversamente da noi». È triste quando ci chiudiamo «nel nostro piccolo mondo e ci ripieghiamo su noi stessi», secondo il «principio del “come dico io o arrivederci” e rimaniamo intrappolati, chiusi in noi stessi». «Quando un popolo, una religione o una società diventano un “piccolo mondo”, perdono il meglio che hanno e precipitano in una mentalità presuntuosa, quella dell''io sono buono, tu sei cattivo». Ai giovani ha ricordato che solo «la sapienza di Dio ci apre agli altri. Ci aiuta a guardare oltre le nostre comodità personali e le false sicurezze che ci fanno diventare ciechi davanti ai grandi ideali che rendono la vita più bella e degna di esser vissuta».
Geopoliticadel viaggio
Sul piano sociale e geopolitico il viaggio del Papa – per noi che siamo in Occidente – apre un triplice scenario. Il primo riguarda il Myanmar, con la presenza sulla scena di questo paese di un nazionalismo radicato nel buddismo della scuola Theravada, che ha radici in Sri Lanka, in Thailandia e negli altri paesi del Sud-Est asiatico. In Occidente è piuttosto conosciuto il buddismo himalayano, Vajrajana, minoritario. La scuola Theravada attenua (in qualche caso annulla) il precetto della non violenza (ahimsa), in nazioni in cui la religione legittima il potere politico, con tutte le conseguenze in termini di nazionalismo, appunto, e rapporti con le minoranze.
Il secondo scenario riguarda la povertà. La visita alle Missionarie della Carità ha portato l'attenzione sulle condizioni di vita del Bangladesh, un paese con 160 milioni di abitanti, che ha fatto passi da gigante nella lotta alla povertà (è al quinto posto tra i più poveri, mentre il Myanmar visitato, subito prima dal Papa, risulta al terzo), ma nel quale 48 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà e il 25% della popolazione è classificato come estremamente povero.
Il terzo scenario è quello geopolitico, con il Papa nel viaggio di ritorno, sollecitato da una domanda sulla possibile crisi nucleare (in fondo la Corea del Nord non era così lontana come da Roma), ha sottolineato brevemente che il sistema politico mondiale sta scivolando verso “l’irrazionale”, ed anche il concetto di deterrenza nucleare sta perdendo significato. Ed ha poi preferito concentrarsi sul viaggio appena concluso. Ma questa breve digressione apre uno scenario sul pensiero del Papa e sulle possibili azioni future della diplomazia pontificia.
Fabrizio Mastrofini