Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2017/11, p. 36
Pakistan, Brescia, Riforma, Cristiani perseguitati

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Testimoni
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PAKISTAN
Asia Bibi forse presto libera
Asia Bibi, in prigione in Pakistan dal 2010, accusata di blasfemia e condannata a morte per presunte offese alla religione musulmana, potrebbe presto essere liberata. Lo ha dichiarato l’avvocato cristiano Khalil Tahir Sandhu, in un’intervista al giornale cattolico austriaco Kirche bunt in un servizio da Sankt Pölten del 5 ottobre: «Sono convinto, ha detto, che entro due o tre mesi sarà liberata». Sandhu, giurista e ministro per i diritti umani e le minoranze della provincia pakistana del Punjab, è difensore di Asia Bibi, assieme ad altri avvocati, davanti al Tribunale supremo di Islamabad. A suo parere, nella lotta per la liberazione di Asia Bibi «di grande aiuto» sono le dichiarazioni di solidarietà, le notizie diffuse dai media e le iniziative diplomatiche. Ha citato esplicitamente le 13 mila firme di sostegno recentemente inoltrate dall’ambasciatore tedesco. Asia Bibi fu incarcerata oltre otto anni fa nel suo villaggio di Ittanwali nella provincia del Punjab, ma le udienze di appello contro la sua condanna a morte, pronunciata nel 2010, furono più volte aggiornate. Verso la metà dello scorso mese di settembre il Parlamento europeo ha proposto Asia Bibi per il premio Sacharov dei diritti umani (Human Rights Award) di quest’anno. Le severe leggi del Pakistan sono state più volte applicate contro le minoranze, soprattutto verso i cristiani, ha dichiarato Sandhu. Il caso di Bibi Asia è solamente uno dei tanti. Secondo i dati, attualmente si trovano in prigione per accuse, basate sulla contestata legge della blasfemia, oltre 223 persone. Più della metà sono musulmani, ma in prigione ci sono anche molti cristiani, ha affermato Sandhu. Purtroppo, ha aggiunto, non esistono molte speranze di un cambiamento della legge sulla blasfemia «ma – ha sottolineato – possiamo fare qualcosa contro il suo abuso e le false accuse». Esiste anche un buono scambio con i ministri e il clero musulmani della regione. Anche i ministri musulmani regionali della provincia del Punjab avrebbero firmato un documento chiedendo che sia posto termine all’abuso della legge sulla blasfemia.
Brescia - Festival della Missione
Una religiosa 97enne, una laica e un sacerdote vincitori del “Nobel” dei missionari
Cristina, Giannantonia e Tarcisio: una laica, una religiosa e un sacerdote fidei donum sono i vincitori del Premio Cuore Amico, una sorta di “Nobel dei missionari” assegnato sabato 14 ottobre a Brescia all’interno del Festival della missione (12-15 ottobre).
La prima ad arrivare in missione è Giannantonia Comencini, al secolo Giovanna, che, maestra elementare, nel 1948, dopo la professione religiosa con le Pie Madri della Nigrizia (le Missionarie Comboniane), viene inviata in Eritrea. Durante la lunga traversata accusa forti febbri e viene messa in quarantena. Preoccupata di dover rinunciare, nasconde il dolore (perderà l’udito in un orecchio) e inizia il suo servizio come insegnante. Dopo aver visto le crudeltà della Seconda guerra mondiale, si ritrova in un Paese che in questi ultimi 70 anni non ha certo conosciuto lunghi periodi di pace. La religiosa veneta insegna, nonostante le situazioni esterne, «il gusto per la vita e l’arte della creatività». Semina la speranza in una terra nella quale la guerra e la paura sono le protagoniste principali. Fino al 1985 promuove la pace a partire dalla scuola. Raggiunta la pensione, non abbandona la popolazione che le è stata affidata anche perché la guerra con l’Etiopia presenta un conto salato. Decide di dedicarsi all’umanità emarginata, ai più poveri tra i poveri. Ancora oggi, a 97 anni, li cerca negli angoli delle strade e li aiuta a rialzarsi. E chi ricomincia a vivere, poi aiuta gli altri a superare il senso di abbandono.
Cristina Togni, missionaria laica del Pime, classe 1964, parte nel 1996 dopo aver conseguito un diploma nell’assistenza dei disabili mentali. In Cambogia trova le ferite sanguinanti del periodo dei Khmer rossi (1975-1979). Per non parlare della presenza cattolica ridotta a 7mila unità, quando, solo nel 1970, si stimavano in 65mila. L’obiettivo di Cristina è promuovere uno sviluppo caritatevole in dialogo con tutto il mondo buddhista. Si inserisce subito nell’Ong “New Humanity” istituita dal Pime, occupandosi dello sviluppo rurale a Kandaok dove la popolazione è principalmente dedita alla coltivazione del riso. Osservando le aree rurali, si accorge delle esigenze formative dei bambini e delle famiglie che crescono i figli con una disabilità fisica e mentale ma che devono fare i conti con una mentalità diffusa: la disabilità è vista come una punizione. Cristina sposa, quindi, la causa degli ultimi. Nasce così nel 2011 il “Disabled Day Care Centre”, un piccolo centro di ospitalità diurna per bambini, giovani e adulti disabili mentali. Nel 2016 avvia una scuola per bambini autistici.
L’Africa è nel cuore anche di don Tarcisio Moreschi. Prima in Burundi dal 1976 al 1980 (viene espulso in seguito alle leggi razziali), poi in Zaire per 10 anni dove si mette a disposizione di un centro di riabilitazione per bambini disabili. Tornato in Italia, nel 1993 raggiunge la sua nuova meta: la Tanzania. Oltre alla pastorale, si prende cura dei tanti ammalati di Hiv, organizzando un servizio mensile di pacchi viveri per le mamme ammalate e sole, e degli orfani che vivono in strada. Oggi la parrocchia di Mtwango gestisce 30 scuole materne. Nel 2006 si trasferisce nel villaggio di Ilembula dove nel dicembre 2016 inaugura la prima chiesa. In mezzo, la costruzione di un ospedale dotato di radiologia, di sale operatorie e autonomo dal punto di vista energetico. Sempre in questi anni, realizza molte opere, fra queste un orfanotrofio, una scuola a indirizzo agronomico, laboratori di falegnameria e meccanica e un centro socio-riabilitativo per i disabili nella savana.
Concluso l’anno della Riforma luterana
Un breve bilancio
Il 31 ottobre è terminato l’anno della celebrazione dell’anniversario dei 500 anni della Riforma di Lutero, a cui ha partecipato anche la Chiesa di Roma. Il cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, nel corso di un’intervista ne ha tracciato un breve bilancio. Anzitutto ha definito molto positivo che una commemorazione comune sia stata celebrata con pochi toni polemici, come era accaduto spesso in passato. In questo caso, il fatto di concentrarsi su ciò che vi è in comune per celebrare insieme una festa di Cristo, «per me – ha detto – è stata la migliore idea ecumenica». «Nel commemorare la Riforma, ha affermato, si è accentuato soprattutto ciò che abbiamo in comune».
Restano tuttavia ancora degli ostacoli, sulla via dell’ecumenismo. Il maggiore è spesso identificato nel fatto che gli evangelici e i cattolici non hanno un’idea comune sullo scopo dell’ecumenismo: «In effetti, questo è il problema principale. Abbiamo raggiunto il consenso su molti problemi riguardanti la fede, ma non ancora su ciò che è l’obiettivo. Senza un fine comune, diventa difficile cogliere le successive tappe del cammino. Il problema sta nel fatto che ambedue le parti oggi usano la stessa formula ma in senso diverso».
È stato chiesto al cardinale: “Si potrebbe definire lo stato dell’ecumenismo in questa maniera: su Dio siamo concordi; ma sulla Chiesa?”.
«Vorrei rispondere – ha detto – in maniera teologica e biblica: Siamo concordi su Cristo, ma non sul suo Corpo, ossia sulla Chiesa. Ambedue formano un tutt’uno inseparabile, poiché Cristo nel suo Corpo vuole essere presente, e lo è. Il rapporto tra Cristo e il suo Corpo continua tuttavia a rimanere un problema aperto».
Oggi si parla molto oggi della “diversità riconciliata”. A una domanda su questo tema, il cardinale ha risposto: «L’attuale situazione è così intesa: siamo già riconciliati, ma rimaniamo diversi, dovremmo ora soltanto riconoscerci reciprocamente come Chiesa; allora sarebbe raggiunto lo scopo. Dal punto di vista cattolico, la “diversità riconciliata” è l’obiettivo: dobbiamo lavorare sui problemi ancora aperti in modo che non siano più motivo di divisione dal punto di vista ecclesiale. Una volta che questi sono riconciliati, possono allora rimanere anche le diversità». Negli anni scorsi si è parlato spesso anche di un “ecumenismo dei martiri”: i cristiani cioè, sono perseguitati e uccisi indipendentemente dalla loro confessione religiosa. Potrebbe essere anche questa una via per favorire l’unità? «L’ecumenismo dei martiri – ha risposto il cardinale– è anche per me la sfida più centrale dell’ecumenismo, soprattutto oggi in cui l’80% di tutti coloro che sono perseguitati lo sono a causa della fede. L’ecumenismo dei martiri costituiva già un tema importante con Giovanni Paolo II. Questo tema trova oggi una continuazione in papa Francesco il quale ha formulato così la sfida dei martiri: «Se i dittatori uniscono noi cristiani nella morte, come possiamo noi separarci nella vita?».
Ricerca di “Aiuto alla Chiesa che soffre”
Cristiani perseguitati e dimenticati
Secondo una ricerca effettuata in Gran Bretagna dalla onlus “Aiuto alla Chiesa che soffre”, dal 2015 al 2017, in molti Paesi, la persecuzione contro i cristiani ha raggiunto la punta più alta. Lo ha affermato il portavoce John Pontifex, il 16 ottobre, nel corso di una conferenza stampa. «Se si guarda – ha dichiarato – alla gravità, alle conseguenze dei crimini commessi e al numero delle persone colpite appare evidente che la persecuzione è aumentata.
Cause della persecuzione, secondo i dati presentati, sono le crescenti aggressioni da parte di gruppi fondamentalisti a carattere religioso o politico. La ricerca, intitolata “Perseguitati e dimenticati” prende in considerazione 13 paesi in cui negli anni scorsi ci sono stati attacchi particolarmente gravi contro i cristiani. Inoltre segnala nei paesi considerati anche il grado di libertà religiosa esistente.
Punti focali della persecuzione contro i cristiani sono soprattutto paesi a carattere musulmano, ma anche stati con governi autoritari come l’Eritrea e la Corea del Nord. Le milizie islamiste, come il cosiddetto “Stato Islamico” in Medio Oriente o “Boko Haram” in Nigeria e nei paesi confinanti, non hanno però colpito esclusivamente i cristiani. Questi sono, tuttavia, il gruppo maggiormente preso di mira.
La ricerca cita, come caso tipico, i dati della città siriana di Aleppo. In questo luogo, il numero dei cristiani sarebbe diminuito, a causa del persistere della guerra civile, da 150.000 a soli 35.000. Pontifex ha affermato che «i rappresentanti del Medio oriente lamentano di sentirsi dimenticati dalla società internazionale e il fatto che non vengano tenuti presenti i bisogni dei cristiani espulsi». La ricerca prende in considerazione anche la persecuzione contro i cristiani per cause politiche. È il caso della Cina, dove si calcola che oltre 100 milioni di cristiani, dopo una fase di leggera apertura, sono oggi oggetto di una nuova pesante repressione. Per esempio, nella provincia di Zhejang, sono state rimosse più di 2000 croci dalle chiese e alcune di queste sono state persino distrutte. Inoltre, di continuo dei chierici vengono arrestati, per obbligarli a giurare fedeltà alla religione politica dello Stato.
a cura di Antonio Dall’Osto