Pioniere di un nuovo pensiero
2017/11, p. 18
Pavel A. Florenskij, sacerdote ortodosso, teologo, filosofo,
scienziato, è stato l’anticipatore di una concezione olistica
del mondo, di una conoscenza interdisciplinare e
interculturale in grado di tenere insieme le diverse forme
della razionalità e del sapere, dalla matematica alla
teologia, dalla logica alla mistica.
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Testimoni
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Prof. Natalino Valentini su Florenskij a 80 anni dalla morte
PIONIERE
DI UN NUOVO PENSIERO
Pavel A. Florenskij, sacerdote ortodosso, teologo, filosofo, scienziato, è stato l’anticipatore di una concezione olistica del mondo, di una conoscenza interdisciplinare e interculturale in grado di tenere insieme le diverse forme della razionalità e del sapere, dalla matematica alla teologia, dalla logica alla mistica.
– Prof. Valentini, il 7-8 dicembre prossimo ricorreranno gli 80 anni dall’uccisione di Pavel Aleksandrovič Florenskij. Sacerdote ortodosso, teologo, filosofo, scienziato (e molto altro), ucciso dopo cinque anni di gulag nelle epurazioni staliniane. Quando e come ha incontrato la sua figura e il suo pensiero?
Nella seconda metà degli anni ’80, dopo gli studi in filosofia (a Bologna), mi iscrissi all’ISSR dell’università di Urbino, diretto allora dal filosofo don Italo Mancini, che in quegli anni aveva concentrato la sua attenzione sul pensiero religioso russo e in particolare sull’opera di Dostoevskij, ripensandola in chiave filosofico-teologica. Fu un’esperienza per me molto stimolante sotto il profilo teoretico e spirituale.
In alcuni di questi incontri, a margine delle sue illuminanti lezioni, il prof. Mancini mi invitò ad approfondire la figura di Pavel Florenskij, a partire dallo studio sull’icona (Porte regali) e del suo poderoso capolavoro La colonna e il fondamento della verità, allora già disponibile nelle edizione Rusconi a cura di E. Zolla.
Poi, nel gennaio del 1988, ebbi l’occasione di partecipare al primo convegno internazionale a lui dedicato che si svolse all’università di Bergamo, promosso dalla prof. Nina Kauchtschischwili, celebre studiosa di slavistica che svolse un’azione pioneristica nella ricerca e nella diffusione dell’opera del pensatore russo nel nostro paese. Fu grazie al suo appassionato interesse scientifico e alla premurosa relazione di amicizia che i miei studi florenskijani subirono ulteriori impulsi e progressivi sviluppi.
Il concilio del 1917-1918
– Quest’anno sarà anche il centenario del concilio di Mosca (1917-18). Qual è stata la partecipazione di Florenskij a quell’evento?
Il concilio di Mosca fu uno dei momenti di maggiore autocoscienza raggiunto dalla Chiesa ortodossa russa, un evento di eccezionale rilievo ecclesiologico, ma anche culturale e sociale.
Pur mantenendo la caratterizzazione di concilio locale, il Concilio di Mosca del 1917/18 ha di fatto assunto una portata universale, costituendo per molti versi un modello per il resto del mondo cristiano, non soltanto ortodosso, con influssi rispetto ai contenuti che hanno avuto risonanza persino sul concilio ecumenico Vaticano II.
Come hanno rimarcato i maggiori studiosi di quella fase, alcune delle scelte assunte dalla Chiesa russa in quegli anni hanno contribuito in modo determinante alla sua sopravvivenza nel periodo sovietico, ponendo le basi del suo attuale rinnovamento, ad esempio rispetto alla questione del ristabilimento del patriarcato, della concezione dei concili, della rinascita delle parrocchie e così via.
Già il prezioso lavoro preparatorio, avviato negli anni che precedettero l’apertura ufficiale, diede impulso ad un’esperienza sinodale di straordinaria rilevanza, soprattutto per la qualità dei materiali elaborati e del metodo messo in atto.
Anche padre Florenskij (insieme all’amico teologo Sergej Bulgakov e ad altri) venne coinvolto in alcune di queste fasi, soprattutto per la preparazione degli strumenti di discussione inerenti la riforma liturgica e, in particolare, la spinosa questione della disputa teologica intorno alla glorificazione del Nome di Gesù, l’onomatodossia (Imeslavje).
Purtroppo, l’irrompere violento della Rivoluzione congelò il concilio già nella sua fioritura e vanificò il prezioso lavoro compiuto. Il concilio del ’17/’18 fu un concilio di martiri: moltissimi dei suoi membri furono uccisi come confessori della fede ancor prima dell’interruzione dei lavori (settembre 1918) come testimoniano diversi documenti recenti; altri, come sappiamo, vennero perseguitati, eliminati o costretti all’esilio.
– Quando il pensiero e la testimonianza martiriale di Florenskij sono entrate nella consapevolezza della Chiesa ortodossa russa? Aveva dei rapporti con i fuoriusciti di San Sergio a Parigi?
La recezione dell’opera e della testimonianza di padre Pavel è abbastanza recente e per molti decenni, dalla data dell’arresto (1933) fino all’inizio degli anni ’90, il suo nome è stato completamente dimenticato. Questa grave cancellazione della memoria, messa in atto dal regime sovietico, ha coinvolto, tranne qualche eccezione, anche gran parte della coscienza ecclesiale.
Come emerge chiaramente dagli atti del processo farsa architettato contro di lui e resi noti solo nel 1992, consapevole dei rischi e delle persecuzioni in atto, Florenskij subisce umiliazioni e violenze, fino all’atto estremo del sacrificio di sé per rendere possibile la liberazione di altri compagni di cella.
Ciò nonostante, a parte qualche sporadico tentativo di avviare un riconoscimento martiriale della sua testimonianza, occorre attendere il 2007 per avere un pronunciamento ufficiale, da parte dell’allora patriarca di Mosca, Alessio II, di apprezzamento e di pieno riconoscimento culturale, spirituale ed ecclesiale della sua opera.
Tuttavia, l’influsso del suo pensiero sulla rinascita della nuova coscienza spirituale in Russia e della stessa Chiesa ortodossa russa è indubbio, sebbene ancora limitato rispetto alle sue potenzialità. Come risulta anche dai pronunciamenti teologici del Patriarcato, in particolare dagli scritti del metropolita Ilarion Alfeev, il ricorso al suo pensiero avviene ancora “a dosi omeopatiche” e talora in modo strumentale, isolando qualche frammento dall’integrità dell’insieme.
Florenskij è stato il pioniere di un nuovo pensiero, l’anticipatore di una concezione olistica del mondo, di una conoscenza interdisciplinare e interculturale in grado di tenere insieme le diverse forme della razionalità e del sapere, dalla matematica alla teologia, dalla logica alla mistica.
A ottant’anni dalla sua morte si avverte ancora un certo imbarazzo e molta esitazione da parte della Chiesa ortodossa russa nel mettere in atto un confronto autentico e spregiudicato nei confronti di questo “pope-scienziato”, martire della verità e genio del pensiero cristiano del XX secolo.
Memoria pericolosa
Quanto ai rapporti con l’Istituto San Sergio di Parigi e con la diaspora russa ivi raccolta, essi sono confermati da diverse testimonianze, in particolare dai fitti scambi epistolari con alcuni dei principali pensatori ortodossi, in particolare con padre Sergej Bulgakov, il quale, alla notizia della morte dell’amico appresa solo dopo anni dal suo reale accadimento, scrisse un memoriale intenso e struggente su padre Pavel, definendolo non solo un genio, ma “un’opera d’arte”, sollecitando a ripensare la sua eredità culturale alla luce della sua personalità e della sua opera testimoniale, della sua fedeltà insopprimibile alla verità pagata con il sangue.
Molto efficacemente sempre l’amico Bulgakov ebbe a sottolineare a questo proposito: «Si può dire che la vita lo abbia posto di fronte alla scelta tra Solovkij e Parigi, e che egli abbia scelto la sua patria, fosse anche Solovkij, perché voleva condividere fino in fondo il destino del suo popolo. Padre Pavel non voleva e non poteva organicamente diventare un émigré, separarsi volontariamente o involontariamente dalla sua patria. Lui e il suo destino sono la gloria e la grandezza della Russia e, nello stesso tempo, il suo più grande delitto».
– Quali sono, a suo avviso, le opere maggiori di questo “Leonardo da Vinci della Russia”, come venne definito da alcuni suoi contemporanei? Potrebbe indicare i campi scientifici in cui è stato presente e ha lasciato traccia?
È molto difficile rispondere a questa domanda, non soltanto perché l’opera di questo grande genio del pensiero del XX secolo spazia nei più disparati campi dello scibile (dalla matematica alla geometria, dalla filosofia alla spiritualità, dalla teologia alla cosmologia, dalla teoria dell’arte alle più innovative teorie del linguaggio e della tecnica) con singolare originalità, competenza e profondità, ma anche per la stretta interconnessione di ogni aspetto della sua elaborazione con una visione d’insieme, con quella Weltanschauung integrale incessantemente ricercata. Contemplare il mondo con un unico insieme è stato l’obiettivo perseguito tenacemente per tutta la vita, ma ogni volta da un diverso punto di vista.
Tra le opere che considero personalmente più rilevanti segnalerei soprattutto La colonna e il fondamento della verità, un’intensa e originale opera di teodicea ortodossa in dodici lettere a un amico, considerata un capolavoro della filosofia cristiana del XX secolo.
Accanto ad essa, sebbene meno sistematica anche se ancor più ricca di folgoranti intuizioni, risalta La filosofia del culto, un’opera di fenomenologia della religione e di antropologia teologica incentrata sul culto quale sorgente originaria della cultura e della filosofia, ma anche dei divini misteri, della vita liturgica e sacramentale cristiana.
Di straordinaria rilevanza teoretica è inoltre la raccolta di scritti di “antropodicea”, dal titolo U vodorazdelov mysli. (Čerty konkretnoj metafiziki) – Agli spartiacque del pensiero. Lineamenti di metafisica concreta, pubblicata solo in parte in traduzione italiana, purtroppo frammentariamente. In essa si intrecciano mirabilmente le avvincenti teorie cosmologiche e biologiche, le tesi sulla spazialità e la temporalità, l’arte e il linguaggio umano, il simbolo e la forma, l’immagine e la parola, la sezione aurea e la temporalità. Insomma, un’opera nella quale trova fondamento la relazione viva tra pensiero e linguaggio, si dispiega la concezione della scienza come descrizione simbolica a partire da un rinnovato confronto con la forma, anzi, con la sua incarnazione; la ricerca della forma, quale principio creativo della realtà.
Gli ambiti specificamente scientifici dei quali padre Pavel si è occupato sono davvero tanti: dal principio di discontinuità alle funzioni di variabili reali, dalla teoria dei numeri e dei quanti alla teoria della spazialità, dalla geometria non-euclidea, agli immaginari in geometria e alla quarta dimensione, dalla monadologia all’insiemistica e all’asimmetria, senza trascurare l’attenzione riservata alle questioni più specialistiche di elettrotecnica, alle diverse applicazioni della chimica organica e dei materiali (in particolare gli isolanti elettrici), fino alle questioni cruciali del rapporto tra macrocosmo e microcosmo, scienza e tecnica, mente e corpo.
Ricordiamo, inoltre, il suo costante interesse scientifico per le questioni di cosmologia, per la biosfera e noosfera, in dialogo soprattutto con Vladimir Vernadskij (uno dei fondatori della moderna geochimica).
Esaminando questo vasto repertorio epistemologico, elaborato a partire da un solido pensiero matematico, ma seguendo sempre un approccio multidisciplinare, scopriamo che Florenskij anticipa di oltre mezzo secolo molte delle questioni oggi al centro del dibattito scientifico, quali la cibernetica, le neuroscienze, l’interdipendenza dei saperi e molto altro.
Non dimenticatemi
– Lei è stato curatore di buona parte delle sue opere in italiano. Potrebbe ricostruire per cenni la recezione in Italia della figura di Florenskij?
In estrema sintesi, distinguerei diverse fasi della diffusione delle sue opere.
La prima venne inaugurata da Elemire Zolla negli anni ’70, con la pubblicazione de La colonna e del celebre saggio sull’icona (Porte regali).
Fece seguito, negli anni ’80 e ’90, un’offerta piuttosto diversificata di opere sulle teorie dell’arte (La prospettiva rovesciata, Lo spazio e il tempo nell’arte, …) curate da Nicoletta Misler, e di teoria del linguaggio e della parola (Attualità della parola; Il valore della parola …), avviata da Nina Kauchtschischwili, la prof. Donatella Ferrari-Bravo e da altri studiosi.
Ma solo dalla fine degli anni ’90 è stato possibile portare alla luce opere di straordinario valore testimoniale, fondamentali per la conoscenza della personalità e della vita interiore del pensatore russo: penso soprattutto alle lettere dal gulag inviate ai figli e alla moglie (“Non dimenticatemi”), un epistolario che è uno straordinario microcosmo sapienziale e una potente sintesi pedagogica al tempo stesso.
Altrettanto significative, nella stessa prospettiva, restano inoltre le formidabili e intense memorie dell’infanzia e della giovinezza (Ai miei figli) che, oltre a contenere sorprendenti e rivoluzionarie teorie sulla scienza, la natura e il pensiero infantile, custodiscono i tesori tra i più preziosi della percezione florenskijana simbolico-ontologica ed estetica del mondo.
A partire da questi scritti, insieme all’amico Lubomir Žak, abbiamo cercato di proporre diverse opere inedite, ricentrando l’attenzione sul versante teologico e spirituale, strettamente congiunto con quello epistemologico, ma soprattutto tentando di proporre una nuova prospettiva ermeneutica incentrata sull’ontologia trinitaria e l’epistemologia del simbolo, su un rinnovato rapporto tra filosofia e teologia, tra cristianesimo e cultura, scienza e simbolo.
In questa direzione si collocano anche gli altri scritti (oltre 15 pubblicazioni) sull’idealismo, lo stupore, la dialettica, la bellezza, l’educazione…, da me proposti e curati dal 2000 ad oggi, passando attraverso la prima raccolta di scritti di filosofia della scienza (Il simbolo e la forma, pubblicato per Bollati-Boringhieri nel 2007), fino all’ultimo volume La filosofia del culto.
Feroce macchina del totalitarismo
Indubbiamente, la conoscenza e la diffusione delle opere di Florenskij in Italia si è notevolmente intensificata negli ultimi vent’anni (si pensi che “Non dimenticatemi” viene ristampato ogni anno e siamo giunti alla 16ª edizione). Tuttavia, la recezione complessiva del pensiero di Florenskij procede nel nostro contesto culturale con molta lentezza ed esitazione, soprattutto in ambito accademico, ove questo autore viene percepito ancora con diffidenza e sospetto, in gran parte proprio a causa della sua visione multidisciplinare, difficilmente riconducibile a un “sistema” di pensiero precostituito e schematico.
Tra le recezioni più generose e significative della sua opera non sono mancate piacevoli eccezioni messe in atto da pensatori quali Massimo Cacciari, Augusto Del Noce, Italo Mancini, Sergio Quinzio… Qualche timida recezione si è registrata anche in ambito teologico cattolico (Bruno Forte, Piero Coda, Giuseppe Lorizio, Giorgio Mazzanti…), ma gli esiti più promettenti sono soprattutto sul versante epistemologico, penso soprattutto al matematico Paolo Zellini e al filosofo della scienza Silvano Tagliagambe.
– Professor Valentini, come si è collocato e comportato Florenskij rispetto al nascente comunismo russo e al regime dittatoriale avviato con la rivoluzione dell’ottobre 1917?
Egli aveva intuito con molto anticipo ciò che stava accadendo all’interno della cultura e della società russa, adoprandosi in vari modi per scongiurare le derive dell’ideologia bolscevica e della feroce macchina del totalitarismo che da quella trasse alimento.
Dopo la rivoluzione del 1917, a differenza di molti altri intellettuali russi che scelsero la via dell’esilio, egli si convinse della necessità di stare al fianco della comunità che soffriva soprusi e violenze, nella speranza di smascherare dal di dentro le mistificazioni ideologiche e politiche.
In questa prospettiva accetta l’insegnamento per tre anni al Vchutemas (Atelier superiori tecnico-artistici di Stato) e offre la sua collaborazione scientifica al piano di elettrificazione della Russia (presso la Glavelektro, l’Istituto Elettrotecnico di Stato), mettendo a disposizione la propria competenza in qualità di ingegnere elettrotecnico e la sua ricerca nel campo dei materiali elettrici e isolanti.
Ma Florenskij opera in questi contesti pubblici senza mai rinnegare la propria fede e vocazione ministeriale, presentandosi sempre in abito talare nonostante l’esplicito e reiterato divieto, correndo continuamente il rischio della censura e dello scontro con il regime. Ben presto, infatti, l’immagine pubblica del “prete-scienziato” diventa sempre più imbarazzante per il regime che non esita ad annientarlo completamente.
Egli viene arrestato una prima volta nel maggio del 1928, quindi incluso tra i soggetti socialmente pericolosi in quanto considerato «un oscurantista, una minaccia per il potere sovietico».
Socialmente pericoloso
Nei mesi immediatamente successivi alla sua scarcerazione, pur essendo perfettamente consapevole della recrudescenza del clima di persecuzione nei confronti della cultura ecclesiale e della sua persona, rinuncia alla possibilità dell’esilio a Parigi più volte offertagli, motivando la scelta con queste parole: «Ci sono stati dei giusti che hanno avvertito con particolare acutezza il male e il peccato presenti nel mondo, e che, nella loro coscienza, non si sono separati da quella corruzione; con grande dolore hanno preso su di loro la responsabilità per il peccato di tutti, come se fosse il loro personale peccato, per la forza irresistibile della particolare struttura della loro personalità».
Ora egli stesso è diventato tragicamente uno di questi giusti. A nulla servono le autorevoli prese di posizione in difesa del suo caso, come quella di L.K. Martens, direttore dell’Enciclopedia Tecnica, fermamente convinto che alla vita di Florenskij sia legata la stessa sorte della scienza sovietica; come pure i diversi tentativi di negoziazione della sua liberazione.
La piena consapevolezza di vivere in un momento storico tanto terribile accresce in padre Florenskij la fermezza interiore di non tradire mai e in nessun modo le proprie convinzioni, ma di viverle e di testimoniarle fino in fondo nella libertà, con perfetta persuasione e responsabilità personale. La fedeltà alla propria coscienza, soprattutto nel momento gravoso della sofferenza, esige la più perfetta libertà.
La consapevolezza di vivere in un momento storico tanto terribile si fa sempre più acuto, tanto da confessare alla figlia Olga, durante l’unica visita ricevuta al lager: «Questa è un’epoca tanto tremenda che ognuno deve rispondere di se stesso, io ho compreso che è soltanto l’ascolto della voce di Dio che devo seguire».
– Come si collocava rispetto all’intellettualità positivista e progressista del tempo? Perché ha polemizzato contro Tolstoj e dava un giudizio drastico sull’umanesimo occidentale?
Nel quadro culturale e politico ribollente e tumultuoso dei primi decenni del XX secolo in Russia, Florenskij si ritaglia una sua autonomia di pensiero distaccandosi nettamente dalla maggioranza degli intellettuali russi di derivazione neopositivista e progressista, appartenenti alla così detta intelligencija, ma distinguendosi al contempo anche dalla nuova coscienza religiosa russa, senza risparmiare una critica molto aspra nei confronti della teosofia e dello spiritualismo. Mentre intende oltrepassare la storica contrapposizione ottocentesca tra occidentalismo e slavofilismo, elabora una nuova prospettiva di pensiero in grado di tenere insieme scienza e teologia, filosofia e mistica, avanguardia e riscoperta della tradizione iconica, le nuove teorie estetiche del simbolo e del linguaggio con le forme canoniche della liturgia e dell’antica innologia.
Come sappiamo dalle sue Memorie, ancora studente liceale, Florenskij si rivolge a Lev Tolstoj con una lettera scritta in un momento cruciale della sua esistenza e del suo smarrimento interiore, ma la distanza dal grande scrittore appare presto incolmabile. Soprattutto egli considera intollerabile la riduzione tolstojana del cristianesimo a forma razionale, a sentimento morale, con la conseguente svalutazione e messa in ridicolo della Chiesa rispetto a ciò che la costituisce essenzialmente, a partire dalla vita liturgica e sacramentale.
Per ragioni analoghe, non risparmia sferzanti accuse verso la civiltà umanistica europea – seppure con qualche eccezione – dominata dalla pretesa antropocentrica, dal soggettivismo e dalla frammentarietà della conoscenza. Da quel momento, forma e contenuto iniziano a separarsi, come pure la realtà dal suo significato, la certezza formale dalla verità, la coscienza dalla verità, la verità dalla bellezza…; alla cultura contemplativo-creativa si sostituisce progressivamente quella rapace-meccanica.
Vicino a Romalontano da Wittenberg
– In che senso, nonostante la dura contrapposizione a Roma, ha anticipato il dialogo ecumenico e interreligioso?
In realtà, nell’opera di Florenskij non vi è mai un attacco diretto alla Chiesa cattolica, né tanto meno al papa. Certo non mancano qua e là sferzate nei riguardi di alcuni eccessi di razionalismo teologico e di dogmatizzazione del mistero, oppure di derive spiritualiste, che egli identifica con un certo cattolicesimo del passato, ma l’atteggiamento di fondo resta generalmente propositivo. Molto più critico risulta, invece, il giudizio nei confronti del protestantesimo. D’altra parte, egli non risparmia osservazioni altrettanto caustiche persino nei confronti della stessa Chiesa ortodossa russa, come si evince dallo scritto Dogmatismo e dogmatica, ma anche dall’opera Il concetto di Chiesa nella Sacra Scrittura .
Ciò nonostante, Florenskij resta, dopo Solov’ëv, un pioniere dell’ecumenismo del XX secolo, purtroppo ancora dimenticato e trascurato dalla sua stessa Chiesa. Le tesi sostenute un secolo fa in alcuni suoi scritti – in modo particolare in Cristianesimo e cultura – dovrebbero costituire un punto di riferimento imprescindibile per la teologia ecumenica.
Anticipando di mezzo secolo i pronunciamenti ufficiali delle Chiese e le storiche dichiarazioni sull’ecumenismo elaborate dalle diverse confessioni cristiane, egli non esita a pronunciarsi risolutamente a sostegno delle ardite Tesi di Lev M. Lopatin sull’unità e la perfetta comunione in Cristo di tutte le Chiese cristiane, evidenziando una sorprendente consonanza con alcune delle dichiarazioni elaborate diversi anni dopo dal concilio Vaticano II, soprattutto tramite il decreto sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio.
Questi richiami di padre Florenskij a un autentico ecumenismo, frutto del reciproco scambio di doni e dell’amore vicendevole, per un rinnovato cammino di comunione in Cristo, nonostante la loro rilevanza culturale, teologica e spirituale, restano oggi in gran parte ancora sconosciuti e disattesi, dentro e fuori l’Ortodossia.
La liturgia e il cosmo
– Lei ha scritto recentemente un’ampia introduzione a La filosofia del culto , tradotta per la prima volta fuori dalla
Russia. Come sintetizzerebbe la tesi del volume?
Si tratta di un’opera particolarmente intensa e articolata, frutto di un ciclo di incandescenti lezioni pubbliche svolte da padre Florenskij a Mosca nell’estate del 1918, non all’Accademia teologica, bensì in un contesto assolutamente laico, al centro di Mosca, esponendosi fin dall’inizio ai primi segnali di persecuzione.
Come altre opere dell’autore, essa tiene insieme, con sorprendente densità e rigore teoretico, filosofia e teologia, fenomenologia ed estetica, antropologia e sacramentaria, logica e mistica, per giungere a una sorta di sintesi globale, di visione cosmica del mondo che si regge su questo presupposto: «Le radici del visibile sono nell’invisibile, i fini dell’intelligibile nell’inintelligibile. E il culto è il punto fermo dell’universo per il quale e sul quale l’universo esiste».
La filosofia del culto è difficile da definire. È un’opera di filosofia della religione e, insieme, un compendio di antropologia teologica; un potente trattato di simbolica sacramentaria e, insieme, di fenomenologia e ontologia, di mistica e teurgia; certamente una delle più poderose opere del XX secolo dedicate alla liturgia.
Tuttavia, questo ardito progetto non si limita a ricollocare il culto al cuore della riflessione filosofica, considerandolo fulcro dell’ordinamento della vita e della visione del mondo, ma ha persino l’intento di mostrare come molti nuclei vitali, di cui si nutre inconsapevolmente la cultura secolarizzata e laicizzata, affondino le loro radici proprio in esso; e questo emerge dal confronto con il senso originario della filosofia, della scienza, dell’arte, delle forme psicologiche e della vita sociale.
La tesi di fondo di quest’opera indica nell’azione liturgica non soltanto un nucleo centrale rispetto all’intero universo, bensì, più radicalmente, il luogo dell’universo in cui le parti disarticolate del mondo si ricompongono in unità, si dispiegano nella loro piena verità e bellezza.
Una delle definizioni “chiave” dell’opera presenta il culto come «un cratere nel quale la lava non si copre mai di una crosta di pietra. È una finestra aperta nella nostra realtà, dalla quale si vedono altri mondi. È una breccia nell’esistenza terrena, dalla quale si riversano, da un altro mondo, rivoli che la nutrono e la rafforzano. La prima, fondamentale e più sostanziale definizione del culto è proprio questa: quella specifica parte della realtà, nella quale si incontrano immanente e trascendente, le cose terrene e quelle celesti, l’istante fugace e l’eterno, il relativo e l’assoluto, il mortale e l’immortale».
L’homo liturgicus è colui che può operare questa unità vivente dell’infinito e del finito, dell’eterno e del transeunte, testimoniando così la natura più autentica della religione che è quella «di unire Dio e il mondo, lo spirito e la carne, il significato e la realtà».
Sorprendente convergenza
– Il pensiero teologico e spirituale dell’Ortodossia sta entrando nella riflessione delle Chiese d’Occidente e della Chiesa cattolica. Quali possono essere i punti di maggiore interlocuzione con Florenskij?
A mio parere sono molteplici e tutti di straordinaria decisività e attualità. Penso, in particolare, a uno dei temi fondamentali quale quello del rapporto tra fede e ragione. Non certo casualmente l’enciclica Fides et ratio di papa Giovanni Paolo II cita Pavel Florenskij tra gli esempi più significativi per questo rinnovato confronto.
Allo stesso modo, la dilatazione degli spazi della razionalità, oltre le secche del razionalismo, evocata più volte da papa Benedetto XVI, trova nell’opera del pensatore russo una delle fondazioni epistemologiche più rigorose e persuasive. Sempre lo stesso pontefice ricorre al Testamento spirituale di Florenskij in due momenti decisivi del suo pontificato.
Ma anche l’attuale riforma della Chiesa messa in atto da papa Francesco incentrata sulla riscoperta della sinodalità ha profonde consonanze ecclesiologiche e spirituali con la concezione florenskijana della Sobornost’, della conciliarità-insiemità ecclesiale, nella quale, come egli sottolinea, «la Chiesa è organo tramite il quale nel mondo si riversa l’energia dello Spirito Santo, il cui contenuto è la Vita eterna: è questa la Pienezza di cui Cristo riempie il proprio Corpo che è la Chiesa».
Oltre a questi rimandi più immediati con gli ultimi pontificati ci sarebbero tanti altri versanti di sorprendente convergenza; penso a molte questioni cruciali inerenti la nozione di simbolo, il rapporto tra conoscenza e simbolo, verità e bellezza, tra teologia e cosmologia, la centralità di Cristo e dell’eucaristia, la concezione della mistica, della corporeità, della bellezza, della tecnica, dell’ecologia e di tante altre tematiche sulle quali la teologia cattolica contemporanea si sta cimentando, purtroppo trascurando molto spesso una prospettiva di confronto ecumenico con l’ortodossia contemporanea, che potrebbe trovare in Florenskij uno degli interlocutori privilegiati.
Come pensare e fare teologia oggi senza confrontarsi con l’ontologia trinitaria messa in atto da Florenskij? Come continuare a trascurare la sua estetica teologica, la potente concezione dell’antinomia dogmatica, della verità antinomica come essenza della fede, la sua folgorante teologia dell’amicizia, il dialogo della fede cristiana con le scienze contemporanee?
Lorenzo Prezzi