Ferrari Matteo
Il vocabolario dell'Avvento
2017/11, p. 15
Le tappe dell’Avvento di quest’anno B sono caratterizzate da quattro parole programmatiche: Vigilanza, Evangelo, Testimonianza, Grazia. E nella notte di Natale ascolteremo l’invito “a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza...».

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Entrare nell’Avvento con il lezionario dell’anno B
IL VOCABOLARIO
DELL’AVVENTO
Le tappe dell’Avvento di quest’anno B sono caratterizzate da quattro parole programmatiche: Vigilanza, Evangelo, Testimonianza, Grazia. E nella notte di Natale ascolteremo l’invito “a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell'attesa della beata speranza...».
Nell’ultima parte del tempo naturale, quando la luce cede sempre più spazio alle tenebre e la natura sembra addormentarsi, la Chiesa vive il tempo di Avvento, annunciando una storia non “chiusa” su se stessa, ma aperta ad un incontro. Il tempo natura diventa il linguaggio per dire la fede e mostra – usando una espressione di A. Rizzi – la sua “vocazione liturgica”. Dai testi biblici che la liturgia propone in questo tempo possiamo cercare di ricavare come un “vocabolario” dell’Avvento che ci guidi nella comprensione di questo tempo così importante per la vita cristiana.
I domenica: “Vigilanza”
«Vigilate» è la parola di Gesù con cui iniziamo questo tempo di Avvento. E’ l’ultima parola che Gesù lascia ai suoi discepoli e a tutti (Mc 13,37) per il tempo che essi dovranno vivere durante i giorni duri della sua passione (Mc 14,34.37.38), ma anche per tutto il tempo “dell’assenza dello sposo”, dalla sua Pasqua al suo ritorno.
Il Signore che ritornerà è paragonato ad un “padrone” partito per un viaggio il cui ritorno rimane sconosciuto ai suoi servi che nel frattempo devono custodire la sua casa. Il suo ritorno nessuno lo può prevedere. Egli può arrivare «alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino»! (Mc 13,35). Egli viene alla sera quando Giuda, uno dei suoi discepoli per denaro lo consegna nelle mani dei suoi avversari, di chi attenta alla sua vita (Mc 14,17). Egli viene a mezzanotte nel cuore delle tenebre e della notte quando Gesù si troverà “giudicato” (Mc 14,60-62) dal sinedrio, davanti al sommo sacerdote. Egli viene al canto del gallo quando anche l’amico in cui confidava (Sal 40,10) per tre volte lo rinnega e davanti agli uomini non lo riconosce (Mt 10,33)! Egli viene al mattino quando i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, lo consegnano nelle mani di Pilato (Mc 15, 1), lo affidano ad un tribunale pagano (cfr. E. Bianchi, Il Vangelo di Marco, Qiqajon, Magnano (BI) 1984, 249).
Così questa ultima parola di Gesù è diventata parola capace di interpretare ogni momento del presente dei suoi discepoli di tutti i tempi, che sempre «alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino» (Mc 13,35) corrono il rischio di tradirlo, di giudicarlo, di rinnegarlo, di condannarlo.
«Vigilate» non è una parola da conservare gelosamente perché torni utile in un lontano futuro… ma una “parola” che accompagna ogni passo della vita dei discepoli che camminano dietro il loro Maestro nel difficile tempo della passione e nel difficile tempo dell’assenza dello sposo, che è anche tempo dell’incontro e delle fedeltà.
Il grido di Gesù, che apre questo tempo di Avvento non è affermazione di una semplice assenza, ma indizio di una “presenza nascosta nelle sere, nelle notti, all’aurora, nelle mattine dei giorni dell’uomo. Una presenza che può diventare incontro - appunto Avvento! - perché «ora – ci dice la liturgia dell’Avvento – egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo… perché lo accogliamo!».
II domenica: “Evangelo”
Una seconda parola che la liturgia ci propone nel “vocabolario” dell’Avvento è evangelo. Se il primo termine – vigilanza, vigilare – era l’ultima parola di Gesù, affidata ai suoi discepoli prima della sua passione, il termine «evangelo» apre il Vangelo di Marco (Mc 1,1).
Tutto l’Antico Testamento è percorso dall’attesa di questa parola nuova da parte del Signore. I profeti annunciano l’avvicinarsi di araldi di belle notizie, di evangelizzatori. Isaia ad un popolo esule e scoraggiato parla di messaggeri di belle/buone novità, testimoni che, nonostante la debolezza che l’uomo sperimenta in sé e intorno a sé (Is 40,7), la parola del nostro Dio dura sempre (Is 40,8) ed è il fondamento certo su cui costruire il futuro. Nell’Antico Testamento questo termine è divenuto un termine tecnico per indicare un intervento di salvezza di Dio in favore del suo popolo Israele, evento atteso, sperato, invocato.
Il Vangelo di Marco raccoglie proprio questo termine dall’Antico Testamento per iniziare il suo racconto e si mette in continuità con le attese di Israele per parlare di Gesù di Nazareth, indicandolo così come l’evento di salvezza di Dio: «Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1). I primi discepoli di Gesù, ripensano alla loro esperienza vissuta con quell’uomo di Nazareth e chiamano la sua persona e il suo annuncio «evangelo», perché scoprono che proprio in lui si è compiuta quella parola definitiva di Dio capace di sanare e libera l’uomo in profondità.
Con l’espressione «Evangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio» non si indica solo la bella notizia che fu l’annuncio di Gesù Cristo in opere e in parole, ma anche e soprattutto la bella notizia che fu Gesù stesso, perché è in lui, nella sua umanità, che si realizza l’intervento definitivo di Dio in favore del suo popolo e dell’umanità.
Ma noi cosa abbiamo fatto di questa parola così preziosa, così forte? Se le prime comunità ebbero un’esperienza così forte del Signore risorto da riconoscere in lui l’«evangelo» di Dio, come mai noi abbiamo sminuito così tanto la portata di questo termine da renderlo capace di evocare quasi unicamente i quattro libretti che ci tramandano la vita e le parole di Gesù.
L’Avvento riporta questa parola al centro della nostra vita e ci invita ad interrogarci sul nostro modo di attendere Colui che viene. Infatti l’Avvento evangelizza il nostro tempo, il tempo di ogni uomo e dell’umanità annunciandogli che c’è qualcuno da attendere e che questo “qualcuno” è l’«evangelo» di Dio per la vita dell’uomo. L’Avvento ci ricorda che il Cristiano, non è colui che attende con paura e tristezza, un giudizio terribile e spaventoso da parte di Dio alla fine della storia, ma colui che sa che il tempo è custode di un bella notizia, di un «evangelo» di Dio che lo fa fermentare dall’interno, che crea novità lì dove tutto sembra “già detto”. L’Avvento ci ricorda che noi siamo prima di tutto custodi di questa parola nuova pronunciata da Dio in Cristo Gesù per liberare l’uomo da tutte le sue paure che lo tengono schiavo.
III domenica: “Testimonianza”
Una terza parola che incontriamo sul nostro cammino d’Avvento è «testimonianza». La liturgia della terza domenica affida questo termine alla voce e la volto di Giovanni Battista. Egli, Giovanni, uomo mandato da Dio, doveva rendere testimonianza alla luce: «Egli non era la luce, ma fu mandato per rendere testimonianza della luce» (Gv 1,8). Nel piano di Dio, nel suo progetto originario, «era la vita, e la vita era la luce degli uomini» (Gv 1,4). La luce della vita presente nel progetto di Dio, da sempre splende e si diffonde, nonostante le tenebre non l’accolgano, la luce splende nelle tenebre, è sempre disponibile, illumina (Gv 1,9), ed accoglie nella vita ogni uomo che viene nel mondo (Gv 1,9). Il progetto di Dio, che è vita in abbondanza, risplende nella luce ed illumina ogni uomo, ma l’uomo spesso non accoglie la luce nella quale risplende la vita e vive nelle tenebre, mentre è chiamato alla luce.
Questa luce-vita, rifiutata dagli uomini, prende carne in Gesù, in lui il progetto originario di Dio si manifesta e si incarna in pienezza. Egli «era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene nel mondo» (Gv 1,9). All’uomo accecato da una vita nella menzogna, il Verbo fatto carne rivela la via della vita. Giovanni viene «per rendere testimonianza alla luce», per destare nel cuore dell’uomo l’anelito alla luce. La sua è una testimonianza debole, sebbene la sua voce risuoni con coraggio e forza È una testimonianza, quella del Battista, che deve far risvegliare il desiderio di vita in pienezza che egli porta dentro di sé.
Per questo Giovanni è l’uomo dell’Avvento, perché egli rimane perennemente questa testimonianza che grida nel deserto per rendere attenti gli occhi degli uomini alla luce che inevitabilmente risplende.
Giovanni inizia la sua “testimonianza” resa alla luce parlando in negativo: egli non è la luce. Un altro è la luce del mondo ed egli è venuto per indicarlo presente, per dire che la luce risplende: «in mezzo a voi sta uno che non conoscete» (Gv 1,26). Un Altro deve essere al centro, un Altro deve essere atteso, un Altro è la vita vera, che risplende come luce.
Il tempo di Avvento nella figura di Giovanni ci richiama alla necessità di saper accorgersi di queste voci che dicono «non sono io» ma che sono vere testimoni della luce, capaci di risvegliare in noi il desiderio della vita e della luce e che ci indicano il volto di quell’Altro sul quale risplende in pienezza il progetto di Dio che dal principio è vita. L’Avvento in Giovanni ci dice che il provvisorio è il luogo nel quale nel tempo vive la testimonianza: è il luogo della non-idolatria perché non trattiene lo sguardo dell’uomo su di sé, non ha pretese di definitività ma ci rimette in cammino nella storia con lo sguardo fisso verso un compimento.
L’Avvento in Giovanni dovrebbe farci guardare con un po’ di sospetto chi dice «sono io», oppure, riferendosi al compimento del Regno, «eccolo qua… eccolo là» (Lc 17,23). L’Avvento dovrebbe farci guardare con sospetto ogni pretesa di definitività, perché è qui che nasce l’idolatria, che diviene la tenebra che ci impedisce di vedere la luce vera.
L’Avvento in Giovanni ci richiama alla testimonianza autentica da ricevere e da donare, ci fa scoprire la gioia di sapere che nelle piccole testimonianze provvisorie sta il segreto per incontrare colui nel quale risplende la vita in pienezza, per ascoltare la vocazione che portiamo nel cuore, quella del progetto di Dio che è vita.
L’Avvento che attraversiamo con lo sguardo fisso al futuro è in realtà un elogio del provvisorio (A. Louf), l’oggi, che diviene luogo di testimonianza dell’Assoluto che il cuore dell’uomo e della donna cerca. Così, alla scuola dell’Avvento, i nostri occhi divengono capaci di vedere come dalla semplice contemplazione della terra che produce la vegetazione, dall’estrema “provvisorietà” di un giardino il cui splendore dura pochi mesi, si può scorgere l’annuncio della salvezza di Dio che si manifesta e risplende (Is 61,11).
IV domenica: “Grazia”
Una quarta parola che troviamo sul nostro cammino d’Avvento ci salva dal credere che i nostri sforzi per preparare una strada nel deserto, per raddrizzare sentieri tortuosi, per abbassare colli e monti, per colmare le valli, siano ciò che costituisce questo tempo. Questa parola, che troviamo nel Vangelo di Luca dell’annuncio dell’angelo a Maria, è «grazia».
Si tratta di un termine molto caro a Luca. Egli lo usa abbondantemente sia nel suo Vangelo, sia negli Atti.
La “grazia” indica il dono di Dio, che è sempre come la manna che il Signore diede come cibo al popolo che camminava nel deserto verso la Terra. Essa si dissolve tra le mani di chi cerca di accumularla, di trattenerla e marcisce per chi la considera una garanzia automatica che non dipende ogni giorno da un atto libero e amoroso di Colui cioè che è realmente la fonte della vita.
Questo termine viene ad illuminare della sua ricchezza il nostro cammino di Avvento che ormai volge al termine. Giunti alle porte della celebrazione del mistero dell’incarnazione del Verbo e della sua manifestazione al mondo, troviamo questa parola che ci dispone a metterci in atteggiamento di umile e grata accoglienza. L’atteggiamento di chi sa che non ha nulla da dare ma tutto da ricevere gratuitamente.
È la disposizione di Maria che incontriamo nel racconto della annunciazione nel Vangelo di Luca. Ma prima ancora è ciò che risuona nel racconto che troviamo nel II Libro di Samuele, quando Dio promette a Davide una casa. Il re Davide pensa di essere lui a dover costruire un tempio, una casa sontuosa per il suo Dio. Anche il profeta Natan resta ammirato dai progetti del re, li crede progetti belli e grandi, ma la parola di Dio, in quella stessa notte, rivela che non sarà Davide a costruire una casa, ma Dio stesso costruirà per il re una casa (2Sam 7,11). Dio così smaschera ogni pretesa umana e pone costantemente davanti agli occhi degli uomini una lunga storia nella quale lui si è dimostrato fedele nell’agire in favore del suo popolo.
Nell’annuncio dell’angelo a Maria si manifesta in pienezza la grazia di Dio. Maria è salutata dall’angelo come «ricolmata dalla grazia» (v.28), e subito dopo le viene detto di non temere perché ha trovato grazia presso Dio. È Dio che sta edificando nel Figlio una casa per il suo popolo e per l’umanità, un luogo per una comunione piena con lui. Tutto questo si compie in un modo che afferma in maniera inequivocabile - una vergine/madre - che tutto è grazia! Dio è fedele alle sue promesse e una casa viene edificata non da mano d’uomo (At 7,48) ma da Dio stesso. Maria è la donna dell’Avvento proprio perché ci mostra una completa disponibilità alla grazia.
Nella notte di Natale leggeremo la stupenda lettura tratta dalla lettera a Tito che interpreta il Natale, l’incarnazione del Verbo, proprio così, come manifestazione della grazia: «è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna… a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell'attesa della beata speranza...» (Tt 2, 11-14). La quarta parola dell’Avvento illumina di una luce nuova la nostra vigilanza (I domenica), rende vero e reale il termine vangelo (II domenica) perché tutto allora è in modo permanente bella notizia; dà senso alla testimonianza (III domenica) da ricevere e da portare e ci dispone ad un’umile accoglienza! E’ questo il percorso che questo piccolo vocabolario dell’Avvento può suggerirci.
Matteo Ferrari osb-cam – Monastero di Camaldoli