Brena Enzo
Vita consacrata: risorsa o problema?
2017/11, p. 10
Dove si trova e come si pone la vita consacrata nella realtà ecclesiale e sociale attuale? Uno sguardo in chiave sociologica aiuta a cogliere aspetti problematici e segni di speranza, ma a certe condizioni.

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Testimoni
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VITA DELLA CHIESA
VITA CONSACRATA :
RISORSA O PROBLEMA?
Dove si trova e come si pone la vita consacrata nella realtà ecclesiale e sociale attuale? Uno sguardo in chiave sociologica aiuta a cogliere aspetti problematici e segni di speranza, ma a certe condizioni.
Un libro come regalo di compleanno – con il suo nome come autore – il monaco camaldolese Giovanni Dalpiaz non se lo sarebbe proprio aspettato. Ma lo ha ricevuto, confezionato da amici e confratelli che hanno raccolto in un volume alcuni suoi interventi, inediti e non, sulla nuova geografia ecclesiale mondiale, sulla realtà della fede dei giovani, sulla vita consacrata e sulla vita monastica femminile nella Chiesa. Il libro è un originale segno di gratitudine per il sapiente connubio realizzato nella vita dell’autore tra vita monastica e sociologia, messo a servizio dell’insegnamento e della realtà ecclesiale.
Le ricerche compiute da Dalpiaz per conto dell’Osservatorio socio-religioso Triveneto, lo hanno visto capace di andare oltre i numeri e interpretare in modo sapiente i dati raccolti, sapendo leggere in essi non solo variazioni di tendenze, ma anche il ruolo giocato da valori e motivazioni.
Nell’introduzione del volume, a più voci, gli viene riconosciuta la capacità di interpretare senza sconti la realtà della Chiesa in un contesto di secolarizzazione compiuta, di studiare il trend negativo delle vocazioni o le ricadute della globalizzazione, senza tentare giustificazioni teologiche o spirituali improprie. Anzi, le sue annotazioni critiche – sempre garbate e partecipi – hanno ripetutamente rilevato come il modello tridentino di parrocchia o di figura del prete non abbiano ancora trovato risposte alternative; come la Chiesa del concilio Vaticano II° non abbia ancora avuto una reale applicazione; come la stagione incerta dei decenni più recenti testimoni il declino in atto nell’istituzione Chiesa; e come la speranza di un futuro – soprattutto per la vita consacrata – non sia tramontata ma, per fruttificare, debba nutrirsi di realismo e di una autentica testimonianza evangelica.
Globalizzazione
e fede dei giovani
Testimoniare oggi la radicalità evangelica è cosa che deve fare i conti con le profonde trasformazioni sociali e culturali avvenute in ogni parte del mondo. Fino a che le persone rimangono nell’ambito della cultura di origine, o nel contesto di culture affini, le differenze possono essere più o meno accolte. I problemi seri sorgono quando l’incontro è tra culture diverse, tra individui educati in culture differenti. «La questione – fa notare Dalpiaz – non è se le culture tra di loro interagiscano, ma piuttosto come vengano a contatto l’una con l’altra e quali vincoli e ostacoli debbano superare per potersi incontrare».
Per millenni lo spazio è stato l’ostacolo principale che separava popoli e culture. Negli ultimi 50-60 anni lo spazio non costituisce più un problema per la conoscenza o l’incontro. Tecnologia e mezzi di comunicazione sempre più veloci e sofisticati per il trasporto delle persone, delle informazioni, delle idee e del lavoro, hanno fatto sì che da ogni parte della terra si possa conoscere tutto, purché si abbia l’opportunità di “navigare” nel vasto oceano dell’informazione globale.
Il processo di globalizzazione ha velocizzato tutto, palesando il sogno di onnipotenza che abita il cuore umano. Tuttavia non ha dato certezze. Per esempio, si è giunti a una società nella quale tutto pare possibile e in cui la prossimità virtuale fa parlare tra loro culture diverse, ma non assicura necessariamente una reale comunicazione e comprensione dell’altro; la facilità dei contatti porta con sé il fatto che tutto pare nascere e morire in un breve volgere di tempo e, di conseguenza, le cose vanno consumate subito, rapidamente; tutto è declinato al futuro, in un infinito campo di possibilità, ma nello stesso tempo non c’è spazio per nulla di definitivo, poiché il futuro è incerto e imprevedibile dal momento che può riservare il meglio o il peggio; norme, modelli, direttive che la tradizione aveva cristallizzato appaiono inservibili, ma non si sa come sostituirli...
Il clima di provvisorietà tipico del mondo globalizzato – dove la crisi è condizione ricorrente e ordinaria, e dove la continuità e stabilità sono un intervallo nel succedersi delle crisi – è protagonista anche del panorama ecclesiale attuale. La Chiesa sta divenendo sempre più marginale in Europa, sempre meno capace di attrarre, di proporre, sperimentando così una condizione di irrilevanza pratica. Il credere non è più socialmente rilevante, anzi, è ritenuto una questione del tutto privata. E questa, fa notare Dalpiaz, è anche l’opinione di molti che frequentano regolarmente le comunità parrocchiali. Si tratta, tuttavia, di «un cambiamento del quale appena intuiamo la portata, mentre sta già dando un volto nuovo all’esperienza ecclesiale».
Il segno più visibile di questo passaggio è quanto rivelano i sondaggi sulla fede nel mondo giovanile. Dalpiaz rappresenta la condizione della religiosità giovanile (frutto di una ricerca tra i ventenni) come una sorta di posizione di stabile instabilità, un «crinale» sul quale credere e dubitare si alternano in un movimento oscillatorio che non trova nel cuore della persona la possibilità di una risposta che, invece, viene fatta dipendere quasi interamente dalla credibilità del discorso ecclesiastico.
Come il contributo sulla globalizzazione, anche quello offerto da Dalpiaz in modo ben articolato sulla fede nel mondo giovanile è particolarmente illuminante, in grado di offrire utili spunti di riflessione, particolarmente per la prassi pastorale.
VC oggi:
realtà, crisi, sfide
Due terzi del volume sono dedicati alla ricerca e riflessione sui dati relativi alla vita consacrata in generale, alle vocazioni presbiterali e alla vita monastica femminile.
Anche qui, Dalpiaz invita a prendere coscienza di alcuni dati di fatto.
Anzitutto, riconoscere che la geografia della presenza ecclesiale nel mondo è mutata, passando da un plurisecolare eurocentrismo a una realtà globale, tanto più universale di quanto lo sia stato nel primo millennio della Chiesa.
In secondo luogo, ammettere che nell’attuale panorama socio-culturale il discorso religioso è divenuto marginale. Se una volta la religione era al centro della vita collettiva e ne condizionava valori e ordine sociale, oggi essa è posta alla periferia, considerata non come realtà pubblica, ma del tutto privata. Essa non scompare dalla società: semplicemente diventa una proposta, un progetto tra i tanti possibili, non più il progetto di tutta la società.
In terzo luogo, ravvisare che la religiosità si è attestata nel sentire della maggioranza come un fatto soggettivo, sia nel pensare l’atto del credere come i suoi contenuti. «C’è un diffuso consenso per la presenza sociale della Chiesa, per quello che essa fa. Ci si può però chiedere se analoga adesione vi sia per quanto la Chiesa è, per il suo magistero». Il dato di realtà mostra come «il diffondersi del soggettivismo nel credere è speculare alla crisi della credibilità del magistero ecclesiale, ben espressa nella divaricazione che si fa più evidente nelle giovani generazioni tra credere in Dio e appartenere alla Chiesa». Da qui si giunge a ritenere che la mediazione ecclesiale, compresa quella sacramentale, non è necessaria per avere un rapporto diretto con Dio, e ciò è evidente tra i giovani.
Sulla frontiera del credere si trovano presenze significative di religiosi/e che, da sempre, cercano nuove vie d’interpretazione della fede. Dalpiaz fa notare la «posizione scomoda» di questi consacrati: dal mondo ecclesiale sono percepiti come troppo aperti alla secolarizzazione, mentre dagli interlocutori esterni sono comunque sentiti come troppo vicini all’istituzione.
La scelta della vita consacrata è centrale e va ben compresa. Essa dice semplicemente che «il credere è un testimoniare la ricerca di Dio, un accompagnare i pellegrini di senso esistenziale e con loro compiere il viaggio che porta all’incontro con Gesù, per poi scoprire il senso dell’appartenenza ecclesiale». La vita consacrata costituisce in se stessa la scelta di mettere l’accoglienza e la misericordia di Dio al centro della propria vita, facendo di esse il cuore della propria esistenza, nella varietà dei carismi con cui lo Spirito santo ha arricchito la Chiesa nel corso della storia.
Oggi, la vita consacrata deve fare i conti con condizioni del tutto particolari. Si trova immersa in una condizione multiculturale, ormai ben visibile nella costituzione delle comunità; deve fare i conti con un ridimensionamento di personale e di opere che va di pari passo con un numero di anziani maggioritario rispetto ai/alle giovani; sperimenta una evidente disaffezione vocazionale – condivisa con il clero diocesano – che si radica in un fenomeno di denatalità tutto occidentale, a cui si aggiungono i tratti già evidenziati di una religiosità soggettiva e una posizione defilata nei confronti della Chiesa come istituzione e, in più, «una crescente difficoltà ad accettare legami interpersonali la cui durata non dipenda dalla volontà dei contraenti, ma sia definita una volta per tutte, ovvero rimanga “per sempre”».
Le suggestioni di Dalpiaz sui temi della crisi vocazionale, del ridimensionamento, della condivisione del carisma coi laici, della relazione della vita consacrata con la chiesa locale meritano di essere prese in considerazione. Così come risultano provocanti le annotazioni relative alla testimonianza che la vita consacrata è chiamata a dare al mondo attuale, condensata dall’autore nell’espressione: «testimoni dell’eterno in un mondo che cambia». Dove la testimonianza ha come oggetto la fedeltà di Dio e si manifesta come capacità di guardare oltre, sempre. Infatti, come puntualizza Dalpiaz, «non è saggio sfuggire alle difficoltà del tempo presente sognando o idealizzando il passato», poiché è oggi che il Signore ci ha chiamati a testimoniarlo, in mezzo a cambiamenti che mettono in discussione opere e strutture di evangelizzazione consolidate. Anche questo è un atto di fiducia di Dio nei consacrati, occasione da non perdere, per attingere al senso pieno della propria identità vocazionale.
VC e monachesimo
femminile
Lo sguardo rivolto alla vita consacrata e monastica femminile è concreto e garbato, ma senza falsi irenismi. Il punto di partenza è il realismo dei numeri, che non fa concessioni al nostro desiderio di avere un futuro.
E i numeri dell’ultima ricerca in campo monastico femminile (2009) parlano chiaro: dal 1989 il calo delle professe semplici e solenni è mediamente di 125 monache ogni anno; crescono le vocazioni provenienti dall’estero (nel 42% dei monasteri vivono persone provenienti dall’estero), tendenzialmente in aumento, con i relativi problemi di formazione e integrazione; dei 501 monasteri italiani, 70/80 sono in evidente crisi numerica e d’età, e necessitano di interventi di sostegno; 35/40 sono stabili, poiché la consistenza numerica e le nuove vocazioni sono garanzia di continuità; nel mezzo sta la maggioranza dei monasteri, indeboliti ma non esausti, con la presenza qua e là di vocazioni, comunque insufficienti a garantire una ripresa delle comunità; con l’invecchiamento, vengono meno le forze fisiche ed emergono fragilità caratteriali e psicologiche prima tenute sotto controllo; si coglie una certa disponibilità a rafforzare le collaborazioni a livello di federazioni, ma l’ipotesi di un passaggio a un modello congregazionale, analogo a quanto esiste nel monachesimo maschile, incontra forti e diffuse resistenze (per una concezione individualistica del “sui juris” e il timore di perdere la «propria» autonomia); la maggioranza vuole mantenere la clausura senza cambiamenti, ma il 36% dei monasteri vedrebbe opportuna una maggior flessibilità, per motivi di ordine pratico e per esigenze formative.
È ovvio che il desiderio di ripresa delle vocazioni, di rifioritura dei monasteri è legittimo e, per certi versi, doveroso. Ma i numeri non permettono voli pindarici sul futuro della vita monastica, così come per ogni altra forma di vita consacrata. La verità dei numeri e la verità delle aspettative richiama tutti alla questione più volte richiamata da papa Francesco: vogliamo arginare i problemi (= tappare i buchi), o immaginare percorsi/lanciare processi (= sollecitare una reale sinodalità comunitaria, una comunione responsabile)?
Gli stimoli offerti dal volume di Dalpiaz – anche nel dialogo in postfazione – sono meritevoli di considerazione e capaci di fotografare il punto in cui si trova la Chiesa e la vita consacrata attuale. L’autore ci invita, ricordando spesso le parole di papa Francesco, a risvegliare lo spirito del concilio Vaticano II°. Il processo di rinnovamento iniziato dall’evento conciliare non ha potuto realizzarsi per le tante resistenze, all’interno della Chiesa, che l’hanno contrastato e ancora lo contrastano. Nessuno possiede una sfera di cristallo per avere risposte pronte sul futuro, «ma forse potremmo cercarle, ponendoci in ascolto dello Spirito, che ha sempre in serbo delle sorprese».
Enzo Brena