Religiosi ed eutanasia
2017/11, p. 1
Per la delicatezza del tema eutanasia, per il diretto
coinvolgimento di una famiglia religiosa e per l’ampio
dibattito che attraversa i paesi occidentali vale la pena
riprendere le ragioni sia della condivisa fermezza dei
vertici della Congregazione e del Vaticano, ma anche il
punto di vista degli interessati.
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Frères de la Charité – Belgio
RELIGIOSI
ED EUTANASIA
Per la delicatezza del tema eutanasia, per il diretto coinvolgimento di una famiglia religiosa e per l’ampio dibattito che attraversa i paesi occidentali vale la pena riprendere le ragioni sia della condivisa fermezza dei vertici della Congregazione e del Vaticano, ma anche il punto di vista degli interessati.
All’interno delle istituzioni ospedaliere cattoliche non è consentita la pratica dell’eutanasia, anche quando la legge dello stato lo permetta. La provincia belga dei Frères de la Charité, o meglio l’Associazione che a nome e per conto della famiglia religiosa gestisce i 15 ospedali psichiatrici di sua proprietà, ritiene di non poter più aderire a questo imperativo e prevede di consentire l’intervento eutanasico non solo per i pazienti in fase terminale, ma anche per i malati psichici non terminali. La questione ha provocato un conflitto sia interno alla congregazione religiosa e coi vescovi, sia fra la provincia e le istituzioni vaticane. È diventato pubblico fra aprile e ottobre 2017. L’ultimo atto è un comunicato stampa del superiore generale dei Fréres, René Stockman: «considerato che gli sforzi per ottenere una concertazione in Belgio (per riconsiderare la decisione presa) non hanno ottenuto il risultato auspicato, l’Associazione dei Fréres de la Charité belga sarà invitata dal Vaticano ad esprimersi sulla propria visione. E dopo sarà presa una decisione definitiva».
Sì all’eutanasia
Tutto ha preso avvio due anni fa (2015), all’interno degli ospedali psichiatrici gestiti dalla congregazione in Belgio. Una ricerca che ha assunto forma definitiva nel documento, reso noto alla fine di aprile 2017: Testo di orientamento del gruppo dei Fratelli della Carità sull’eutanasia in casi di sofferenza psichica in fase non terminale. I vescovi locali sono intervenuti con una presa di posizione negativa il 22 maggio. Nello stesso giorno essi pubblicano una Carta su La buona gestione dei beni della Chiesa che, pur non direttamente volta al caso in questione, suggerisce fra gli indirizzi di buona amministrazione un controllo dei consigli di amministrazione, la conferma dello statuto canonico del patrimonio, l’approvazione ecclesiastica nel caso di scioglimento di un bene e il rispetto delle disposizioni del diritto canonico e diocesano in merito.
Il superiore generale si rivolge alle istanze competenti della Santa Sede (Congregazione per la dottrina della fede e Congregazione per i religiosi), che danno parere negativo. All’inizio di agosto il papa chiede una revisione della decisione. Il 12 settembre l’Associazione conferma l’orientamento preso, radicalizzando la distanza con il superiore generale e le istanze romane. Il 23 settembre esce sul giornale più diffuso nelle Fiandre (Der Standaard) una lunga intervista in cui il superiore provinciale del Belgio, Raf De Rycke, appoggia pienamente l’indirizzo dei suoi. Fino all’ultimo tentativo di intesa avviato con il previsto confronto in Vaticano.
Le ragioni
e il dibattito
Per la delicatezza del tema eutanasia, per il diretto coinvolgimento di una famiglia religiosa e per l’ampio dibattito che attraversa i paesi occidentali vale la pena riprendere le ragioni sia della condivisa fermezza dei vertici della Congregazione e del Vaticano, ma anche il punto di vista degli interessati. La Congregazione è composta da fratelli con voti religiosi, fondata a Gand (Belgio) da Pierre-Joseph Triest nel 1807. Conta 572 religiosi consacrati all’educazione e alla cura dei malati, in particolare psichici. Sono stati i primi in Belgio a far uscire i matti dalle prigioni e avviare i processi di cura psichiatrica e le istituzioni ospedaliere specializzate. Gestiscono in Belgio (e soprattutto nell’area fiamminga) 15 ospedali psichiatrici con 5.500 pazienti, e cioè un terzo dei posti previsti per le cure psichiatriche nelle Fiandre. Sono oggi attivi in 31 paesi. Dal 2002 il Belgio ha una legge che permette e disciplina l’eutanasia. Nel 2014 la legge ha allargato la possibilità della richiesta anche per i minori.
I vescovi hanno scritto nel febbraio del 2015 ne La dignità della persona umana anche se demente: «Dopo la legge del 2002 sull’eutanasia si impone una costatazione: l’allora preannunciata deriva eutanasica è diventata realtà. I limiti della legge sono sistematicamente aggirati, se non violati. Il ventaglio dei gruppi di pazienti passibili di eutanasia non cessa di allargarsi».
Nel Testo di orientamento, approvato dal consiglio di amministrazione dell’Associazione che gestisce gli ospedali (11 persone, fra cui 3 fratelli) si ricordano i valori fondamentali di riferimento. La protezione della vita «è un valore fondamentale per eccellenza». Per alcuni «è assolutamente intoccabile», altri «ammettono la sua ponderazione rispetto a valori diversi». «L’autonomia del paziente è un valore fondamentale della società attuale». Anch’esso è declinato talora in forma assoluta e altre volte in forma ponderata. Infine, il terzo valore fondamentale è la relazione di cura, per alcuni assoluta, per altri, un valore fondamentale da ponderare con gli altri due. «Non erigiamo mai un valore come assoluto che primeggi per sua natura sugli altri; tale valore può essere ponderato con gli altri, nel quadro di una visione personalista dell’uomo. E nemmeno collochiamo i valori da un punto di vista individuale, ma relazionale». «Essendo fondamentale il valore di protezione della vita il gruppo dei Fratelli della Carità dà la sua preferenza alla direzione della prospettiva della vita. Tuttavia, per essenziale che sia la ricerca della prospettiva di vita, essa non è assoluta, nel senso di non dovere prendere molto seriamente la domanda di eutanasia. La relazione di cura lega, attraverso il dialogo, le due traiettorie: la prospettiva della vita e la domanda d’eutanasia». Si legittima quindi il percorso che conduce all’eutanasia, accettando le disposizioni di legge e ampliandole per il caso specifico dei dementi non terminali. È richiesta la lucidità della domanda da parte dell’interessato e la sua volontarietà, riflessività, ripetizione e reiterazione. La situazione medica deve essere senza prospettiva con il carattere insopportabile delle sofferenze, l’assenza di prospettive ragionevoli di trattamento, l’origine medicale delle sofferenze.
Il percorso della domanda eutanasica prevede la concertazione con il paziente, la consultazione di altri due medici, oltre a quello curante, il parere di un gruppo interdisciplinare, il dialogo con la famiglia e il riferimento a un gruppo di supporto centrale dell’Associazione. Il medico e il personale infermieristico possono rifiutarsi di procedere all’eutanasia, ma la volontà del paziente va onorata.
Non vi è lecito
Il superiore generale, René Stockman, interviene con chiarezza su quattro punti inaccettabili: a) la riduzione del valore della vita da «assoluto» a «fondamentale»; b) la contraddizione di prevedere una malattia psichica senza possibilità di ulteriori cure: il che mostra una «cattiva psichiatria». È contro il carisma della congregazione affermare che un paziente psichiatrico non terminale non può più essere curato. Essa è nata esattamente su una ipostesi opposta. «Nel caso di pazienti psichiatrici possiamo porre dei seri interrogativi concernenti la capacità del soggetto di prendere decisioni ragionevoli»; c) il fatto di andare oltre la lettera della legge che non prevede l’eutanasia per i dementi, non la riconosce come atto medico, parla di sofferenza terminale non di cure senza prospettive; d) la contraddittorietà di prevedere l’eutanasia in una istituzione cattolica.
Per l’etica cristiana la vita è un valore assoluto; la protezione della vita può non essere assoluta, ma il valore sì. «La protezione, l’autonomia e la solidarietà sono precedute da un’altra cosa: il valore della vita in sé. La morale dell’intenzione che è presente nel testo ha la sua validità, ma non è “tutta” la teologia morale. Quando si tratta della vita in quanto tale, la morale d’intenzione è superata, perché la vita non è un atto che può essere valutato in base all’intenzione, alle conseguenze o alla situazione».
Il 12 settembre l’Associazione dei Fratelli della Carità belga rende noto il suo rifiuto di tornare sulla propria decisione e difende il Testo di orientamento. Non solo. Lo ritiene «adeguato agli insegnamenti della Chiesa cattolica. Secondo noi non c’è assolutamente alcun dubbio. Questo indirizzo etico è redatto in maniera conforme al pensiero cristiano che applichiamo nella nostra organizzazione». Rifiuta di essere condizionata dall’ideologia dell’autonomia e dell’individualismo.
Chi è lontano
dalla realtà?
Il 20 settembre vi è la dura reazione del superiore generale, che parla di vergogna davanti al rifiuto opposto dai confratelli belgi. Conferma tutte le critiche già formulate e aggiunge la convinzione che non si può ridurre l’eutanasia entro i confini di una cultura locale a meno di non togliere senso alla dimensione internazionale della congregazione. «Un consiglio di amministrazione di una organizzazione specializzata nella cura della sanità mentale che è composto da giuristi e da membri con competenze economiche, ma in cui non ha posto alcun esperto in materia, dove acquisisce il sapere per pronunciarsi sul problema? Certuni fra loro – con tutto il rispetto per le persone – non hanno mai conosciuto un paziente psichiatrico e ancor meno l’hanno curato e trattato». È pura retorica sostenere che negare l’eutanasia significhi essere privi di misericordia.
Tutti i tentativi fatti, anche attraverso un mediatore autorevole, di confronto interno si sono scontrati con la pretesa dei confratelli belgi di non discutere l’orientamento preso, ma solo di cercare un eventuale modus vivendi. «Dal momento che i responsabili dell’associazione pretendono ora apertamente di seguire Gesù, mentre si distanziano dalla visione della Santa Sede, dai vescovi belgi e dall’amministrazione della congregazione dei Fratelli della Carità, che, ai loro occhi, “vivono lontani dalla realtà”, essi si sbagliano gravemente e ci si trova piuttosto davanti all’orgoglio, all’arroganza e all’ideologizzazione, a detrimento della vita dei più deboli». Più che al sensus fidelium ci si richiama all’ideologia imperante.
Il provinciale belga, Raf De Rucke, ha ripetuto su Der Standaard (23 settembre) che «il nostro testo è un buon testo con una ispirazione cristiana. Per questo non vediamo la ragione per cambiare». E alludendo al suicidio aggiunge: «Se non prendiamo in considerazione alcune richieste, non c’è dubbio che i pazienti andranno a cercarle altrove». Ha ricordato che le domande ricevute sono una dozzina e che solo due sarebbero da prendere in considerazione, ammettendo che «l’eutanasia per le persone sofferenti di malattie psichiche è quanto meno più complessa rispetto ai malati che hanno solo problemi fisici». Se ci fosse un nuovo rifiuto da parte della provincia e dell’Associazione belga? «Saremmo obbligati - risponde fr. Stockman – a dividere l’Associazione dalla congregazione. Una decisione grave perché i nostri 15 ospedali perderanno così la loro identità cattolica … Ma come religiosi dobbiamo essere capaci, se necessario di liberarci da ciò che muore per avviare altrove nuove iniziative».
Nuovi pensieri,
nuove parole
Può sembrare paradossale ma i riferimenti sia di quanti sostengono il suicidio assistito, sia di quanti l’avversano sono in apparenza gli stessi: l’autodeterminazione, la libertà, la qualità della vita. Ciò che li distingue e che determina opzioni contrapposte è il quadro antropologico e teologico complessivo: l’autonomia priva di relazioni da un lato, la vita come dono ricevuto e dato, dall’altro. Non è casuale che chi si oppone all’eutanasia riconosca l’importanza delle cure palliative e chi la sostiene le ritenga di scarso rilievo. Un contesto culturale nuovo che suggerisce alla Chiesa, secondo quanto sostenuto da un documento di Giustizia e pace della Svizzera (giugno 2016), di prendere in conto le nuove sfide legate alla morte, di rendersi sempre più chiaramente avvocata dei vecchi e dei deboli, di farsi paladina nell’ambito delle cure palliative, di tornare a parlare di vita e di morte, di offrire riflessioni ed esperienze nuove. Non è certo casuale che la Pontificia accademia per la vita abbia rinnovato i suoi programmi di studio e di lavoro (5-7 ottobre) a partire dall’imperativo di «accompagnare la vita» in tutte le sue stagioni.
Lorenzo Prezzi