Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2017/10, p. 37
Pakistan Quando i cristiani muoiono per un bicchiere d’acqua. Siria Presto un sinodo intercomunitario per tutti i riti cattolici della città di Aleppo. Mezzo milione di famiglie rientrate nel Paese. Marawi: P. Chito, libero dopo 4 mesi

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Testimoni
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PAKISTAN
Quando i cristiani muoiono per un bicchiere d’acqua
La vicenda di Sharon Masih, 17enne linciato a scuola dai compagni di classe ricorda quella di Asia Bibi, condannata a morte per blasfemia.
Si può morire per un bicchiere d’acqua? In Pakistan sì, se sei cristiano. Lo sanno bene i genitori e i familiari di Sharon Masih, l’adolescente ucciso a scuola dai compagni di classe in un istituto superiore pubblico a Burewala (nei pressi di Multan), nel Sud del Punjab pakistano.
Shaaron era l’unico cristiano in una classe di giovani musulmani. È stato fatto oggetto di scherno da un gruppo di bulli che hanno iniziato a deriderlo, utilizzando come pretesto argomenti religiosi. La sua “colpa” era quella di aver attinto un bicchiere d’acqua da un vaso da cui solo i musulmani potevano abbeverarsi. «Choora, non dovevi farlo», hanno detto usando il dispregiativo di origine castale “choora”, riservato, nella «Terra dei puri» (il Pakistan) a quanti, come i cristiani, sono ritenuti «impuri», «sporchi», «intoccabili». Le molestie si sono fatte sempre più pesanti, fino a diventare calci e pugni. «Convertiti all’islam e ti lasciamo stare, choora». Sharon ha opposto resistenza alla violenza del branco e il “gioco” è finito male, finchè il ragazzo è crollato a terra esanime. Solo allora, nell’indifferenza degli insegnanti presenti, alcuni studenti musulmani, mossi a pietà, l’hanno portato in ospedale, dove i medici ne hanno constatato il decesso.
«Sharon è stato ucciso per il disprezzo verso le minoranze che circolano nella società. Il suo caso ricorda quello di Asia Bibi, condannata a morte per blasfemia: anche lei è stata accusata e condannata per un bicchiere d’acqua. I due casi sono tragici e sono una vergogna per il Paese» nota, interpellato da Vatican Insider, l’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill.
Molto grave, per il legale, che sta seguendo il caso offrendo assistenza ai familiari di Sharon, è l’atteggiamento dell’insegnante musulmano Rana Surbland Khan, che, secondo Gill, «ha avallato la violenza e alla polizia ha dichiarato di non aver visto il pestaggio in quanto impegnato a leggere il giornale». Anche il padre di Sharon Masih sostiene che l’incidente «è basato sul fanatismo religioso» e segnala le responsabilità dell’insegnante.
L’omicidio, avvenuto il 30 agosto, ha suscitato pubblica indignazione ed è giunto fino ai banchi del Parlamento nazionale dove il parlamentare cristiano Khalil George, il 12 settembre scorso, non ha usato mezzi termini: «Bisogna agire con urgenza. Ho chiesto a tutti i membri dell’Assemblea nazionale di ripensare come priorità la questione della riforma dei curricula scolastici in Pakistan e di introdurre in tutte le scuole pubbliche, di ogni ordine e grado, l’armonia interreligiosa come materia di studio». L’episodio, rileva George, «dimostra che i ntolleranza e odio religioso verso le minoranze sono instillati nelle menti degli allievi attraverso i programmi di studio che dovrebbero invece essere improntati alla convivenza sociale». Nel caso di Masih, aggiunge, «urgono azioni severe contro i responsabili», annunciando domanda ufficiale al governo per intitolare a Sharon Masih, a scuola in cui è stato linciato.
Sulla vicenda hanno preso una forte posizione i vescovi cattolici del Pakistan che, come riporta l’agenzia vaticana Fides, hanno deplorato il governo perchè tralascia la qualità del sistema educativo: «Viviamo in una società in cui tra gli studenti si diffondono odio, bullismo, intolleranza verso casta, credo, religione e status sociale», hanno scritto.
La vicenda riapre un tasto dolente in Pakistan: l’intolleranza tra i banchi di scuola. Come spiega a Vatican Insider il professore cattolico Anjum James Paul, che ha fondato e guida la “Pakistan Minorities Teachers Association”, «secondo i nostri studi, molti libri di testo adottati nelle scuole danno una visione distorta e alimentano l’odio e la discriminazione verso i non-musulmani. Stiamo cercando di convincere il governo ad intervenire per estirpare e non fomentare i pregiudizi. Urge lavorare insieme per rendere il Pakistan uno Stato in cui le minoranze religiose si sentano realmente parte integrante della nazione». (Vatican Insider)
SIRIA
Presto un sinodo intercomunitario per tutti i riti cattolici della città di Aleppo. Mezzo milione di famiglie rientrate nel Paese
“Un sinodo intercomunitario per tutti i riti cattolici della città: per le comunità latina (rito romano), caldea, maronita cattolica, siro cattolica, greco cattolica, armeno cattolica”. Ad annunciarlo mons. Georges Abou Khazen, arcivescovo latino di Aleppo, che è intervenuto all’incontro pubblico “Aleppo, torna a vivere la speranza”, promosso dalla parrocchia della Collegiata, a Lugo di Romagna (Ravenna), da tempo impegnata ad aiutare la comunità cristiana locale segnata dalla guerra. Partendo dalla consapevolezza che il conflitto ha segnato la vita delle comunità cristiane, l’arcivescovo di Aleppo ha constatato come “il volto della Chiesa sia cambiato. I cristiani stessi lo sono. La Chiesa non sarà più come prima”. E proprio per riflettere sul ruolo della Chiesa ad Aleppo e nella Siria di oggi , mons. Georges Abou Khazen ha annunciato il sinodo intercomunitario che, ha spiegato, “avrà come filo conduttore il racconto dei discepoli di Emmaus, che si incamminano sconsolati e abbattuti, poi per la strada incontrano il Cristo”. Le sfide sono molte “però c’è una volontà di vivere forte. Alcune famiglie sono tornate nella loro casa ancora distrutta. Si stima che più di mezzo milione siano già rientrate in Siria”. Da dove ripartire allora? Mons. Abou Khazen non ha dubbi: “Dall’uomo. Nonostante le sofferenze, la guerra e il terrore che abbiamo vissuto, abbiamo visto anche tanta gente buona. Ogni uomo nasconde qualcosa di buono, basta saperlo scoprire. Nel dialogo con l’Islam, che si credeva impossibile, noi non abbiamo discusso a un tavolo ma lo abbiamo vissuto. Abbiamo sentito tante belle cose dai musulmani. Se riusciamo a costruire l’uomo il resto viene da sé”. (Agenzia SIR)
FILIPPINE
Marawi: P. Chito, libero dopo 4 mesi
P. Teresito “Chito” Suganob, tenuto in ostaggio dal gruppo terrorista pro-Isis Maute, è stato liberato dall’esercito filippino nella notte del 16 settembre. A riportarlo sono fonti governative.
Il consigliere presidenziale per la pace, Jesus Dureza, riferisce che il prete era stato catturato il 23 maggio, all’esplodere della crisi nella città di Marawi, capitale provinciale di Lanao del Sur, nel sud delle Filippine. P. Chito è stato tratto in salvo dai militari vicino alla moschea di Bato, una delle roccaforti dei Maute. Insieme a lui è stato liberato un secondo ostaggio che le autorità hanno identificato, ma di cui non vogliono rivelare il nome.
P. Chito, vicario generale della cattedrale di Maria Ausiliatrice, era stato rapito insieme ad altri parrocchiani.
Il salvataggio è avvenuto durante il recupero della moschea di Bato e della Amaitul Islamiya Marawi Foundation (Jimf) ad opera dei membri della task-force congiunta di Marawi. Il colonnello Edgard Arevalo, capo dell’ufficio degli affari pubblici delle forze armate filippine afferma: “Sono state necessarie cinque ore di duri scontri prima che le forze governative sconfiggessero i terroristi, che si erano strategicamente posizionati nei dintorni della moschea del Jimf”.
Il 30 maggio, un video apparso nei social media mostrava p. Chito chiedere al presidente Rodrigo Duterte di salvare lui e gli altri ostaggi. Nel filmato, egli sosteneva di essere trattenuto come prigioniero di guerra insieme ad altri impiegati della chiesa, un professore dell’università statale di Mindanao, alcuni insegnanti della Dansalan Collage Foundation Inc., carpentieri, aiutanti casalinghi, bambini, coloni cristiani e membri di tribù. I militari stanno ancora verificando l’autenticità di quel video.
Alle 7 di sera del 14 settembre, il conto delle persone rimaste uccise nel conflitto era di 670 Maute armati, 47 civili e 147 funzionari governativi. Le violenze hanno anche costretto migliaia di persone alla fuga e distrutto larghe zone della città, un tempo vivace.
Con il conflitto che pare volgere al termine e le truppe impegnate nelle operazioni di sgombero, i funzionari del governo riferiscono che è presumibile che la ricostruzione di Marawi richiederà miliardi di pesos filippini. Il presidente Duterte ha affermato che il primo fondo previsto di 50 miliardi [circa 820mila euro] non sarà sufficiente per ricostruire la città, per quattro mesi teatro di battaglia fra le truppe del governo e i terroristi.
Tre battaglioni di ingegneri militari stanno sgomberando alcune porzioni del campo di battaglia. I violenti combattimenti hanno lasciato gli edifici in rovina, con i muri crivellati da buchi di proiettile.
Le autorità governative potrebbero impiegare due settimane a partire da oggi per determinare con accuratezza quanto sarà necessario per riabilitare Marawi.
È probabile che gli aiuti stranieri saranno utilizzati per la ricostruzione. Al 15 settembre, l’Australia aveva promesso un miliardo di pesos, gli Stati Uniti 730 milioni, la Thailandia 100 milioni, la Cina 85 milioni (di cui 70 da utilizzare per le cure dei soldati feriti in azione e 15 per la ricostruzione di Marawi), e l’Unione europea 49 milioni.
Il 23 maggio, a seguito degli scontri fra l’esercito e i gruppi terroristi, Duterte aveva dichiarato la legge marziale in tutta l’isola di Mindanao.
L’arcivescovo Martin Jumoad di Ozamiz ha espresso gioia per la liberazione di p. Chito, affermando che essa è “il risultato della nostra fiducia nella preghiera”. Egli ha aggiunto: “Molti hanno pregato per la sua libertà. Così tante messe sono state celebrate con quest’intenzione. Il potere della preghiera si mostra ancora una volta come testimonianza della nostra solida fede in Dio”.
a cura di Antonio Dall’Osto