Chiaro Mario
Terrorismo e migranti
2017/10, p. 28
La situazione dei cristiani è difficile, perché «gli Stati non sono laici, ma sono gestiti dalla Legge islamica (la shari’a), a eccezione del Libano, unico paese arabo non islamico». La più grande difficoltà per i cristiani è dunque «essere sottomessi al sistema islamico, un sistema che risale al settimo secolo».

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Dialogo necessario tra musulmani e cristiani
Terrorismo e migranti
La situazione dei cristiani è difficile, perché «gli Stati non sono laici, ma sono gestiti dalla Legge islamica (la shari’a), a eccezione del Libano, unico paese arabo non islamico». La più grande difficoltà per i cristiani è dunque «essere sottomessi al sistema islamico, un sistema che risale al settimo secolo».
AsiaNews, agenzia del PIME nata nel 1986, è specializzata sull'Asia (società, culture e religioni). Dal 2003 esiste il sito www.asianews.it, con notizie quotidiane di avvenimenti, problemi, esperienze, studi e testimonianze su questo continente. Il sito, grazie ai missionari e ai corrispondenti, registra il ventaglio della testimonianza cristiana in Asia, minoritaria ma ricca di insegnamenti per le Chiese del resto del mondo. Di recente AsiaNews ha pubblicato una puntuale riflessione del noto islamologo gesuita p. Samir Khalil Samir, che i lettori di “Testimoni” hanno già potuto apprezzare grazie ad alcuni suoi preziosi interventi sugli sviluppi dell’islamismo, in particolare nel Medio Oriente. “Terrorismo e migranti: un dialogo necessario fra musulmani e cristiani” è il titolo della sua lunga analisi, dalla quale attingiamo elementi per offrire un quadro essenziale sul tema, rimandando al sito per una lettura esaustiva.
Le aspettative
dell’umanità
In pochi decenni l’umanità è passata dalle aspettative del nuovo ordine mondiale sull’onda della fine della guerra fredda, a un nuovo disordine mondiale in cui tutto ciò che ci eravamo abituati a dare per acquisito in termini di modello di vita ormai non lo sia più. A determinare questa percezione ha contribuito in modo rilevante la regione del Grande Medio Oriente che va dal Marocco all’Afghanistan. I dati diffusi dall’Arab Human Development Report 2016 sono impressionanti: con il 5% della popolazione mondiale il mondo arabo assomma il 45% degli atti di terrorismo nel mondo, il 68% delle vittime a esso connesse, il 58% e il 47% rispettivamente dei rifugiati e degli sfollati di tutto il pianeta. La regione è stata la culla della civiltà umana, ma anche la culla di ambizioni coloniali ed egemoniche, come testimoniano in diverse fasi della loro storia Regno Unito, Francia, Turchia, Russia, Stati Uniti d’America. Di fronte a tutto questo si sta affermando una lettura degli attentati terroristici in Occidente e dell’inarrestabile ondata migratoria in termini di “guerra tra religioni” e di “invasione” dell’islam. Questa lettura è viziata da un discernimento superficiale e in questo senso il ragionamento di p. Samir è importante perché evidenzia i veri temi cruciali da affrontare nel dibattito odierno: le relazioni tra cristiani e musulmani in Oriente; la cultura araba comune tra cristiani e musulmani facilita il dialogo; le cause della crisi attuale dell’Islam; l’Europa vista dall'Oriente, specialmente dai musulmani; accoglienza dei Musulmani in Europa e l’aiuto a integrarsi; l’annuncio del Vangelo ai Musulmani, sottolineando il Dio Amore e la fraternità universale.
Alle radici del dialogo
tra cristiani e musulmani
P. Samir sottolinea subito che in generale la situazione dei cristiani è difficile, perché «gli Stati non sono laici, ma sono gestiti dalla Legge islamica (la shari’a), a eccezione del Libano, unico paese arabo non islamico». La più grande difficoltà per i cristiani è dunque «essere sottomessi al sistema islamico, un sistema che risale al settimo secolo». Nello specifico, in Libano c’è volontà di convivere in modo positivo: «tutti i gruppi religiosi sono riconosciuti: possono seguire le loro norme, e c’è una costituzione ispirata dalle più moderne e riconosciuta da tutti i gruppi». In Giordania la situazione è abbastanza buona: il re attuale Abdallah, come il padre, ha sposato mogli occidentali, di origine orientale anche cristiane. In Siria c’è il partito Baath fondato da un cristiano ortodosso (Michel Aflaq) e vige una costituzione laica. «Il problema viene dal fatto che, da quasi 50 anni, il presidente è un musulmano di tradizione sciita (alawita), benché il 70% della popolazione sia musulmana di tradizione sunnita». «L’Egitto, troppo marcato dall’università religiosa d’al-Azhar e dai Fratelli Musulmani fondati nel 1928, è più fanatico. Tutto è retto dalla shari’a islamica dopo la modifica della Costituzione sotto il presidente Sadat nel 1972. Il movimento dei Fratelli Musulmani è molto forte in Egitto (dove è nato): «ha per scopo l’islamizzazione della società, con tutti i mezzi possibili». Nei paesi della penisola arabica, in particolare nell’Arabia Saudita «l’intolleranza religiosa è la norma, basata sul fanatismo wahhabita, dottrina introdotta dall’imam Muhammad Abd al-Wahhāb (1703-1792), nella forma più rigida dell’islam, insistendo sull’interpretazione letterale del Corano». Personaggi come Osama bin Laden, i Ṭālebān e oggigiorno l’Isis (Da’esh in arabo), s’ispirano a questa concezione dell’islam, arrivando a compiere «massacri disumani fatti in nome di Dio e della religione». Mentre L’Arabia e il Qatar, con la vendita del petrolio, «distribuiscono milioni di dollari in ogni paese islamico purché adottino la dottrina wahhabita. E così stanno rovinando tutti i paesi musulmani».
Eppure il Medio Oriente conosce una cultura araba in comune tra cristiani e musulmani. I cristiani, lungo i secoli, hanno infatti modernizzato la lingua e il pensiero arabo; sono stati spesso i promotori delle idee moderne e delle tecnologie moderne. «Spesso però i cristiani sono più aperti alla cultura occidentale rispetto ai musulmani, i quali hanno una visione della vita più chiusa, più marcata dal passato, soprattutto riguardo ai rapporti tra uomo e donna». Un forte contributo dei cristiani alla civiltà araba moderna viene dal settore educativo: per esempio in Libano le più famose università sono state create dai cristiani protestanti (vedi Università americana, AUB, fondata nel 1866) e cattolici (vedi Università San Giuseppe dei gesuiti, USJ, fondata nel 1875). «Oggi l’Istituto di studi islamo-cristiani, fondato nel 1977 all’Università San Giuseppe, dà un’informazione scientifica sulle due religioni e sul rapporto tra le due. Gli studenti sono più o meno in parità tra musulmani e cristiani. Lo stesso vale per i professori». Così si può percepire la base comune tra musulmani e cristiani d’Oriente: la fede nell’unico Dio e la totale fiducia in Lui.
La crisi attuale
dell’Islam
La visione radicale dell’islam si è sviluppata nel ventesimo secolo, in seguito alla caduta dell’impero ottomano (1924), con l’azione del politico turco Kemal Atatürk. Si è sviluppato «un ritorno al passato, spesso espresso in un ritorno materiale al modo di vivere della prima generazione dei musulmani. Di là sono nati movimenti integralisti: i “Fratelli Musulmani” (1928), i “Salafiti” e i “Wahhabiti”». Con la nascita dello Stato dell’Arabia Saudita (1932), senza una costituzione ma retto dalla shari’ah islamica, il wahhabismo è divenuto la dottrina ufficiale. «Negli ultimi decenni, l’Arabia ha costruito centinaia di moschee in tutto il mondo islamico, e vi ha messo imam formati alla sua dottrina rigorosissima, che ha condotto il mondo islamico al fanatismo sfrenato». I movimenti dei salafiti e dei wahhabiti si riconoscono dal modo di vestirsi, dalla barba e da altri segni esterni; le donne vivono sotto il controllo continuo degli uomini. Secondo p. Samir, la rivoluzione del 2011 (la Primavera araba) non era solo politica: era una rivoluzione contro il patriarcato! L’islamologo sottolinea anche l’odio dei sauditi verso lo sciismo (rappresentato dall’Iran), odio che li ha spinti ad aggredire sciiti (e alawiti) ovunque nel mondo. Gli sciiti rappresentano il 10-15% dei musulmani nel mondo: sono maggioranza in Iran, in Iraq e in Bahrein. Oggi l’Iran appare come un concorrente dell’Arabia Saudita.
L’Europa e i musulmani
che vi emigrano
Nel 1800, l’Europa era vista dai musulmani come un modello: il modo di vivere e la cultura erano attraenti per le classi superiori del mondo musulmano. Man mano però questo modello ha perso la sua attrattiva. Una delle cause principali è stata, secondo p. Samir, la perdita del senso religioso in molti paesi europei e la diffusione di una certa immoralità nella vita quotidiana (es. relazioni libere tra i sessi, diffusione nell’omosessualità riconosciuta come un “diritto”). «Tutto questo è visto, con ragione, come una vergogna, che dimostra che la civilizzazione occidentale è “decadente”. E ciò viene a rinforzare la visione tradizionalista islamica, in particolare dei wahhabiti». In due secoli, l’immagine dell’Occidente è divenuta negativa e rinforza l’atteggiamento dei fondamentalisti islamici; l’estremismo etico-sociale occidentale giustifica e rinforza l’estremismo fondamentalista. «Questo spiega perché l’Isis e i terroristi islamici attaccano a Colonia, la notte di Capodanno, le donne troppo leggermente vestite, viste come prostitute; oppure a Manchester attaccano giovani in ascolto di una musica che sembra loro “diabolica”». Contro gli occidentali tutto è permesso, perché ormai sono dei “miscredenti”, dei kuffâr.
La crisi del mondo islamico e la reazione violenta all’interno del mondo arabo, hanno provocato migliaia di morti e milioni di migranti, la maggioranza dei quali cerca asilo in Europa. La maggioranza di loro sono musulmani, provenienti dal mondo arabo o dall’Africa. Essi sono spesso dei musulmani di ambiente modesto, con poca cultura. P. Samir sottolinea ancora che il musulmano ha grosse difficoltà ad integrarsi in Occidente: «Il motivo è chiaro: essendo l’islam un progetto globale (religioso, politico, militare, economico, sociale, stili di vita, modo di vestire, di mangiare, di relazionarsi agli altri, ecc.), chi viene in Occidente non può sottomettersi spontaneamente alle leggi, alle norme e alle usanze di quest’altro mondo». In contatto con l’Occidente il musulmano non vede perché dovrebbe adottare stili di vita che gli sembrano decadenti e contrari alla Legge divina secondo la shari’ah islamica.
Perciò p. Samir ritiene essenziale far capire subito all’emigrato musulmano la differenza culturale che esiste tra i due mondi; e spiegare all’emigrato musulmano che le sue norme, anche se sono sacre per lui, non hanno valore in Occidente. Se vuole vivere qui, deve obbligatoriamente sottomettersi ai valori del paese, anche se gli sembrano scorrette. «Se vogliamo evitare problemi e conflitti in futuro, questo è un punto fondamentale». Questa “educazione” non avviene in modo spontaneo. Si deve trasmetterla, a cominciare dai bambini, spiegandola come una necessità e come un obbligo assoluto. Uno dei punti più sensibili è il rapporto uomo-donna: «l’assoluta parità di diritti e doveri tra l’uomo e la donna è una norma assoluta. Contravvenire a questa norma è un delitto! Questo punto è particolarmente difficile da accettare o semplicemente da praticare, perché si oppone a una norma assoluta, stabilita dal Corano e diffusa in tutta la cultura islamica… non si può cedere su questo punto».
L’annuncio del Vangelo
ai musulmani
Un ultimo punto, di fronte ai musulmani che arrivano in massa, riguarda due atteggiamenti possibili: vedere questa realtà come un’invasione o vederla come un appello e una missione. Per p. Samir, il primo atteggiamento non serve a nessuno. Il secondo può cambiare molte cose. «Vedere automaticamente gli emigrati come “invasori” è certamente non cristiano... dobbiamo pensare in quanto credenti cristiani. Il vangelo di Matteo finisce con queste parole di Gesù ai discepoli: “Andate dunque, e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte le cose che io vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”». Non si tratta di fare propaganda o proselitismo, ma di esercitare la fraternità, di testimoniare amicizia e carità. «Se Dio li manda nel nostro paese, ci sarà anche un motivo di metterci alla prova: siamo veri cristiani, pronti a condividere la meraviglia che rappresenta il Vangelo? Allo stesso modo, il musulmano condividerà con me il suo Corano, che considera come l’ultimo messaggio di Dio all’umanità. In una parola, non dobbiamo aver paura dei musulmani… non hanno avuto la fortuna di conoscere Cristo, la Vergine Maria e il Vangelo. Hanno diritto a tutto questo: non possiamo tenere questo per noi soli. Ma è ovvio che se voglio condividere il Vangelo con qualcuno, devo essere io il primo a conoscerlo e a viverlo!».
a cura di Mario Chiaro