Famiglie carismatiche in dialogo
2017/1, p. 30
L’incontro ha avuto luogo a Roma il 4-5 novembre 2016. I
temi proposti hanno suscitato molto interesse per essere
stati visti come cammini di speranza. Vi hanno partecipato
anche i membri delle curie generali e i responsabili dei
laici associati.
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Convegno dell’AMCG-famiglie carismatiche
FAMIGLIE CARISMATICHE
IN DIALOGO
L’incontro ha avuto luogo a Roma il 4-5 novembre 2016. I temi proposti hanno suscitato molto interesse per essere stati visti come cammini di speranza. Vi hanno partecipato anche i membri delle curie generali e i responsabili dei laici associati.
Riscoprire dinamichesolidali tra carismi
Questo – è stato detto – è un tema generatore di un futuro sul quale soprattutto Ordini e Congregazioni devono investire.
Per ogni forma di vita evangelica oggi si può dire che per essere figura di Chiesa nel suo insieme, dovrà crescere secondo modelli relazionali e partecipativi che manifestino la forma di Chiesa sinodale, inclusiva, per poter apprendere permanentemente gli uni dagli altri.
In quanto Ordini e Congregazioni, veniamo però dal tempo in cui si pensava che la propria identità si rafforzasse accentuando la separazione piuttosto che la complementarietà, concetto che ha contribuito non soltanto al distacco dai laici ma anche dalle altre forme di vita consacrata trincerandosi dietro l’esaltazione delle differenze che si manifestano per molti versi artificiose. È così che siamo al punto che ogni carisma fatica a dare ragione di se stesso a partire da sé. È l’attuale situazione di mondo interdipendente a sollecitare il ripensamento creativo circa il modello relazionale di ogni carisma, diversamente ci si consegna a un inevitabile destino di estraneità. Non è un caso che le società più dinamiche – non solo economicamente – siano quelle più aperte allo scambio con le altre. Questo viene a dire che oggi nessuno basta a se stesso e che i mondi che non scommettono sullo scambio, in tempo di spaesamento, continuando a ricercare ancoraggi soltanto nella perimetrazione dei propri spazi, non approderanno all’altra riva.
In questo tempo difficile ma pure fecondo e come tale appassionante – è stato più volte detto nel convegno – c’è ancora possibilità e spazio per un convenire inter-carismatico attorno a tavoli “virtuali” che si propongano di cambiare punto da cui guardare le cose. Per riformulare i paradigmi costitutivi della vita religiosa; per creare una cultura condivisa in funzione di un patrimonio comune, serve un convenire riflessivo di persone “pensanti”, dotate di intelligenza non solo manualistica, rappresentative di un buon numero di Istituti, che sappiano interpretare la nuova stagione ecclesiale e sociale, non fermandosi a «conoscenze conosciute» ma capaci di transitare a nuovi mondi possibili.
L’ineluttabile purificazione non verrà dall’ “alto” (documenti, istruzioni ex-ufficio, Capitoli), ma “dal basso”. In un tempo in cui il cambiamento è «elemento diventato strutturale del farsi della realtà», l’inedito avviene attraverso quei gruppi di ricerca-azione in cui le persone sono spinte dall'entusiasmo della creatura nuova, del sogno: un valore circola se c'è un'emozione positiva che lo sostiene nel diventare grembo in cui quanto pensato possa avvenire; persone capaci di nuove figurazioni dell’identità religiosa a misura del bisogno della nuova società; persone appassionate, che del “pensato” vogliano diventarne “facitori” rischiando i propri passi su strade inedite e che si trovino a proprio agio nel continuo viaggio dell'apprendimento per il fatto che ogni obiettivo ha significatività se accetta da subito di essere all’occorrenza perennemente evolutivo.
Per arrivare alla soglia dell’inedito – è stato insistito – servono allora nuovi tavoli in cui la preoccupazione carismatica sia più forte di quella istituzionale. Tavoli di concertazione generatori di nuova coscienza; luoghi di incubazione di nuovi significati culturali, a partire dai quali sia possibile intravvedere nuove forme di vita individuale e collettiva. È questo uno degli scopi dell’associazione AMCG organizzatrice del convegno.
Religiosi e laici
nella famiglia carismatica
L’esortazione apostolica post-sinodale affermava che nella storia delle relazioni tra consacrati e laici era iniziato un nuovo capitolo, ricco di speranza (VC n.54), facendo capire che il futuro è posto nell’accoglienza di queste alleanze profetiche, come una questione radicale per la loro esistenza.
Con il nome di famiglia carismatica si intende l’incontro tra religiosi/e e quei laici e laiche che avendo scoperto in sé una sintonia, una consonanza vocazionale e carismatica con la spiritualità di un Fondatore/trice, si mettono in rapporto (religiosi e laici) non a senso unico, per la condivisione di un progetto evangelico che dia forma ad uno «stile di vita» segnato dalla stessa interiorità.
Questa è la novità. Non è invece novità che dei laici si organizzino per vivere una spiritualità vissuta dai religiosi; è novità il fatto che laici e religiosi si costituiscano famiglia, cioè persone che non stanno solo a fianco ma anche dentro per una comunicazione interpersonale fatta di prossimità, di reciprocità, consonanza, risonanza affettiva. Si tratta di una intesa comunionale che è più esigente di una generica familiarità, per cui in questo ambito più ristretto non è sufficiente – sarebbe anzi improprio – parlare soltanto di animazione o assistenza spirituale da parte dei religiosi e religiose.
Sia l’identità che l’unità di un gruppo in comunione fraterna, non sono dati da un elemento istituzionale, ma da un senso di appartenenza che passa attraverso i rapporti personali attenti al riconoscersi non dalle maschere del ruolo ma dal volto. Un volto di benevolenza, tenerezza, giovialità, fraternità, semplicità, volontà di servire, perché ciò che salva è quella bellezza del vivere che non è data dagli atti ma da una vita di comunione con persone concrete che vogliano vivere da fratelli e sorelle, con le quali tessere relazioni di prossimità ad altezza dello sguardo. Questo viene a dire che le proposte evangeliche per essere efficaci devono essere umanamente significative.
Segno della comunità che ha fatto la scelta della integrazione è dato dal sentire che ognuno cresce nell’esercizio dello scambio di doni che sono quelli della laicità e della consacrazione.
Il termine “carismatica” associato a “famiglia” non dice una funzione ma rimanda a “charis”: cioè grazia, carezza di Dio il quale nel dare la vita, dona alla libertà delle persone varie attitudini, inclinazioni, alcune spinte dal di dentro che fanno un tutt’uno con la vita. Vale a dire che chi è portatore di un carisma agisce perché è fatto così, per cui non potrebbe fare diversamente. Allora aprirsi a un carisma non è imbattersi in qualcosa di esterno, perché è incontrare se stessi avvertendo una consonanza tra la propria realtà interiore più vera e quella che si incontra nell’esperienza di un fondatore o fondatrice.
Da dove partire
Un’idea come questa arriva a compimento solo se – sia in chi la propone sia in chi l’accoglie – c’è una emozione positiva che la sostiene, mentre ciò che viene pensato e poi proposto istituzionalmente dall’alto non diventerà mai efficace. Con le delibere e statuti non si fa molta strada, non sono ancora promozione: questa richiede la presa in carico da parte di persone che standone dentro e non sopra, con mani in pasta ed occhi all’orizzonte, possano pilotare la complessità con continui aggiustamenti: persone dotate di «intelligenza in azione», disponibili a progressivi riposizionamenti per trovarsi bene nel continuo viaggio dell’apprendimento.
All’origine ci devono essere dei laici e dei religiosi che abbiano un preciso progetto le cui linee guida siano riconoscersi, identificarsi, incontrarsi per un cammino di vera e profonda fraternità, che renda possibile lo scambio di doni secondo lo specifico di ognuno. Per parte dei religiosi e dei laici, partecipare allo stesso carisma significa – assumendone la globalità – condividerlo in qualche suo aspetto, come parte di un tutto con il quale confrontarsi, integrarsi, sistematizzarsi, senza “confondersi”. Il principale costo di questo cammino è costituito dalla fatica di tradurre le diversità di tale binomio in complementarietà.
Condizioni perché un carisma
possa tendere al suo “compimento”
Pensare che l’unica e piena realizzazione del carisma sia quella espressa dalla vita religiosa, vuol dire impoverirlo e negarlo nella sua vera destinazione. L’insieme della dimensione religiosa e laicale, maschile e femminile, fa sì che il carisma possa tendere al suo compimento: vale a dire che la ricchezza del carisma si manifesta in pienezza quando arricchendosi di laicità, sempre più rivalutata nell’attuale sensibilità ecclesiale, si concretizza nei diversi modi di vivere la vita cristiana. Il motivo per cui, da dopo il Concilio, siamo spettatori del sorgere di forme evangeliche energiche e vivaci, porta a renderci conto che il vigore di queste è dato dal fatto che oggi il nuovo nasce dal basso anziché dall’istituzione, dalla sensibilità di laici e laiche piuttosto che da religiosi e clero; cristiani che hanno saputo riposizionare i carismi dove diversi stati di vita possono assimilarlo nella forma propria nel contesto di una ecclesiologia rinnovata. Questo porta a dire che oggi “rifondare” un carisma significa riposizionarlo a partire dal credere che i carismi per loro natura primaria si innestano nella vocazione battesimale.
Veniamo dal tempo in cui si pensava che il carisma vissuto da un fondatore/trice potesse essere vissuto soltanto dai religiosi e religiose. Questo è storicamente spiegabile con il fatto che nel passato un dato carisma ha da subito trovato una speciale sintonia con la vita religiosa e si sia quasi automaticamente riversato in essa rinchiudendosi, trovandovi garanzie di radicalità, di vitalità, di organizzazione, tutte cose che poi hanno cristallizzato il carisma nelle forme più proprie a «una casta di diversi che lentamente si separa differenziandosi dal suo popolo […] facendo dell’identità una questione di superiorità». A ciò si aggiunge inoltre che un carisma impiantato dapprima in una lunga tradizione di consacrazione fatta di esperienze, di linguaggi, di riflessioni, di testi, di opere attinenti al mondo religioso non può essere semplicemente applicato alla vita laicale, rimanendo il punto di vista quello dell’Istituto, per cui ai laici non rimarrebbe che viverlo solo di riflesso, in stato di minorità, «come una appendice», un alone dei consacrati.
Quando questo avviene il carisma si blocca a monte perché l’Istituto si considera depositario, custode, garante del carisma. Ma «i carismi – dice il Papa - non sono un patrimonio chiuso consegnato a una istituzione o a un gruppo perché lo custodisca». Queste espressioni vengono a dire che i carismi non sono monopolio dei religiosi/e, ma – dice ancora il Papa – si tratta piuttosto di doni dello Spirito dati alle persone, integrate nel corpo ecclesiale attratti verso il centro che è Cristo». Ne consegue che «un Istituto non è il legatario esclusivo del carisma iniziale; gli associati sono dunque in diritto di considerarsi come eredi plenari e legittimi del carisma: anch’essi sono portatori della sua eredità». Conseguentemente la freschezza di una spiritualità non può essere costretta nei piccoli spazi di un mondo (la vita religiosa) oggi in difficoltà.
Pericoli
da cui guardarsi
Un Istituto religioso, come ogni istituzione, è tendenzialmente portato all’autoreferenzialità, che scivola nel voler inquadrare a partire da sé (conformizzare) ogni esperienza. Da qui la tentazione di radicare il laicale nel sistema religioso piuttosto che il religioso (spiritualità, carismaticità) nel laicale.
Per garantire il rapporto di complementarietà delle diversità è auspicabile che i laici custodiscano la loro autonomia associandosi strutturalmente innanzitutto tra loro per vivere il carisma secondo la propria specifica indole secolare. Soltanto così potranno trovare la loro strada e le loro espressioni di vita tipicamente laicali. Il cammino è da sintonia a reciprocità e non subalternità, per il fatto che i laici non vanno a configurarsi come oblati o affiliati all’Istituto. Il cammino con i laici, poi, non può essere scandito o influenzato dalla incessante discontinuità di servizio delle leadership religiose, dovuta a istanze canoniche o altro che portano alla danza delle successioni: si avvicendano i responsabili generali, provinciali e di comunità, ognuno con diverse sensibilità, tendenze di pensiero, soggettività delle scelte che possono rendere difficile e talvolta impossibile il camminare con coloro che vorrebbero accompagnarsi per un cammino carismatico laicale.
La tentazione di fare
dei collaboratori funzionali
Non sarà che in questi ultimi decenni la particolare attenzione ai laici sia stata spinta dall’interesse di poter sopperire alla mancanza dei religiosi/e nel portare avanti le tante Opere? In tal caso il motivo, pur lodevole, non sarebbe vocazionale, ma funzionale. Sarebbe fortemente riduttivo dare una immagine del carisma indicando, delle azioni, dei compiti e impegni lavorativi, quando ai religiosi spetta saper testimoniare una esperienza di vita, mostrare la ricchezza, la bellezza di una particolare eredità spirituale, attraverso cui suscitare il desiderio di condividere la medesima esperienza.
Non stupisce se nei decenni passati l’impegno prevalente si sia riversato nel fare degli operatori dei collaboratori funzionali, con la conseguenza che ora la maggior parte di questi si sente legittimata dalla professione, più che dall'appartenenza ad un “mondo vitale”, venendo meno in tal modo molti investimenti di senso. La conseguenza è che oggi ci si trova con tanti dipendenti e rari condividenti di un progetto carismatico.
Una stagione
ricca di stimoli
Il rischio è di non saperli vedere e di non cogliere la crisi come opportunità.
Il punto debole di una istituzione, specie se con alle spalle una grande storia, è quello di non saper vedere il segnale debole nascosto tra mille segnali forti, di individuare il dato importante garanzia di futuro. Questo richiede intuizione, sensibilità perchè il nuovo che si presenta é un granello piccolo, una increspatura.
Nell’impegnarsi in questo, la bussola orientatrice non può essere soltanto la memoria, per il fatto che il presente non somiglia al passato ed in particolare a quel passato per il quale tutto l’essenziale e tutto il decisivo è già accaduto ed attende soltanto di essere portato a compimento. Dunque non si tratta di rinnegare il passato ma di andare oltre e non per prurito di cambiare ma perché tutto attorno a noi è cambiato o sta cambiando.
Rino Cozza, csj