Brena Enzo
"Voi stessi date loro da mangiare"
2017/1, p. 24
Per la diocesi di Bologna il 2017 è l’anno del Congresso eucaristico diocesano. Una tradizione tutta bolognese invita i credenti a contemplare l’Eucaristia per crescere nella comunione con il Dio che si dona. Uno spazio di testimonianza e missione anche per i consacrati.

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Congresso eucaristico diocesano di Bologna
«VOI STESSI
DATE LORO DA MANGIARE»
Per la diocesi di Bologna il 2017 è l’anno del Congresso eucaristico diocesano. Una tradizione tutta bolognese invita i credenti a contemplare l’Eucaristia per crescere nella comunione con il Dio che si dona. Uno spazio di testimonianza e missione anche per i consacrati.
Domenica 13 novembre si è celebrata nella cattedrale di Bologna la conclusione dell’Anno del giubileo straordinario della Misericordia e, contemporaneamente, si è inaugurato l’anno del Congresso eucaristico diocesano.
Nella tradizione ecclesiale bolognese, il congresso eucaristico diocesano si celebra ogni dieci anni. La “decennale eucaristica” assume la fisionomia di una missione popolare che, attraverso varie iniziative, contribuisce a evangelizzare e ravvivare il senso della fede nel dono dell’Eucaristia, affinché diventi criterio centrale nella vita dei credenti.
Al centro sempre
la misericordia
Concludendo l’Anno santo straordinario della misericordia, il vescovo Matteo Maria Zuppi ha spontaneamente commentato: termina l’anno giubilare, ma non l’urgenza della misericordia. Una certezza che si è rafforzata durante quest’anno, grazie ai tanti interventi del pontefice e alle iniziative che hanno segnato la vita della Chiesa universale e italiana, per rimettere il cuore stesso di Dio al centro della vita di persone e comunità.
Chi crede sa che ogni realtà della vita ha senso solo se è vissuta in Dio e alla luce della carità, poiché ciò risponde alla vocazione umana: giungere alla pienezza della libertà di amare come ama Dio. Per i consacrati tale fine è talmente chiaro che ad esso hanno consacrato l’intera esistenza. La scelta di papa Francesco è stata grande proprio perché ha rimesso al centro dell’attenzione della Chiesa il cuore del Vangelo.
Nessuno cristiano – e nessun consacrato – è tanto ingenuo da non essersi reso conto che, pur partiti con le migliori intenzioni evangeliche, nel corso della vita e delle esperienze tante realtà hanno preso il sopravvento quanto ad importanza. Anzi, a volte perfino la fedeltà al carisma o alla “dottrina” può diventare, inconsciamente, un modo per bypassare o evitare la conversione, un pretesto che ci esime dal comprometterci sul serio per il Vangelo.
Papa Francesco ha messo la comunità credente in contatto diretto con il fondamento della fede: l’unica dottrina è l’amore misericordioso del Padre rivelato nel Figlio, Gesù Cristo, che ha dato la vita per ogni uomo. Tutto ruota attorno a questa scelta di Dio di vivere nel cuore di ogni uomo, suo figlio. Verità che i consacrati vorrebbero esprimere nella loro scelta di vita.
Tutte le famiglie consacrate vivono oggi il problema della riduzione numerica che, più o meno appropriatamente, chiamiamo “crisi delle vocazioni”. In verità la crisi che preoccupa non è data dai numeri, perché il calo numerico non è il problema principale della vita consacrata. Più centrale è la questione dell’autenticità della risposta al dono ricevuto, la qualità della vita evangelica. Perciò, sarebbe bello e quanto mai opportuno mantenere gli occhi sempre aperti e alto il profilo del discernimento personale e comunitario per comprendere di che cosa la vita consacrata ha bisogno per essere, oggi, un segno dell’amore e della sollecitudine di Dio per tutti gli uomini, nostri fratelli. E, insieme, comprendere di che cosa hanno più bisogno gli uomini di oggi per scoprire chi sono in profondità ed esprimere, così, quella bellezza di Dio che abita in loro e chiede alla libertà di ciascuno di essere messa a disposizione di tutti. Perché è per i fratelli – tutti i nostri fratelli – che è nata la vocazione consacrata.
I consacrati vorrebbero essere per l’uomo d’oggi una testimonianza e una profezia – quindi una risorsa – che l’aiuti a «ricuperare la stima della bellezza» affinché risplenda nel cuore umano «la verità e la bellezza del Risorto» (EG 167).
La necessaria riforma delle strutture, che esige una vera conversione pastorale, è da intendere nel senso che tutte le nostre strutture diventino più missionarie. La vocazione consacrata e il carisma, ricorda papa Francesco, sono in ordine alla vita dell’uomo e quindi all’evangelizzazione più che all’autopreservazione (cfr. EG 27).
Ponendosi proprio in questa prospettiva di missionarietà, i consacrati della diocesi di Bologna si chiedono: come essere parte attiva e costruttiva dell’anno del Congresso eucaristico diocesano?
Quattro
tappe
L’iniziativa, che occuperà la diocesi per un anno intero, sarà divisa in quattro tappe. Ciascuna di esse può toccare, in modo diretto o indiretto, aspetti tipici del carisma di ogni consacrato. Ogni comunità potrebbe riflettere chiedendosi quale sia l’apporto specifico, quello che più si attaglia al proprio carisma, da mettere al servizio dell’evangelizzazione, sia essa liturgica o catechetica, o in ordine alla carità.
La prima tappa, interesse centrale dei primi due mesi, mette al centro la Parola di Dio, incontrata e accolta con il metodo della lectio divina. È uno strumento di grande valore che ha segnato la storia e la tradizione della Chiesa e meriterebbe di avere maggior diffusione e pratica nel popolo di Dio. Ci sono religiosi, religiose e consacrati/e in grado di offrire un contributo prezioso al servizio della Parola, con la loro competenza e offrendo luoghi d’incontro per l’approfondimento della conoscenza della Scrittura.
Soprattutto, prendendo spunto dal brano evangelico di Matteo 14 scelto per l’occasione, sarà importante mettere in evidenza lo stile di Gesù: egli vede i bisogni della gente, li prende sul serio, prova compassione e invita i discepoli a fare altrettanto, condividendo il cibo che c’è, miracolosamente sufficiente per tutti. Abbiamo tra le mani la ricchezza della nostra umanità che, spesso, neppure sappiamo in che cosa consista: questa va condivisa, facendo un percorso di scoperta o riscoperta dell’antropologia teologica cristiana, poco chiara per gran parte dei fedeli, oggi.
La seconda tappa propone il compito di un’analisi sulla situazione locale in cui vivono le comunità cristiane, con particolare attenzione alle attese degli uomini d’oggi.
L'Evangelii gaudium invita a pensare, a organizzare le strutture e le attività ecclesiali a partire da chi non incontriamo, da chi ha fame di senso per la sua vita e non sa dove andare. Siamo chiamati a combattere anche i nostri timori nella certezza che l'azione dello Spirito Santo è già presente in ogni persona, in ogni uomo e donna che cerca qualcuno che si prenda cura della sua fame di vita. Se ci mettiamo nella prospettiva di chi è in “periferia” rispetto alla comunità cristiana, è bene che ci chiediamo: che cosa è opportuno cambiare e che scelte missionarie possiamo pensare per favorire la crescita e il rinnovamento di persone e comunità?
Forse anche i consacrati stanno fin troppo protetti nelle loro comunità. È importante esplorare il territorio non a partire da ciò che immaginiamo, ma dall'incontro reale con la gente in mezzo alla quale viviamo, per sentire dalla loro voce e dai loro comportamenti che cosa cercano e che cosa comprendono del nostro messaggio, del nostro linguaggio.
Questa tappa ci invita a tendere l'orecchio per ascoltare il grido, a volte sommesso, di chi ha perso il lavoro, la casa, di chi scappa dalla fame e dalla guerra, di chi sta cercando un cammino spirituale e non riesce a entrare in percorsi già prefissati, dei giovani che stanno cercando chi trasmetta entusiasmo e passione e non lo trovano, di chi si sente solo, degli anziani che avrebbero storie da raccontare e non trovano chi li ascolti, degli adolescenti che cercano calore umano e si accontentano dei social media.
La terza tappa del Congresso eucaristico diocesano invita a mettere al centro dell’attenzione la qualità delle nostre celebrazioni. Verificare la qualità liturgica delle celebrazioni affinché siano davvero occasioni di vita e luogo in cui è protagonista la gioia di accogliere il dono di Dio per condividerlo con tutti.
Sono tante le attenzioni da porre per una salutare verifica. Certamente non esiste un metro per controllare la qualità liturgica delle eucaristie celebrate nelle nostre parrocchie, ma essa si può cogliere osservandone i frutti: la crescita nel dono di sé, la testimonianza gioiosa, l’annuncio della speranza e la carità fraterna.
Anche a questo proposito i consacrati hanno qualcosa da condividere a partire dall’esperienza dell’eucaristia quotidiana celebrata in comunità: è la testimonianza più importante, che offre a chi ci incontra la misura di quanto Gesù-eucaristia è in grado di dare senso e trasformare la nostra esistenza.
La quarta tappa chiama il popolo di Dio a prendere coscienza della propria identità missionaria. Gesù dice ai suoi discepoli «voi stessi date loro da mangiare» e definisce i soggetti della missione. Siamo noi: invitati da Gesù a nutrirci di Lui e inviati a condividere Lui con tutti i fratelli. La missione deve vedere il cristiano (e il consacrato) salutarmente “curioso”, pronto a osservare la realtà in cui si trova e valorizzarla al massimo.
Ci sono tantissimi doni nella personalità, nella professionalità, nella umanità essenziale di ogni uomo e donna. Così come ci sono tante situazioni di malessere, tensioni e sofferenze. Da lì, come nella parabola, bisogna partire. È necessario riconoscere e rendere disponibile il patrimonio di umanità e di talenti che ognuno ha ricevuto da Dio per il bene di tutti. Perché se non ci fa più prossimi e più responsabili gli uni degli altri, che eucaristia abbiamo celebrato?
Questa attenzione alla lettura del nostro ambiente vuole essere il renderci conto dei “cinque pani e due pesci” che già sono presenti tra la gente, e valorizzarli con il contatto, l’incontro, la conoscenza, il dialogo, che è più possibile di quanto pensiamo, dal momento che c’è un desiderio di bene che ogni uomo porta dentro e vorrebbe si avverasse, benché la paura abbia spesso il sopravvento anche sui nostri migliori desideri.
La parabola evangelica ci fa intendere che l’eucaristia non è un premio per “i più buoni”, o presunti tali! È il pane della vita, il pane del cammino. È per vivere e per camminare, e camminare con tutti i nostri fratelli! Camminare insieme con tutta la nostra gente, con tutti i nostri fratelli, a partire da ciò che essi già possiedono, dai loro desideri e dalle loro ricerche, dai loro talenti e dall’impegno che già vivono nelle realtà della vita. Valorizzare ciò che già è presente e imparare a condividerlo, per tendere alla pienezza della vita: è questo che Gesù realizza nella moltiplicazione dei pani. Questo è l’obiettivo della Chiesa bolognese. Ed è quanto vorrebbero vivere anche i consacrati, per vivere pienamente la loro consacrazione.
Sintonia
ecclesiale
Il progetto del Congresso richiama la linea di «Annunciate!», la quarta lettera che la CIVCSVA ha consegnato ai consacrati. Soprattutto nella terza parte, Fuori dalla porta, essa ricorda quanto sia necessario capire ciò che la secolarità e il disincanto storico-culturale attuale implicitamente chiede alla vita consacrata. Essa ricorda all’uomo che il mondo è stato affidato alla sua responsabilità e, in dialogo in aperta solidarietà con l’uomo “secolare”, si pone come seme profetico di santificazione. (cfr. n. 64).
Per vivere questa responsabilità dell’annuncio la vita consacrata deve fare i conti con le nuove generazioni e la loro cultura digitale, per accompagnarle a domande che aprano alla realtà vera, non virtuale, valorizzando la valenza interculturale che già abita nelle comunità consacrate.
I consacrati sono ormai abituati a messaggi ed esortazioni di questo tipo. Queste cose le sanno, le stanno ripetendo da tempo e, forse, ne sono anche piuttosto saturi. La sensazione che non cambi nulla, o di non riuscire a trovare forme nuove di testimonianza della consacrazione e del carisma sta forse generando scoraggiamento.
Non è questione di una qualche nuova strategia di marketing o di una formula capace di garantire risultati sicuri. La scelta più importante per l’annuncio rimane quella di vivere il comandamento dell’amore. Ce lo ricorda ancora Annunciate: «nella vita consacrata la vita fraterna, vissuta nella semplicità e nella gioia, è la prima e fondamentale struttura di evangelizzazione» (29). È il fondamento che diviene verifica e condizione di verità di ogni altra azione evangelizzatrice, perché dice quanto è vero e centrale per noi quel che andiamo a proporre agli altri.
Enzo Brena