Popolo delle beatitudini
2016/9, p. 46
Don Giovanni Mazzillo, docente
di Teologia fondamentale, Ecclesiologia
e Scienza delle religioni all’istituto
Teologico Calabro di Catanzaro,
propone nel suo libro un interessante
percorso di riflessione e studio,
a partire da un’indagine storico-critica
sul concetto di “popolo di Dio”
nella storia della teologia e soprattutto
nella prospettiva del Vaticano II.
Lo sviluppo del testo in 12 capitoli
orienta a tenere saldamente e sistemicamente
ancorate la sequela Christi
come cammino delle beatitudini e la
realtà della Chiesa come popolo di
Dio.
NOVITà LIBRARIA
POPOLO DELLE BEATITUDINI
Don Giovanni Mazzillo, docente di Teologia fondamentale, Ecclesiologia e Scienza delle religioni all'istituto Teologico Calabro di Catanzaro, propone nel suo libro un interessante percorso di riflessione e studio, a partire da un’indagine storico-critica sul concetto di “popolo di Dio” nella storia della teologia e soprattutto nella prospettiva del Vaticano II. Lo sviluppo del testo in 12 capitoli orienta a tenere saldamente e sistemicamente ancorate la sequela Christi come cammino delle beatitudini e la realtà della Chiesa come popolo di Dio. Le beatitudini lette non tanto come esortazioni etiche o spirituali del maestro Gesù, ma piuttosto la traduzione in prassi di vita cristiana, personale e comunitaria, del suo mistero pasquale. Sono e devono diventare sempre più prassi anche del popolo di Dio che intende avere nella vicenda di Gesù di Nazaret, il suo paradigma e il suo significato, soprattutto là dove gli uomini emarginano, rifiutano, eliminano, disprezzano.
Popolo di Dio che celebra
e vive la riconciliazione
Il vero passaggio a una sistematica applicazione della categoria del popolo di Dio alla Chiesa avviene nel concilio con la Lumen gentium. La valenza del termine diventa storico-salvifica e messianica nello stesso tempo. Si tratta di una Chiesa riscoperta come popolo messianico in Cristo, da Lui costituito per la comunione di vita, di carità e di verità; da Lui assunto da lui anche come strumento di redenzione per tutti, e inviato a tutti gli uomini come luce del mondo e sale della terra.
La Chiesa è dunque riconciliata in Cristo e ricostituita da giudei e pagani: gli uni e gli altri, senza esclusioni, sono «stirpe di Abramo», eredi, figli della promessa, «i chiamati», «gli amati», i «figli di Dio». L'appartenenza a Dio implica anche una somiglianza a lui nel suo manifestarsi agli uomini. Le promesse escatologiche si vanno realizzando in un ministero che, legato a quello di Cristo, è di riconciliazione e di annuncio del vangelo ai poveri, di pronunciamento salvifico verso i peccatori e i lontani, di liberazione degli oppressi. In questo modo la Chiesa realizza il presente dello Spirito ricevuto da Cristo morto per la nostra riconciliazione, attua il suo mandato messianico ricevuto da Gesù risorto, per un ministero di pacificazione universale. Si tratta di un particolare «potere» che è servizio: «saper essere» facitori della stessa pace che Cristo ha saputo compiere in sé tra popoli nemici, saper proclamare la pace come pienezza di vita e come annuncio del vangelo della pace. Pace dovrà essere la prima parola detta dai suoi discepoli quando incontrano gli uomini e dovrà essere accompagnata da opere che indicano la cura e la premura di Dio per i sofferenti e gli infelici.
Popolo di Dio,
comunità di viventi
Il popolo di Dio fa continuo riferimento a Cristo, perciò è contemporaneamente comunità esodale e assemblea pasquale; si raduna nel nome di colui che è morto e risorto perché ha vinto la morte. Non è una comunità necrofila né sepolcrale. È la comunità dei viventi, che rende grazie a colui che era morto ma adesso è vivo. Nell'Apocalisse il Figlio dell'uomo appare in tutto il suo splendore. Colui che pendeva esanime dalla croce è in piedi ed è rivestito dei segni della gloria. Come era successo ai profeti dell'Antico Testamento, accade anche all'autore dell'Apocalisse di restare abbagliato dallo splendore della divinità, tanto da cadere per terra come morto. Ma verso di lui il Risorto tende la mano, invitandolo a non temere perché egli ha definitivamente vinto gli inferi e la morte.
Le parole di Gesù scendevano su una comunità di cristiani che, all'epoca della composizione dell'Apocalisse, conosceva la persecuzione, l'esilio, la tortura e la morte. Ora che quel popolo è sulla strada di ogni nostro giorno, strada sempre più insanguinata, in cui il pianto dei nuovi martiri si mescola a quello degli oppressi e dei perseguitati di sempre, Gesù torna ad annunciare personalmente ciò che gli angeli avevano annunciato la mattina di Pasqua: «Cercate Gesù il nazareno, il crocifisso: è risorto, non è qui». Il popolo di Dio è chiamato a vivere questa certezza, nello spirito delle beatitudini, con la prontezza di chi deve adeguatamente rispondere a chi domandi ragione della speranza che lo porta in avanti. La ragione è il Risorto e il popolo di Dio deve sempre sapere di essere un popolo che risorge da qualsiasi forma di crocifissione.
Le Beatitudini, “magna charta”
del popolo di Dio
Dalla riflessione sulle beatitudini come magna charta del popolo di Dio risulta che esso non consta di soggetti spiritualizzati o da spiritualizzare, ma è comunità di uomini e di donne salvati da Dio. Si tratta di una salvezza che solo Dio conosce e che in forza del mistero pasquale raggiunge ogni essere umano. Infatti «ciò non vale solamente per i cristiani ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (GS 22: EV 1/1389).
Anna Maria Gellini