Carballo José Rodríguez
Cammini di conversione
2016/9, p. 39
La vita consacrata è chiamata a lasciarsi modellare dal Signore per rispondere meglio al progetto evangelico. Si tratta di entrare nel mistero pasquale: dare morte a tanti otri vecchi e strutture obsolete, asfissianti per vivere la vita e la vita in abbondanza e versare vino nuovo in otri nuovi.

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La VC a 50 anni dalla Lumen Gentium e Perfectae caritatis
CAMMINIDI CONVERSIONE
La vita consacrata è chiamata a lasciarsi modellare dal Signore per rispondere meglio al progetto evangelico. Si tratta di entrare nel mistero pasquale: dare morte a tanti otri vecchi e strutture obsolete, asfissianti per vivere la vita e la vita in abbondanza e versare vino nuovo in otri nuovi.
Negli ultimi decenni la vita consacrata ha camminato ad un ritmo non adatto ai cardiopatici, e le parole che hanno contraddistinto questo ritmo sono state: fedeltà creativa, rinnovamento, rifondazione e innovazione. Un ritmo che ha portato la vita consacrata ad una vera metamorfosi, ad una trasformazione profonda, a scoprire il “vino nuovo” e a porsi un dilemma: dove mettere questo vino, in otri nuovi o in otri vecchi?
La grazia del Concilio
Era il 25 gennaio dell'anno di grazia del 1959, e Papa Giovanni XXIII sorprendeva la Chiesa e il mondo intero con l'annuncio di un nuovo Concilio Ecumenico.
Cinquant’anni ci separano da questo uragano d'aria fresca che il Concilio è stato per la Chiesa e per la vita consacrata.
Per quanto riguarda la vita consacrata, il Concilio arriva in un momento in cui si manifestano segni contradditori. Da una parte, la vita consacrata contava su persone molto preparate, aveva una solida comprensione di sé, abbondanza di vocazioni, era ben riconosciuta nell'ambito sociale ed ecclesiale, aveva grandi opere apostoliche gestite quasi totalmente da membri degli istituti religiosi. L'osservanza, basata sulle proprie Costituzioni e sulla tradizione di ogni Istituto, era la base su cui si appoggiava l'uniformità regnante. Le strutture erano fisse e anche solide. D'altro canto, per gli attenti osservatori un'intuizione iniziale si trasformava in una certezza che diventava sempre più forte: le cose sarebbero cambiate rapidamente, piacesse o meno.
Due documenti hanno guidato in particolare il cammino della vita consacrata: Lumen gentium e Perfectae caritatis. Grazie al primo, essa ha trovato il suo posto nella Chiesa-comunione. In un momento in cui ci si chiedeva quale fosse il senso della vita religiosa (allora non si parlava di vita consacrata), il Concilio afferma l'origine divina di questa forma di sequela Christi e la sua appartenenza alla vita e alla santità della Chiesa. Il Concilio attesta con chiarezza che la vita religiosa è una realtà nella Chiesa e della Chiesa, chiamata alla santità; che la vita consacrata è parte integrante del popolo di Dio e che come tale non è una realtà isolata, ma in relazione con il ministero ordinato e con i laici; che è un carisma nella Chiesa e che coopera all'edificazione della città terrena. Da parte sua, Perfectae caritatis si concentra sul rinnovamento della vita religiosa portato avanti sotto l'azione dello Spirito Santo e le direttive della Chiesa, elaborando cinque principi di questo rinnovamento: la sequela di Cristo, così come la propone il Vangelo; la fedeltà allo Spirito dei fondatori; la partecipazione alla vita e missione della Chiesa; l'adattamento alle nuove situazioni dei tempi e dei luoghi; il primato del rinnovamento spirituale.
I consacrati, con molti altri nella Chiesa e certamente con grande entusiasmo e mossi da una enorme generosità, seguirono con prontezza l'esortazione di Paolo VI che invitava a portare avanti con prudenza, ma anche con premura, un opportuno rinnovamento. E lasciandosi illuminare dal Concilio Vaticano II, punto di riferimento e faro per i consacrati e che come hanno sottolineato i papi del post-concilio, contiene indicazioni fondamentali per la sequela di Cristo nella vita consacrata, i consacrati furono tra i primi ad ascoltare con determinazione l'invito evangelico loro rivolto dall'Assemblea conciliare: discernere i segni dei tempi.
Il frutto di questa lettura dei segni dei tempi da parte della vita consacrata è stata la risposta, per lo meno in teoria, alle sfide che si presentavano. Dinanzi alla sfida della povertà, la scelta a favore dei poveri; dinanzi alla sfida del secolarismo, l'Evangelica testificatio; dinanzi a una vita comunitaria segnata dall'inosservanza, la vita fraterna in comunità; dinanzi a un'autorità più centrata nelle strutture, un'autorità a servizio del Vangelo; dinanzi a una spiritualità intimista, una spiritualità di comunione, una spiritualità missionaria.
Il cammino percorso è stato lungo e seminato di difficoltà, come lungo e faticoso fu il cammino del popolo di Dio attraverso il deserto. E come avvenne con il popolo di Israele, la vita consacrata in questi cinquant’anni, sostenuta da una forte spiritualità che sapeva di esodo, si è messa in cammino verso mete sconosciute (cf. Sap 18, 3; Eb 11, 8), guidata solo dalla nuvola della fede (cf. Es 40, 36-38), da una fiducia totale nel Dio della storia che cammina con coloro che hanno fiducia in Lui.
Otri vecchi e otri nuovi
Non è facile delimitare gli otri vecchi e gli otri nuovi. Dato il pluralismo della vita consacrata, una stessa realtà si presenta a volte come otri nuovi, altre come otri vecchi. Per confermare ciò che ho appena affermato parto da tre esempi: il servizio dell'autorità, la formazione e la vita fraterna in comunità.
Il servizio dell’autorità
Si è percorso un lungo cammino per ottenere che il servizio di autorità si presenti come tale e non come una manifestazione di potere. E sono veramente molti coloro che vivono l'autorità in chiave evangelica, mettendosi a servizio del Vangelo, del carisma e dei fratelli e sorelle che il Signore ha loro affidato. Sono molti coloro che assumono l'autorità come esercizio della lavanda dei piedi, come lo fece Gesù (cf. Gv 13,1ss), sapendo che il servo non è più grande del maestro (cf. Gv 13,16), e che, come afferma il Papa Francesco, nella Chiesa il potere è servizio. Sono molti coloro che con lucidità e con audacia vivono in un atteggiamento costante di discernimento, questi processi per garantire una metodologia che assicuri la fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, al proprio carisma e all'uomo del nostro tempo. Sono molti coloro che, consapevoli dell'importanza della vita fraterna in comunità, assumono l'autorità come una realtà da costruire giorno dopo giorno e fanno tutto il possibile per creare un clima di dialogo, di comunicazione, di senso di appartenenza e di fede; ingredienti che non possono mancare sul tavolo della fraternità. E sono molti coloro che dopo un sereno e profondo discernimento, rendono più semplici le strutture, e le mettono a servizio della missione. E sono molti ancora coloro che, chiamati a un servizio di autorità, la vivono nella comunità/fraternità, per la comunità/fraternità e sulla base della comunità/fraternità.
L'autorità è così un otre nuovo che aiuta le persone a crescere in tutte le loro dimensioni, con fedeltà creativa, in modo che il carisma sia sempre attuale. Ma nello stesso tempo non possiamo non segnalare che il servizio dell’autorità molte volte si presenta come un otre vecchio.
E ciò avviene quando si concepisce e si vive come potere, quando le persone chiamate a svolgere questo servizio si sentono “padroni” di coloro che sono stati loro affidati, o quando agiscono come lo farebbe un gestore di un'impresa, considerandola di sua proprietà, ma che in realtà non gli appartiene. Questo è uno stile contrario al Vangelo (cf Mt 20,26; Lc 22,24-26) e sicuramente allo spirito dei nostri Fondatori e Fondatrici. In questo senso è necessario segnalare che l'autorità si presenta come un otre vecchio quando i “superiori” pretendono di mantenere l'incarico (perché in questo caso non può parlarsi di servizio) tutta la vita, cambiando anche se è necessario le Costituzioni; o quando per ottenere e mantenere il potere si formano partiti e si cerca di “eliminare” i possibili “oppositori”, o si cercano alleanze che non hanno nulla a che vedere con la spiritualità che dovrebbe essere il motore delle scelte di vita di un/a consacrato/a.
Il servizio dell'autorità si presenta come otre vecchio quando si pensa in chiave di privilegio; a vantaggio proprio; quando si evita di prendere decisioni, per non complicarsi la vita, o una volta prese non si fa nulla per farle diventare operative. È un atteggiamento tipico di chi si “lava le mani”, e non “lava i piedi” degli altri. Ed è chiaro che tutto questo è contrario al Vangelo (cf Mt 23,8-10; Lc 20,44-46), e a un concetto sano della vita consacrata. Non possiamo tacere i casi in cui il servizio si compie in chiave di complicità, come un laisser faire, per fare in modo che nessuno si intrometta nella vita di chi è stato chiamato a compiere il servizio di autorità.
L'autorità è otre vecchio quando in una comunità tutto gira attorno al superiore; quando le decisioni non sono prese sulla base del dialogo e della condivisione; quando i superiori permettono l'istaurarsi di una vera e propria dittatura dei più forti o di chi ha il potere, e così si commettono vere ingiustizie, o questa dittatura è imposta da loro stessi; quando non si creano spazi per la correzione fraterna sia per i “peccati” degli altri sia per i propri.
Dinanzi a queste costatazioni non possiamo fare a meno di affermare che pur essendo molto e positivo il cammino percorso, facendo del servizio dell'autorità in molti casi un otre nuovo, è ancora molto ciò che deve cambiare nell'esercizio dell'autorità, in modo che cambino molti aspetti di ciò che rende questo esercizio un otre vecchio e per rispondere anche ai criteri del vino nuovo che è il Vangelo. Vedendo come in molti casi si compie il servizio dell’autorità, è necessario affermare che questo servizio ha bisogno ancora di rifondazione, ed è un cammino aperto di conversione.
La formazione
La formazione, particolarmente la formazione iniziale, è stato uno dei campi su cui si è lavorato molto negli anni del post-concilio. Ma anche in questo caso non è possibile una diagnosi generalizzata. Ci sono forme e modi di formare che in molti casi vanno nella direzione opposta, e quindi anche la formazione si presenta come otre nuovo e otre vecchio allo stesso tempo.
Si presenta come un otre nuovo quando la formazione permanente è concepita come l'humus della formazione iniziale, e si lavora assiduamente per fare in modo che queste due tappe dello stesso processo formativo non siano cammini paralleli; quando si attribuisce priorità alla persona, e formatori ben preparati la accompagnano nella sua realtà più profonda, coadiuvati da fraternità realmente formative, il che non vuol dire che siano perfette. La formazione è otre nuovo quando, sia nella formazione permanente, come pure iniziale, si lavorano allo stesso tempo tutte le dimensioni della persona: umana (affettiva, intellettuale e spirituale), cristiana (coltivando specialmente la dimensione della fede) e carismatica (vedendo il carisma nella sua dimensione attuale), prestando un'attenzione particolare ai processi di crescita in tutte. La formazione è otre nuovo se non si limita solo ad acquisire concetti, ma tende alla trasformazione della persona nelle sue attività vitali e non solo nei suoi comportamenti.
Mentre la formazione si presenta come un otre vecchio quando si concepisce come un semplice apprendimento, segnato da norme imposte indipendentemente dalla situazione delle persone; quando tra la formazione permanente e l'iniziale avviene un vero e proprio divorzio; quando si esige più dai candidati che dai professi, e questo non conduce certo a una trasformazione autentica della persona; quando non sono considerate tutte le dimensioni della persona e si vogliono formare dei consacrati prima di formare in loro la persona e il cristiano; quando i formatori si improvvisano o non sono centrati nella loro vocazione, e non sono nemmeno preparati per affrontare le sfide che oggi presenta la formazione; quando il “magistero” della comunità (in questo caso non è possibile parlare di fraternità) è parallelo a quello dei fratelli e delle sorelle coinvolti direttamente nella formazione. In questi casi la formazione, chiamata ad essere contenitore di vino nuovo, è un otre vecchio, rabberciato, che rovina il vino buono.
La vita fraterna in comunità
Ecco un altro aspetto che costituisce uno degli elementi essenziali della vita consacrata, e su cui si è lavorato molto in questi ultimi anni. Grazie a questo cammino, la vita fraterna in comunità si presenta in molti casi come otre nuovo.
Lo è quando viene assunto con responsabilità il compito di costruire fraternità partendo dalla debolezza di ogni membro; quando si assumono con gioia i 'pesi' degli altri; quando tutti rispettano la realtà propria e altrui, accettandosi come dono di Dio gli uni per gli altri; quando nel centro si colloca la persona di Gesù e si vive l'amicizia come un regalo di Dio, tenendo sempre Gesù nel centro, senza paure e senza utopie, con generosità e gratuità, liberi dalle ambiguità; quando la castità e il celibato sono vissuti senza timori esagerati e senza ingenuità tipiche di adolescenti che ignorano la realtà umana con le sue debolezze; quando la realizzazione della propria persona passa necessariamente per la vita fraterna in comunità, per l'abnegazione e il mistero pasquale; quando avviene un vero dialogo tra generazione diverse.
La vita fraterna in comunità si presenta come un otre nuovo quando favorisce lo sviluppo integrale di coloro che ne fanno parte, la libertà e la responsabilità; quando ci si sente in formazione continua e si assume la vita quotidiana considerandola scuola di formazione; quando il discernimento è costante, e la vita fraterna si mantiene aperta al soffio dello Spirito, alla volontà di Dio e alle esigenze del momento presente; quando partendo da un progetto di vita e missione condiviso, si sente in uscita verso le periferie, in missione verso i vicini e i lontani (cf. Ef 2,17), senza chiudersi in se stessa; quando si nutre della “mistica del vivere insieme” e di una profonda spiritualità di comunione, basata sull'ascolto e l'obbedienza alla Parola e la celebrazione dell'Eucaristia e la Riconciliazione.
Purtroppo l'otre della vita fraterna in comunità può essere anche un otre vecchio. Lo è nelle comunità senz'anima, senza mistica e senza una missione frutto di discernimento in fraternità, nella preghiera e nell'ascolto dei segni dei tempi, e vissuta in piena comunione con la fraternità. Lo è quando la critica, il pettegolezzo, l'inganno, l'invidia, le gelosie e gli antagonismi diventano normali e abituali, e la comunità non è più una scuola di misericordia e di perdono, per diventare una struttura di giudizio e di condanna. La vita fraterna in comunità è otre vecchio quando la chiamata alla “self-realization” viene vissuta al margine della vita fraterna in comunità, cercando sotterfugi che assicurino il proprio successo costi quel che costi, e che non hanno nulla a che vedere con la vita “persa” per il Signore; quando i valori umani non vengono curati, e nemmeno si cura la relazione personale e comunitaria con il Signore, mediante una vita di preghiera che si addice a coloro che desiderano seguire Gesù.
In questi casi, la vita fraterna in comunità chiamata ad essere, come già detto, buona notizia e profezia, diventa una controtestimonianza e “massima penitenza”, otre vecchio che non può contenere e manifestare la bellezza di una sequela appassionata di Gesù. Tenendo conto di tutti questi aspetti negativi che costatiamo nelle nostre comunità, il cammino che si apre dinanzi a noi per far sì che la vita fraterna in comunità sia vino nuovo e otre nuovo è quasi infinito “trattandosi di continuare a lavorare all'accoglienza, l'attenzione reciproca, di praticare la comunione dei beni materiali e spirituale, la correzione fraterna e il rispetto verso i più deboli...”. Si tratta di conversione.
Cammini di conversione
Quanto appena affermato indica con assoluta chiarezza che il cammino percorso dalla vita consacrata in questi anni del post-concilio ha dato i suoi frutti, e che gli aspetti positivi superano di gran lunga i negativi: il vino nuovo della vita evangelica che abbiamo accolto, si trova in molti casi in otri nuovi. È indubbiamente chiaro che il processo di rinnovamento non è terminato e non può considerarsi terminato.
Quanto appena affermato indica con assoluta chiarezza che il cammino percorso dalla vita consacrata in questi anni del post-concilio ha dato i suoi frutti, e che gli aspetti positivi superano di gran lunga i negativi: il vino nuovo della vita evangelica che abbiamo accolto, si trova in molti casi in otri nuovi. È indubbiamente chiaro che il processo di rinnovamento non è terminato e non considerarsi terminato. È necessario continuare il processo di rivitalizzazione della vita consacrata iniziato a partire dal Vaticano II.
Riflettendo sull'esperienza di questi anni, oso affermare che i tempi che stiamo vivendo non sono solo tempi di riforma, di conversione personale, sempre comunque necessarie. Sono tempi di rifondazione, di creazione di otri/strutture nuove, o di innovazione profonda di strutture già esistenti.
Si tratta concretamente di rompere con quei modelli e otri/strutture di vita consacrata che l'allontanano dalla “fedeltà creativa” cui è chiamata oggi la vita consacrata e che cerca di “riprodurre con coraggio l'audacia, la creatività e la santità dei fondatori e delle fondatrici”. Si tratta di eliminare quei modelli e otri/strutture di vita consacrata che l'allontanano dalla radicalità che le è tipica, così come la esige la consacrazione religiosa e in particolare i voti. Si tratta di eliminare modelli e otri/strutture che allontanano la vita consacrata dalla profezia che la deve distinguere, impedendole di rispondere alla sua vocazione di sentinella che “veglia nella notte e sa quando giunge l'alba (cf. Is 21,11-12)”, si tratta di allontanare ciò che le impedisce di “svegliare il mondo”. Si tratta di eliminare modelli e otri/strutture di vita consacrata che la mantengono in uno stato di auto-referenzialità, chiusa in se stessa, rinchiusa nel proprio nido e “asfissiata dalle piccole controversie della casa”, e che non le permettono di uscire verso le frontiere, verso le periferie esistenziali e del pensiero. In definitiva, si tratta di dire basta a quei modelli e otri/strutture di vita consacrata che abbiamo già indicato essere otri vecchi nel servizio dell'autorità, la vita fraterna in comunità e la formazione, in modo che questi otri/strutture non rovinino il buon vino della sequela Christi nella vita consacrata, impedendole di essere esegesi ed ermeneutica del Vangelo, cioè la sua vera vocazione e missione.
Solo creando questi otri nuovi e queste nuove strutture o innovando quelle esistenti secondo le necessità della missione dell'Istituto e dei nostri tempi, la vita consacrata potrà offrire un volto nuovo ed evangelicamente attraente, per coloro che sono dentro, in primo luogo, e anche per coloro che ne sono fuori.
La grande sfida che la vita consacrata ha dinanzi a sé oggi è quella di giungere alle radici del proprio carisma, ai suoi elementi essenziali, e avvicinarsi, con un cuore pieno di misericordia, all'uomo d'oggi, lavorando per fare in modo che l'uomo d'oggi si avvicini alla vita consacrata, o meglio ancora a Cristo, al vino nuovo della vita consacrata, che i consacrati vogliono seguire “più da vicino”, e al Vangelo, che per i consacrati è la regola suprema.
La vita consacrata è chiamata a lasciarsi modellare dal Signore per rispondere meglio al progetto evangelico cui deve rispondere. Si tratta di entrare nel mistero pasquale: morire a molte cose a cui la vita consacrata è stata vincolata per molti anni ma che oggi non rispondano più a ciò che Dio chiede ai consacrati e dare morte a tanti otri vecchi e strutture obsolete, asfissianti, molte volte istallate con molto sacrificio, per vivere la vita e la vita in abbondanza (cf. Gv 10,10).
Vino nuovo in otri nuovi
La vita consacrata di oggi e di domani deve scoprire i segni di vita già esistenti, i segni di vita emergenti e, allo stesso tempo, tutto ciò che ostacola questa vita. Per raggiungere questo scopo, essa dovrà ripensare alcuni elementi che la contraddistinguono: la spiritualità, la formazione, la vita fraterna in comunità e la missione.
Una spiritualità rinnovata: “mistica degli occhi aperti”
L’elemento che caratterizza la vita consacrata in tutte le sue forme è stato sempre il suo essere affascinata dal mistero di Dio. “Quaerere Deum” non è soltanto l’obiettivo della spiritualità monastica, ma anche “impegno dell’uomo” e, in particolare, di qualsiasi vita consacrata. Dio è la ragione prima e ultima della vita consacrata.
La spiritualità è e continuerà ad essere l’elemento unificante dell’autentica vita consacrata, l’elemento imprescindibile in ogni processo di rifondazione e conversione della vita consacrata. Se la vita consacrata trova fondamento nello Spirito, nello Spirito dovrà rifondarsi. E se dove è lo Spirito è la spiritualità, senza la spiritualità che nasce dallo Spirito non vi sarà un vero rinnovamento della vita consacrata. La persona consacrata non può vivere l’era post-moderna senza la contemplazione, senza una spiritualità che unisca il quaerere Deum al nihil amori Christi praeponere.
Un altro frutto della stessa riflessione è la consapevolezza che non è possibile separare Dio e l’uomo, Dio e il mondo e che, per lo stesso motivo, non troviamo Dio allontanandoci o liberandoci del mondo reale. La realtà contemplata con gli occhi di Gesù è l’unica via verso la spiritualità evangelica, la spiritualità della vita consacrata.
Quando si parla di spiritualità, i cammini di conversione e di futuro non possono non tenere conto di questa grande consapevolezza. Per questo, il cammino verso il futuro della vita consacrata nell’ambito della spiritualità passa per:
– una spiritualità unificata e unificante che permetta ai consacrati di essere figli del cielo e figli della terra allo stesso tempo. Una spiritualità che rafforzi l’unione con il Signore, il vivere tra gli uomini e il donare se stessi per essi (cfr. At 10,38; Mt 20,28);
– una spiritualità in tensione dinamica, che risponda alla nostra vocazione di mistici e profeti; uomini e donne che sentono l’irruzione di Dio nel profondo del proprio essere (mistici) e, contemporaneamente, la chiamata ad un’azione che trasforma la storia, secondo il progetto di Dio (profeti). Mistici e profeti: la spiritualità del consacrato è passione per Dio e passione per il popolo. Dio e i poveri, mistica e profezia sono le due direzioni inseparabili che ci indica una spiritualità dinamica, poiché sono direzioni essenziali della nostra vita.
– una spiritualità della presenza, espressione del nostro essere discepoli e testimoni. I consacrati: uomini e donne sempre discepoli e sempre testimoni; uomini e donne che narrino e trasmettano un’esperienza concreta di Gesù vissuta appassionatamente (teopatia) (cfr. 1Gv 1,1-2). Una spiritualità in questa direzione, una mistica degli occhi aperti (Johann Baptist Metz) aiuterà i consacrati a gustare il fascino esercitato dal mistero di Dio e li aiuterà a vivere un’esperienza di Dio che sia la ragione della loro vita, del loro stile di vita, delle loro strutture, della loro scala di valori, del loro operato e delle loro relazioni.
Relazioni rinnovate: dall’assorbimento e isolamento alla comunione
Tra le eredità più belle che abbiamo ricevuto dal concilio Vaticano II vi è l’ecclesiologia della comunione, o del popolo di Dio, sviluppata nelle quattro grandi "Costituzioni" conciliari (Sacrosantum Concilium, Dei Verbum, Lumen Gentium y Gaudium et Spes), in importanti "Esortazioni Apostoliche" post-sinodali relative alle varie forme di vita nella Chiesa (Familiaris Consortio, Christifideles Laici, Pastores dabo vobis, Vita consecrata y Pastores gregis) e in altre "Esortazioni Apostoliche" a seguito dei sinodi continentali (Ecclesia in Europa, Ecclesia in America, Ecclesia in Asia, Ecclesia in Africa, Ecclesia in Oceania).
La vita consacrata si è arricchita enormemente grazie a questo cammino e lo ha incluso nel suo rinnovamento. Questo ha influenzato profondamente la concezione dell’identità stessa della vita consacrata. E il frutto di ciò sono gli importanti passi che sono stati fatti e che si continueranno a fare in futuro.
a. Relazione della vita consacrata con la Chiesa particolare
Passare da una visione della vita consacrata come stato di perfezione, a una riflessione teologica sulla stessa che si basi sull’ecclesiologia della comunione.
b. Relazione della Chiesa particolare con la vita consacrata
Conoscere più a fondo e accogliere cordialmente e con gioia il dono della vita consacrata come “un capitale spirituale per il bene di tutto il corpo di Cristo e non solo delle famiglie religiose”, non come una “realtà isolata e marginale”, ma come una realtà che “appartiene intimamente ad essa […la Chiesa]: tutto questo è al centro della Chiesa come elemento decisivo della sua missione”.
c. Relazione con altri Istituti o forme di vita consacrata
Passare da congregazioni e ordini “autonomi” o “indipendenti”, al parlare di famiglia carismatica e alla collaborazione inter-congregazionale, portando avanti una riflessione congiunta sulla spiritualità, la missione e la formazione, promuovendo progetti pastorali con altri Istituti o famiglie carismatiche; e dalla ricerca di uniformità all’interno degli Istituti, si è passati al rispetto per la pluriculturalità, promuovendola a tutti i livelli: locali, provinciali e generali.
d. Relazione con il mondo
Passare da una concezione quasi esclusivamente negativa del “mondo”, a vederlo nella sua concezione positiva, poiché non ne è sprovvisto, e come luogo di missione della Chiesa e della vita consacrata.
L’apertura verso l’altro e verso le altre cose è l’unica via verso il futuro. Come afferma un teologo della vita consacrata, José Cristo Rey García Paredes,: «È necessario convertirsi alla mistica dello stare insieme».
Una vita comunitaria rinnovata: Vita fraterna in comunità
La vita fraterna in comunità ha acquisito ogni giorno maggiore importanza nell’ambito della vita consacrata, fino a diventare uno degli elementi essenziali che contraddistinguono sia questa che la vita religiosa in particolare. Oggi si afferma piuttosto frequentemente che dalla qualità della vita fraterna in comunità dipende in larga misura il futuro della vita consacrata, così come la qualità e la perseveranza dei consacrati.
Se il futuro è nei giovani, quello che molti di essi oggi si aspettano dalla vita consacrata, in particolare dalla vita religiosa, è una vita fraterna in comunità che sia caratterizzata dalla vicinanza, dal calore umano, dall’amicizia, dall’affetto, dall’autenticità, dalla stima, dalla solidarietà. E non solo i giovani, ma anche gli adulti si aspettano molto dalla vita fraterna in comunità: che sia uno spazio di libertà e di responsabilità in cui ognuno possa essere se stesso con gli altri; che sia uno spazio in cui si possano costruire relazioni interpersonali profonde e sane, caratterizzate da fiducia, rispetto, stima e sostegno reciproci, e in cui si arrivi a condividere la fede, il progetto comune di vita evangelica e la missione che si vuole vivere nella storia. Gli anziani, dal canto loro, oltre ad essere accuditi fraternamente, cosa che in generale si fa e si fa molto bene, chiedono di non essere emarginati e che si conti sulla loro saggezza e sulla loro esperienza acquisita nel corso degli anni.
La strada verso il futuro passa per i seguenti punti:
– tutti i suoi membri, o per lo meno la maggioranza, lavorino senza sosta alla costruzione di una fraternità per la missione, una fraternità in cui vi sia un buon livello di comunicazione, una fraternità in cui vi sia dialogo e discernimento, una fraternità riconciliata e riconciliante, una fraternità con viscere di misericordia.
– si elabori un progetto di vita e missione al quale partecipino tutti e che sia adottato da tutti, affinché non prevalga l’individualismo sulla persona, affinché si viva in relazione e, attraverso la corresponsabilità, si passi dalla semplice vita in comune (comunità) alla comunione di vita (fraternità);
– la vita fraterna in comunità sia vissuta da una mistica, da una motivazione che si basi sull’esempio della comunità della Chiesa primitiva (cfr. At 2,42-47), e i principi teologici e spirituali indicati dalla Chiesa e dallo stesso carisma, in piena sinergia con l’ascesi: “La comunità senza mistica non ha anima, ma senza ascesi non ha corpo;
– oltre ai valori evangelici e quelli propri di ogni carisma, si vivano i valori umani della cortesia e dell’educazione, della cordialità e della delicatezza, della sincerità e dell’autenticità, della trasparenza e della collaborazione, dell’autenticità e del controllo di sé, del sano senso dell’umorismo, della festa e dell’allegria;
– le strutture siano flessibili e si mettano al servizio della crescita delle persone. Le strutture devono essere al servizio della vita e della missione, e non il contrario. Una vita fraterna in comunità non è definita dalle strutture, ma dalle relazioni che intercorrono tra i suoi membri e dalla missione che essa sviluppa;
– coloro che esercitano l’autorità siano i primi a impegnarsi nella costruzione della vita fraterna in comunità, accompagnando i propri fratelli, in particolare quelli più deboli; mettendo in atto processi di discernimento di vita e missione; prestando particolare attenzione alla formazione dei fratelli; e facendo emergere e cercando soluzioni possibili a conflitti e timori, affinché né gli uni né gli altri arrivino a paralizzare la vita della fraternità.
Una missione rinnovata: Missio Dei
Nel campo della teologia della missione, la rivoluzione che si è verificata è stata copernicana. Parlare di missione oggi vuol dire parlare di qualcosa che va oltre le opere apostoliche, poiché si articolano diverse dimensioni della vita, chiamata ad essere proclamazione del Regno nella sua totalità. Parlare di missione vuol dire parlare del modo di essere della Chiesa e della vita consacrata. Per molto tempo si è pensato che fosse la Chiesa a fare la missione. Oggi si afferma qualcosa di diverso: la missione fa la Chiesa e fa la vita consacrata. Di fatto, non sono né la Chiesa né la vita consacrata ad inviare. La Chiesa, come la vita consacrata, sono inviate.
La cosa più importante per i consacrati non è programmare la missione, ma essere attenti a ciò che lo Spirito chiede in ogni momento. Da qui si deduce l'importanza per la vita consacrata di vivere in un costante atteggiamento di discernimento, per sapere verso dove lo Spirito la spinge. Solo una vita consacrata ricolma dello Spirito Santo è capace di dedicarsi alla missione, solo una vita consacrata al ritmo dello Spirito può uscire da se stessa, smettere di essere autoreferenziale e dare testimonianza del Vangelo in tutto il mondo (cf. Mt 28,19). L'Evangelii gaudium ci offre il cammino che la Chiesa e la vita consacrata devono percorrere per rispondere oggigiorno a questa esigenza in modo adeguato.
I cammini di conversione e di futuro per la missione della vita consacrata richiedono alla vita consacrata: di assumere il dialogo, non solo come metodo missionario, ma anche come luogo proprio; di manifestare una scelta chiara a favore dei poveri, degli esclusi, includendoli nella sua riflessione per leggere la realtà con loro e a partire da loro; di pensare a se stessa partendo dalla missione; di lasciarsi interpellare da tre elementi della cultura attuale: la globalizzazione, la secolarizzazione e il pluralismo culturale e religioso. La missione della vita consacrata non può chiudere gli occhi alla realtà segnata da questi tre fattori.
In particolare, il cammino di futuro e di conversione che viene richiesto alla vita consacrata in questi momenti riguardo alla sua missione, è di entrare in dialogo con la secolarità, e di decidersi per una missione condivisa. La missione della Trinità è missione condivisa, e anche la missione della vita consacrata è chiamata ad essere vissuta come una missione condivisa con i laici, in modo speciale con quelli che condividono una stessa eredità carismatica.
Una formazione rinnovata: dalla docilitas alla docibilitas
La formazione alla vita consacrata non è facile, semplice e non avviene automaticamente. Si tratta piuttosto di un processo complesso, e non bisogna dimenticare che dura tutta la vita ed esige la complicità di diversi attori: Dio, l'agente principale della formazione; il soggetto in formazione, primo responsabile della propria formazione; la fraternità formativa, l'ambiente naturale della formazione; il formatore o accompagnante, “coltivatore diretto” nella vigna del Signore.
Ecco delineati i cammini di futuro e di conversione nel campo della formazione da seguire: la vita consacrata deve assumere, con particolare impegno, la pastorale delle vocazioni; deve procedere a fare un “discernimento sereno, libero dalle tentazioni del numero e dell'efficacia, per verificare alla luce della fede e delle possibili contraddizioni, la rettitudine delle intenzioni e la veracità della vocazione”; creare vere fraternità formative dove i fratelli e le sorelle che ne sono membri vivano la loro vocazione con coerenza e autenticità, e siano in grado di pro-vocare, di chiamare ad andare oltre, a crescere; fraternità che facciano vedere la bellezza della sequela di Cristo in un determinato carisma.
È necessario curare il discernimento nella selezione dei fratelli e sorelle che sono chiamati ad essere formatori e formatrici. Non è possibile improvvisare riguardo alla scelta dei formatori e nemmeno prescindere da una loro formazione adeguata. La formazione dei formatori deve essere una priorità per la vita consacrata; e comunque non è possibile procedere alla nomina dei formatori in base ai loro titoli; creare vere fraternità formative dove i fratelli e le sorelle che ne sono membri vivano la loro vocazione con coerenza e autenticità, e siano in grado di pro-vocare, di chiamare ad andare oltre, a crescere; fraternità che facciano vedere la bellezza della sequela di Cristo in un determinato carisma.
Un positivo apprezzamento del Vaticano II
Vedendo il cammino percorso dalla vita consacrata, con le sue luci e le sue ombre, non possiamo fare a meno di rinnovare il nostro positivo apprezzamento del Vaticano II. le cose positive ci sono e sono molte. Dentro e fuori della vita consacrata ci sono e si fanno udire i profeti di sventura che “profetizzano”: morte! morte! La vita consacrata è giunta alla sua fine. L'ultimo spenga la luce e chiuda la porta. Sono circondati dalla vita, ma vedono solo, o possono vedere, segni di morte. Forse lo sguardo nostalgico verso il passato, un passato che difficilmente ritornerà (pensiamo nel numero delle vocazioni) impedisce loro di vedere la vita che hanno vicino, accanto. È successo anche alla Maddalena: le lacrime per un morto che non esiste (è risorto), le impediscono di vedere il vivente che parla con lei (cf. Gv 20,11).
Non mancano nemmeno coloro che vedono segni di vita dove non ci sono. Come gli altri, anche costoro non rendono un buon servizio alla vita consacrata. Ma grazie a Dio non mancano neanche coloro che, con uno sguardo profondo e illuminato dalla fede, scoprono i germi di vita che spuntano nella vita consacrata di oggi, nelle forme storiche, consolidate e nelle cosiddette “nuove forme di vita consacrata”... Uomini e donne che in questa stagione invernale della vita non vedono una stagione di morte, ma una stagione in cui la vita consacrata come la natura stessa è chiamata a ritornare all'essenziale, a lavorare a livello di radici, sui suoi elementi essenziali.
Sì, la vita consacrata, come pure la Chiesa, in questo momento delicato e duro ma anche stupendo, che ci è toccato di vivere, deve centrarsi e concentrarsi in ciò che è essenziale e irrinunciabile: la consacrazione, la vita fraterna in comunità e la missione. Qui si trova il futuro, qui si trovano i cammini di conversione che la vita consacrata è chiamata a percorrere per avere più vita ed essere più consacrata.
mons. J.R. Carballo