La gioia di essere "fratello"
2016/9, p. 25
Un fratello laico tedesco dell’Istituto di San Giovanni
di Dio (Fatebenefratelli) descrive la bellezza di questa
vocazione e la gioia di viverla come espressione
dell’amore di Dio verso i bisognosi e come chiamata
a farsi fratelli di tutti, a servirli accogliendoli con il cuore,
o meglio, nel cuore.
Testimonianza di un Fatebenefratello
LA GIOIA
DI ESSERE “FRATELLO”
Un fratello laico tedesco dell’Istituto di San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli) descrive la bellezza di questa vocazione e la gioia di viverla come espressione dell’amore di Dio verso i bisognosi e come chiamata a farsi fratelli di tutti, a servirli accogliendoli con il cuore, o meglio, nel cuore.
Per tanto tempo – troppo! – la vocazione di Fratello laico nella vita religiosa è rimasta nell’ombra e i Fratelli sono stati considerati come una categoria di seconda classe. E ciò nonostante le figure esemplari e i luminosi esempi che costellano la sua lunga storia. A richiamare l’attenzione sul significato e la bellezza di questa vocazione ha impresso nuovo impulso anche il recente documento della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica “Identità e missione del fratello religioso nella Chiesa”, emanato il 14 dicembre 2015 in occasione dell’anno della Vita Consacrata. Lo scopo che si propone questo documento è di contribuire a far sì che questa vocazione sia maggiormente conosciuta e apprezzata all’interno della Chiesa e di orientare e animare i fratelli a vivere oggi la loro vocazione con autenticità e gioia.
Ma al di là dei documenti, questa vocazione può essere meglio compresa e valorizzata soprattutto ascoltando i Fratelli che la vivono. Per questo ci sembra interessante raccontare la testimonianza, pubblicata dalla rivista Ordens Korrespondenz della Conferenza dei superiori maggiori tedeschi, e narrata da fr. Thomas Väth, un religioso dei Fatebenefratelli, – Istituto fondato nel sec. 16° da san Giovanni di Dio –, in Germania meglio conosciuti come Barmherzige Brüder, Fratelli misericordiosi.
Fr. Thomas era diplomato in teologia. Dal 1995 lavorava in diverse istituzioni caritative, finché un giorno sentì la chiamata e comprese che il Signore lo invitava a entrare tra i Fratelli misericordiosi. «Non avrei mai immaginato – scrive – che il Signore mi chiamasse alla vita consacrata. Tanto più che nessuno delle persone che mi circondavano riteneva che, in quanto teologo diplomato, sarei entrato in un istituto religioso». Le voci che sentivo dicevano: “allora tutto lo studio compiuto è stato inutile”, oppure “è una vocazione buttata via”. Anche i novizi degli istituti clericali o i candidati al sacerdozio mi compativano dicendo che Dio mi aveva chiamato ma in modo sbagliato.
Fr. Thomas si domandò allora: «Ho forse capito male la chiamata, oppure Dio si è sbagliato?». «No, nessuna delle due. Attualmente, da dieci anni faccio parte di un istituto laicale, e vivo la mia vocazione come fratello». Ma è difficile - afferma - spiegare che cos’è un fratello. Del tutto insufficiente è la definizione che a volte si sente: “è un religioso senza l’ordine sacerdotale”, come se la sua vocazione fosse qualcosa di incompleto. È una definizione che lascia supporre che un fratello è un consacrato di seconda categoria. Al contrario, «io non sento che alla mia vocazione manchi qualcosa. È una vocazione che viene da Dio, una vocazione che dice pienezza e non mancanza di qualcosa. Mi piace di più il paragone, anche se non del tutto esatto, che dice: “un Fratello è una suora al maschile”. Il punto fondamentale sta nel fatto che Dio chiama ciascuno in maniera individuale e personale; siamo noi che vogliamo suddividere questa molteplicità di chiamate in categorie».
Per spiegare la bellezza e il significato della sua vocazione, fr. Thomas parte dall’affermazione di Gesù: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12,50). È una definizione, commenta, che vale per tutti e quindi anche per i Fratelli di vita consacrata. Ma non sarebbe sufficiente mettere sullo stesso piano la vocazione di un fratello con quella di tutti i cristiani.
«Per me, afferma, uno dei principali quattro voti che noi professiamo è quello dell’obbedienza, ossia di voler compiere la volontà del Padre celeste. Ed era volontà sua che io diventassi un fratello misericordioso, un fatebenefratello, e non mi sono mai pentito di aver obbedito a questa sua volontà. Ci sono stati momenti difficili in cui altre opzioni mi sembravano migliori, ma finora ho potuto esperimentare che una volta conosciuta la volontà di Dio mi sono orientato ad essa, sono sempre stato contento. E questo mi infonde coraggio e speranza di continuare ad andare avanti finché è volontà di Dio».
Il voto
dell’ospitalità
«Come fatebenefratello, il Signore mi ha chiamato a vivere l’ospitalità secondo lo spirito di san Giovanni di Dio. È il quarto voto che i fratelli professano nell’Istituto, oltre a quelli di obbedienza, castità e povertà. Ospitalità per me vuol dire che devo accettare e accogliere chiunque ha bisogno di soccorso e che io posso aiutare con un servizio caritativo, concretamente in un ospedale, o in un istituto per l’infanzia o per anziani, oppure in un campo profughi o in una struttura per disabili ecc.».
«Ospitalità vuol dire accogliere l’altro, così com’è, e accettarlo con il cuore, nel cuore. Non è sempre facile, anzi a volte mi sembra impossibile come se fosse qualcosa di superiore alle mie forze. Ma sapendo che il Signore mi aiuta a vincere le difficoltà, poco alla volta l’ospitalità mi diventa più facile e posso viverla in maniera autentica».
«Nella mia vita, prosegue fr. Thomas, ho incontrato persone che non erano né simpatiche né amabili, ma è stato possibile accettarle come erano e accompagnarle per un tratto di strada, anche se un po’ controvoglia. E ci sono anche persone che non solo sono riuscito ad accettare, ma anche ad accogliere amabilmente nel mio cuore. Penso ad alcuni piccoli malati, nati prematuri, ma pieni di una incredibile voglia di vivere, e capaci di superare tutte le difficoltà che avevano avuto all’inizio. Prendermi cura di questi bambini e accompagnare i loro genitori è stato per me un tempo importante e significativo. Il servizio tra i neonati ha costituito non solo un lavoro, ma è stato anche vocazione e preghiera. Qui ho conosciuto in una dimensione nuova e più profonda quanto sia vero il detto: “la cura dei malati è un atto di culto”. Guardando nelle incubatrici, vedevo nel neonato la santità della vita, allo stesso modo di quando aprivo il tabernacolo per distribuire la comunione. Forse a qualcuno il paragone può sembrare blasfemo, ma io percepivo la presenza di Dio e potevo leggere in maniera nuova ciò che dice la Bibbia “Chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me” (Mt 18,5). Io leggo questo passo non nel contesto delle dispute dei discepoli circa i primi posti, ma sapendo che nel prossimo – soprattutto se debole come un neonato – accolgo realmente il Signore».
Una vocazione
di amore
Nel 2015 la Congregazione vaticana per la vita consacrata ha emanato il documento su “la missione e l’identità dei fratelli” in cui questa vocazione è presentata strettamente unita con l’amore. «Personalmente non trovo nessuna descrizione più bella della vocazione del fratello. Anche soltanto nel sapere che Dio è amore» (cf. 1Gv 4,16ss).
Nell’enciclica “Deus caritas est”, Benedetto XVI scrive che l’amore è il centro della fede cristiana: “Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1Gv 4,16). L’apostolo Giovanni nello stesso versetto ci offre, per così dire, anche una formula di vita cristiana: “E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha per noi” (cf. 4,16). «A mio parere, sottolinea fr. Thomas, la vita cristiana ha successo, come la vita stessa di un fratello religioso, se si tiene sempre presente questa formula. Prima di tutto è l’uomo che è amato da Dio. Semplicemente così, senza che l’uomo possa fare qualcosa. Ma se l’uomo riconosce l’amore di Dio, allora deve credere ad esso. Ma proprio questa fede che, tenendo presente l’amore che si è sperimentato, sembra così facile, è per molti difficile, molto difficile. Nei religiosi avviene qualcosa come con le persone sposate. Una volta passato il primo amore e rimane la dura realtà della vita quotidiana, giunge il momento di dimostrare il vero amore. Ciò è ancora più difficile quando non si avverte e non si sente più Dio». Fr. Thomas accenna qui all’esperienza dolorosa della “notte oscura” di san Giovanni della croce, di Teresa di Lisieux e di Teresa di Calcutta.
Ospitalità
come attività pastorale
In ospedale come anche negli ospizi e in altre istituzioni capita spesso di incontrare persone che sono in ricerca e stanno attraversando una crisi che può essere determinata dalla malattia, dall’abbandono o smarrimento, per nominare soltanto alcuni fattori. Appartiene alla nostra vocazione di ospitalità accogliere queste persone e fare nostre le loro preoccupazioni e i loro desideri. Ciò avviene in maniera abbastanza diversificata. Alcuni fratelli si dedicano alla cura dei malati, altri sono operatori sociali o si occupano di psichiatria. Ma, mentre praticano le terapie, curano anche l’anima. Ogni fratello – come ogni individuo – è in grado perciò di comprendere ed esercitare la sua vocazione anche in senso pastorale.
Tutte le persone hanno un corpo e un’anima. La dimensione corpo-spirito è esistenziale e deve essere compresa e curata nella sua totalità. Anche se l’attenzione all’anima fa parte del trattamento, ci sono però dei fratelli specializzati in questo campo. Possono essere laici, anche se fin dagli inizi, nel 16° secolo, è stato concesso dal Papa il diritto di ordinare dei sacerdoti. I nostri sacerdoti sono pertanto dei chierici in un Istituto di fratelli. Oggi essi rappresentano il 10% dei membri.
Fr. Thomas si chiede a questo punto se i chierici hanno una vocazione anche di fratello laico. E se sì, se si tratta di una vocazione supplementare o di una pienezza di vocazione che gli altri fratelli non hanno. «Personalmente, scrive, per il momento rispondo con un chiaro no». Lo dice con convinzione perché adesso è stato chiamato a diventare sacerdote e si prepara frequentando un corso pastorale a Monaco di Baviera.
Scrive: «Dio chiamandomi all’ordine sacerdotale ha cambiato la mia vocazione. È lui che vuole così. E io in tutta libertà e gioia gli ho risposto di sì. Sento di aver perso qualcosa, ossia di dover riconsegnare a Dio la mia vocazione di fratello laico. Provo anche una specie di lutto e di perdita perché ho vissuto tutta la mia vita gioiosamente come laico. So quale tesoro è questa vocazione e quale bellezza racchiude. È una vocazione che avrei potuto vivere gioiosamente per tutto il resto della mia vita. Mi auguro che sia così anche come sacerdote. Ciò che rimane è la mia vocazione all’ospitalità, alla vita religiosa come fatebenefratello, ad essere fratello in senso generale dei malati, degli abbandonati e anche... confratello dei miei confratelli. Ciò che invece non rimane è la mia vocazione di religioso fratello perché questo dono il Signore me lo chiede amorevolmente indietro o desidera cambiarlo con qualcos’altro, anche se non con qualcosa di migliore!».
La cosa bella per noi fratelli misericordiosi è che il servizio del sacerdote è un compito pastorale accanto alle persone. La direzione dell’Istituto e la vigilanza sulle strutture è affidata nella Regola ai fratelli. Il fratello sacerdote deve invece rimanere libero per la pastorale.
«Un altro servizio che mi verrà chiesto come sacerdote riguarda i confratelli. La celebrazione dell’eucaristia è il punto culminante della nostra preghiera comune. Come sacerdote sarà mio dovere fare in modo che la celebrazione della santa messa aiuti i miei confratelli a cogliere in pienezza e celebrare insieme il santo Mistero e sia poi per loro più facile essere pronti a rispondere interiormente a Dio là dove si trovano. La liturgia, la preghiera, il rapporto con Dio per noi consacrati è una fonte di energia che ci aiuta a vivere la nostra vocazione. Ogni vocazione come fatebenefratello ha le sue sfide che noi come singoli e come comunità religiosa affrontiamo a partire dal nostro rapporto con Dio. È qualcosa di eccitante, affascinante e pieno di sorprese, spesso in maniera del tutto diversa da come uno all’inizio pensava. All’inizio ci fu la chiamata e da allora è stato tutto diverso».
A.D.