Una crisi profonda scuote l'Islam
2016/9, p. 11
La crisi che pervade l’islam è la più forte degli ultimi decenni perché tocca vari paesi, si presenta con una violenza inusitata e per la prima volta si realizza il progetto dell’ISIS. Per questi tre motivi si può affermare che l’islam invece di rinnovarsi sta affondando.

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Intervista a p. Samir
UNA CRISI PROFONDA
SCUOTE L’ISLAM
La crisi che pervade l’islam è la più forte degli ultimi decenni perché tocca vari paesi, si presenta con una violenza inusitata e per la prima volta si realizza il progetto dell’ISIS. Per questi tre motivi si può affermare che l’islam invece di rinnovarsi sta affondando.
Nel maggio del 2015 ha fatto parlare di sé il commento di p. Samir pubblicato dall’agenzia Asia News circa il messaggio del capo dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, che chiedeva a tutti i musulmani di “emigrare” verso il califfato e di attuare il jihad, la guerra santa, passando così da uno stato di pace a uno stato di guerra. Padre Samir lo ha definito un modo molto astuto per risvegliare qualcosa che dorme nel pensiero profondo dell’islam e per aizzare soprattutto il mondo salafita integralista.
Di seguito pubblichiamo un’importante intervista in esclusiva a tutto campo.
Padre Samir come definirebbe l’attuale crisi del mondo islamico?
Direi che questa è la crisi più forte degli ultimi decenni perché tocca vari paesi (non solo islamici), perché si presenta con una violenza inusitata e perché per la prima volta si realizza il progetto dell’ISIS (califfato auto-proclamatosi dal 2014) di occupare territori in Siria nordorientale e Iraq occidentale. Per questi tre motivi si può affermare che l’islam invece di rinnovarsi sta affondando.
Cosa c’è alla radice di questo sprofondamento sociale-religioso-culturale?
L’islam è preso ormai nella morsa del letteralismo. Nella storia di tutte le religioni esiste un testo sacro, scritto in un determinato tempo e per una specifica categoria di persone. Il problema sorge quando voglio interpretare quel testo dopo mille e quattrocento anni. Il problema diventa enorme poi se affermo che il testo sacro, il Corano, è disceso (unzila) direttamente dal cielo, e che Dio, attraverso l’arcangelo Gabriele, ha aperto il petto del profeta ponendovi il testo. Facciamo però attenzione: questa “allucinazione” sull’origine del Corano è iniziata a serpeggiare dal periodo medioevale! Secondo la storia invece il Corano al principio era trasmesso in forma orale. Al tempo del terzo califfo Othman (644-656), una ventina di anni dopo la morte di Maometto (632), si è sentito il bisogno di fissare per iscritto ciò che i “memorizzatori” (gli ḥuffāẓ) tramandavano. Il califfo avrebbe radunato una decina di ottimi memorizzatori, chiedendo loro di mettere per iscritto tutto ciò che avevano memorizzato, e di segnalare le divergenze e le contraddizioni che c’erano tra di loro (noi diremmo, di accludere note in fondo al testo). Così fu stabilita la “vulgata” del Corano, malgrado le critiche di alcuni musulmani della prima generazione, in particolare di Ibn Mas’ūd. Dopo questa prima tappa, ce ne fu una seconda: la dettatura del testo iniziale ad alcuni scribi o copisti, e finalmente a Zayd Ibn Thābit. La raccomandazione era quella di produrre copie identiche, da inviare alle varie città dell’impero islamico.
Il testo del Corano è dunque stabile e sicuro?
Magari fosse così! La maggioranza dei musulmani lo pensano, ma la realtà esposta dai musulmani della prima generazione non è così a motivo della ricchezza della lingua araba e della “difettosità” della scrittura araba. Si tenga presente che la lingua araba ha 28 consonanti, ma solo 14 caratteri alfabetici che si contraddistinguono dagli altri 14 con punti (da 1 a 3) sopra o sotto il carattere: le possibilità di lettura di una parola sono numerose e possono arrivare a una ventina. Ho fatto il test con alcuni studenti su una parola semplice, di 3 consonanti: BaYT (= casa). Senza scrivere i punti, siamo arrivati a più di 20 parole possibili! Il motivo è che le cinque consonanti B T Th N Y si scrivono in modo identico. Ora, questa “scrittura difettiva” è stata l’unica fino all’ottavo secolo; nel X secolo, molti manoscritti usano pochi punti, e si deve aspettare il XIV secolo per trovare sistematicamente tutti i punti che distinguono le consonanti l’una dall’altra. Quanto alle vocali brevi, erano (e sono ancora oggi) raramente scritte e le lunghe non sempre scritte. Gli attuali specialisti del Corano, quando una frase non presenta un senso chiaro, provano a rileggerla modificando i punti per arrivare a una frase coerente. Perciò, l’affermazione che il Corano è la Parola divina, dettata da Dio a Maometto e trasmessa da lui letteralmente, è un mito, visto che abbiamo delle varianti e che la tradizione islamica parla delle “sette letture” riconosciute! I testi del Corano attualmente diffusi non contengono nessun apparato critico.
Il testo del Vangelo non offre le stesse difficoltà?
Noi cristiani invece diciamo che il testo biblico è “ispirato” da Dio, non che è dettato e neppure disceso dal cielo: c’è un intervento umano e ogni epoca ha bisogno di approfondimenti. Il testo del Vangelo non è legato a una determinata cultura o epoca: ci offre delle norme generali, adattabili a ogni tempo e cultura. La presenza di quattro Vangeli attribuiti a quattro Autori, comportando varianti tra di loro, oppure divergenze minori, conferma che si tratta di Autori indipendenti che riportano il messaggio che ognuno di loro vuol trasmettere, rimanendo fedele agli atti e alle parole di Cristo. Non c’è nel Vangelo un codice giuridico o tradizioni da applicare tali e quali. Per il Corano invece, come già detto, ci sono varianti auditive e varianti scritturistiche: la teoria del testo disceso dal cielo non elimina il problema interpretativo. Oggigiorno, i Corani stampati nel mondo musulmano non mettono più le varianti in piè di pagina oppure alla fine del volume, e così optano per una sola lettura possibile. Addirittura, i testi del Corano stampati in Europa sono stati considerati falsi, perché esiste ormai una specie di imprimatur che è nelle mani dell’Arabia Saudita.
Uno studioso di nome Christoph Luxenberg (pseudonimo) ha fatto scalpore con un libro pubblicato in tedesco, intitolato: Die syro-aramäische Lesart des Koran: Ein Beitrag zur Entschlüsselung der Koransprache (2000), e tradotto in inglese col titolo: The Syro-Aramaic Reading of the Koran: A Contribution to the Decoding of the Language of the Koran (2007). L’Autore ha selezionato i passi del Corano considerati come problematici e non coerenti e ha elaborato la tesi seguente: sappiamo che esistono nel Corano parole prese in prestito dal siriaco (come affermano grandi studiosi musulmani del Medioevo) e Luxenberg ha cercato di leggere le parole del Corano reputate dubbiose come se fossero siriaco trascritto in arabo. In alcune decine di casi, il risultato è stato soddisfacente, e il testo coranico più coerente. La sua teoria ha fatto molto discutere, suscitando proteste nel mondo musulmano; ma in molti passi la sua interpretazione fornisce un senso certamente più coerente. Un influsso siriaco qua e là sembra sicuro. Certuni hanno fatto un passo in più, pretendendo che l’origine del Corano fosse un testo cristiano siriaco, rielaborato da Muhammad… il che mi sembra impossibile.
Passando al contesto più generale, come va letta oggi la “Primavera araba”?
La Primavera araba è stata una reazione positiva, soprattutto perché guidata da giovani che si sono ribellati contro i regimi oppressivi. Dopo la fase di protesta, i giovani però non hanno trovato qualcuno che li aiutasse a costruire la nuova fase successiva. I giovani vengono dall’esperienza delle dittature (da Nasser in poi), anche se l’Occidente ha dato patenti di democrazia a nuovi leader come Morsi. In Egitto sono nati una decina di partiti giovanili e alla fine sono rimasti solo i Fratelli musulmani, che hanno “vinto” le elezioni con il 51,7 %.
La democrazia si è espressa un anno dopo, nella protesta del 30 giugno 2013, con 30 milioni di persone scese in piazza contro il governo di Morsi, un fenomeno mai visto in Egitto finora. In questo primo anno di governo, Morsi ha nominato nove governatori del partito dei Fratelli Musulmani, ha islamizzato la televisione con programmi islamici e annunciatrici che dovevano indossare il velo; ha vietato l’Opera del Cairo, perché le ballerine mostravano al pubblico gambe nude, ha cambiato i programmi scolastici per islamizzarli, e soprattutto ha creato una nuova Costituzione di tendenza islamista, dando poteri assoluti al presidente. Si è stimato che l’80% della popolazione fosse contraria al presidente, compreso i salafiti. L’esercito è venuto in soccorso al popolo e il 3 luglio il generale Abd al-Fattah al-Sissi ha nominato il giudice Adli Mansur presidente provvisorio.
Il caso dell’assassinio di Giulio Regeni ha scosso l’Italia. Come va letto?
Il capo del governo al-Sissi non sa chi è il diretto esecutore dell’omicidio del giovane ricercatore e ci hanno raccontato tre storie diverse. L’Italia ha messo il dito su uno dei punti deboli dei nostri regimi. Il fatto che il presidente non abbia la capacità di trovare i responsabili, significa che abbiamo ormai poteri intrecciati di tipo mafioso che operano sul terreno. Questo contesto mafioso è nell’Egitto, come in altri paesi occidentali e orientali. Purtroppo in Egitto, come in molti paesi arabi, il concetto di “diritti umani” è ancora poco noto. È uno dei punti deboli di tutti i regimi che si sono succeduti dalla rivoluzione nasseriana (26 luglio 1952) ad oggi.
Come valuta la scelta della Turchia che si è offerta come stato cuscinetto tra profughi siriani e “Fortezza Europa”?
Posso dire che il gioco della Turchia sui migranti non appare molto pulito. La Turchia compra a buon prezzo il petrolio dai terroristi dell’Isis, e riceve tre miliardi di euro per smistare in Europa gli oltre 72mila profughi di guerra (tra cui molti siriani), mentre miliziani combattenti sono fatti entrare e si uniscono ai militari turchi nell’azione armata contro la minoranza curda. La Turchia ha paura dei turchi kurdi e attacca i kurdi iracheni e siriani. La scelta della cancelliera Merkel e dell’Unione Europea di facilitare la presenza turca in Europa mi sembra sbagliata e non resiste all’urto della storia. Riguardo ai profughi siriani e altri, la loro situazione è disastrosa: il governo siriano non è in grado di garantire loro la sicurezza. Per di più, i movimenti terroristi (Isis, al-Qa‘ida, al-Nusra, ecc.) sono finanziariamente sostenuti dai paesi arabi petroliferi, in particolare l’Arabia Saudita e il Qatar, e ricevono armi dagli Stati Uniti e dall’Europa attraverso questi intermediari arabi. Tutto ciò a partire da quella che all’inizio è una lotta dei paesi sunniti contro i regimi sciiti (Irak e Siria, donde ISIS = “Islamic State of Iraq and Syria”). La Turchia difende il suo territorio contro i terroristi, facendo accordi con loro, comprando il petrolio siriano a buon prezzo, ecc.
A pagarne il costo sono i civili iracheni e soprattutto siriani, continuamente bombardati. Di là, troviamo la massa enorme di profughi. Il papa si situa a livello umano, dicendo che non possiamo lasciare 8 milioni di persone a vivere una vita impossibile, e invita l’Europa ad accoglierli per motivi umanitari. Naturalmente, il controllo deve essere rigoroso, per evitare l’infiltrazione di terroristi in mezzo a loro. Inoltre, è indispensabile distribuirli sul territorio di ogni paese, con un periodo di formazione per garantire la possibilità d’integrarsi. L’Europa per troppo tempo ha rinunciato all’obbligo dell’integrazione culturale degli immigrati e all’educazione necessaria per questo scopo.
A questo punto, p. Samir può dirci chi c’è dietro la sigla Isis o Daesh?
Si pensa che ci sia l’Arabia Saudita, con armi che provengono dagli Stati Uniti, e in parte anche dall’Europa, compresa l’Italia, la Francia (un bell’affare è stato quello degli aerei Rafale venduti al Qatar per 6,3 miliardi di euro!), la Germania, la Russia. Certo la causa scatenante nasce dall’Arabia Saudita e dal Qatar, con la loro ideologia wahhabita di un islam impossibile a realizzarsi oggi: il loro modello è il Salaf, la prima generazione musulmana dei compagni di Maometto. Intanto, loro vivono con tutto il comfort della civilizzazione più avanzata, ma con le idee della civilizzazione beduina! Come mi diceva un medico amico libanese: “Noi non vogliamo dell’Islam beduino”, alludendo al wahhabismo. Non a caso passano le vacanze in palazzi in Europa, oppure in Libano. L’Arabia Saudita raramente va in guerra, ma cerca di diffondere la sua concezione salafita radicale dell’Islam in tutto il mondo islamico. Lo può fare grazie ai miliardi di dollari del petrolio. Questa concezione di per sé non significa guerra, ma l’ideologia soggiacente può facilmente spingere ad atti terroristici, perché c’è una visione fanatica inerente al wahhabismo, che si presenta come l’unico autentico Islam. E il terrorismo religioso è conseguenza del fanatismo religioso.
Per quale motivo l’Arabia Saudita farebbe questo?
Il motivo è il conflitto latente da sempre tra Sunniti e Sciiti, i quali sono rappresentati dall’Iran, paese al 98% sciita. In più, l’Iran ha sostenuto Hizbollah (milizia sciita libanese), che appoggia efficacemente la Siria di Assad (alaouita, ramo del Sciismo). Va pure detto che la guerra dell’Isis in origine era una guerra anti-sciita. Non a caso l’Isis pretende di ricreare il Califfato in Siria e in Iraq, che sono governati da gruppi che si rifanno allo sciismo: la minoranza alaouita a Damasco e gli sciiti (la maggioranza della popolazione) a Baghdad. Tensioni e scontri fra le due comunità sono diffuse ormai in Libano, India, Pakistan, ovunque vi siano comunità sciite. E i bombardamenti nello Yemen, da parte della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, si spiegano perché gli Houthi sono sciiti.
Oggi, se è vero che gli Sciiti rappresentano circa il 12% dei musulmani, la loro presenza è più significativa nel Medio Oriente: 98% in Iran, 75% nel Bahrain, 54% in Irak, 35% nello Yemen, 30% nel Libano, 27% negli Emirati, 25% nel Kuwait, 20% nel Qatar, 15% in Siria, 12% in Turchia, 10% in Arabia Saudita. Per questo motivo, l’odio verso di loro è aumentato da parte dei Sunniti fondamentalisti. D’altra parte, in tutto il mondo islamico, l’Arabia Saudita amplia la sua egemonia con aiuti economici, con la costruzione di moschee e con l’invio di imam wahhabiti. Il fondamentalismo – così vicino all’ideologia dell’Isis – emerge anche in paesi un tempo tolleranti: Egitto, Indonesia, Malaysia, Bangladesh. È urgente dunque una riforma dell’islam, come richiesto dal Presidente Al-Sissi nei suoi discorsi di dicembre 2014 e gennaio 2015, per salvare l’Islam dalla crisi più profonda degli ultimi due secoli.
Sunniti e sciiti si combattono per avere influenza nel mondo islamico e per chi deve dialogare con l’Occidente. L’accordo sul nucleare iraniano, fatto dalle grandi potenze con Teheran, lascia campo libero all’Iran; e l’Arabia Saudita – contraria all’accordo fino alla fine – ancora oggi vi si oppone come si oppone Israele, anche se per motivi diversi.
Ricordiamo che la divisione tra Sunniti e Sciiti risale alla morte di Maometto nel 632 quando si dovette decidere il successore (Abū Bakr oppure ‘Alī) e si è rinforzata nelle guerre tra di loro concludendosi nella battaglia di Karbala nell’ottobre 680, con la morte atroce di al-Hussain (figlio di Ali e nipote di Maometto) e dei suoi compagni.
Nella visione religiosa ideologica di molti Sauditi, gli Sciiti, che rappresentano meno del 15% dell’Islam, sono considerati come kuffār (plurale di kāfir), cioè miscredenti. Il takfīr (cioè l’atto di dichiarare qualcuno kāfir) si è molto diffuso negli ultimi quarant’anni. Ora, i kuffār, per gli islamisti radicali (ma non per tutti i musulmani) devono essere uccisi. A monte di tutti i problemi politici ed economici che spingono allo scontro fra le due potenze regionali (l’Arabia Saudita e l’Iran), vi è un braccio di ferro fra due modi di vivere l’islam: quello più tollerante e razionale dello sciismo (ad eccezione del khomeinismo) e quello fondamentalista del sunnismo wahhabita. Sunniti e sciiti non hanno la stessa visione della vita e della religione, e per questo si scontrano. Con il wahhabismo, il dogma sunnita si sta imponendo ovunque. In Pakistan, ad esempio, le leggi sulla blasfemia che hanno portato alla condanna a morte di Asia Bibi e l’uccisione di tante persone, sono di ispirazione tipicamente saudita. In tutte le regioni sunnite – meno alcuni paesi come l’Egitto – si sta diffondendo questo fondamentalismo, questo letteralismo che rigetta l’uso della ragione nella lettura del Corano.
Quale consiglio si sentirebbe di mandare a papa Francesco e anche ai cristiani coinvolti in questo scontro così brutale nel Vicino Oriente?
Si tratta di una questione molto delicata. Ci provo. Al Santo Padre Francesco non darei un consiglio, ma direi semplicemente come vedo il suo ruolo di Padre dei Cristiani riguardo ai Musulmani, e quale suggerimento il Santo Padre potrebbe offrire ai nostri fratelli musulmani e al mondo intero, in vista di un tentativo di pace universale. Nella situazione attuale, il mondo musulmano sta attraversando una grossa crisi. Siccome il mondo musulmano sunnita non ha un’autorità riconosciuta che possa dare un orientamento a tutti i Sunniti, ci troviamo di fronte ad atteggiamenti diversi, talvolta opposti. Alcuni promuovono un Islam duro, radicale e combattivo; altri un Islam aperto e rispettoso delle scelte di ognuno.
Oggigiorno, la religione e la fede non possono essere imposte. Devono essere scelte personalmente. Dobbiamo accettare che ci siano delle scelte e degli orientamenti diversi. Si possono suggerire le vie che sarebbero preferibili, ma non imporre. Inoltre, in ogni religione ci sono dei principi fondamentali validi per tutti i tempi e culture, e delle applicazioni che possono essere diverse secondo l’epoca, il luogo e la cultura. I principi fondamentali sono comuni a tutti, le applicazioni no. Sarebbe auspicabile che i responsabili delle religioni monoteiste si ritrovino per tentare di definire i principi fondamentali, comuni a tutti i credenti nel Dio unico, per proporli come base d’intesa e di convivenza di tutti i credenti. Anzi, forse in una seconda tappa, sarebbe auspicabile ritrovarsi con rappresentanti di tendenze etiche non religiose, per tentare di definire principi fondamentali validi per tutti, in vista di un nuovo “umanesimo”, lo scopo essendo sempre una convivenza universale, fondata su una visione comune della persona umana.
Di fronte alla moltiplicazione dei conflitti nel mondo, e delle tragedie che ne risultano per milioni di persone innocenti, ci vorrebbe un Comitato internazionale, rappresentante le varie potenze del mondo, compreso le potenze spirituali, per stabilire delle regole per evitare le guerre, evitare i conflitti e promuovere la pace.
Infine, vista la sproporzione esistente oggi nel mondo tra paesi ricchi (o ricchissimi) e paesi poveri e sottosviluppati, e viste le conseguenze derivanti da questa situazione per milioni di persone (e famiglie) e per le nazioni sviluppate, un Comitato rappresentativo di questi paesi sottosviluppati e sviluppati potrebbe ridurre questa discrepanza e sarebbe utile per le varie categorie di paesi.
Insomma, personalmente vedrei un ruolo importante che il Papa Francesco potrebbe avere, in questa tappa della storia del mondo, con la sua apertura a tutti, semplicità di vita e affetto universale per tutta la famiglia umana.
a cura di Mario Chiaro