Ciardi Fabio
Iuvenescit ecclesia
2016/9, p. 5
La Lettera abbandona lo schema Carisma/Istituzione come due vie diverse e si è messa in luce l’unica sorgente che è lo Spirito Santo dal quale provengono come doni suoi sia quelli gerarchici che quelli carismatici; egli ne è l’origine e in lui ambedue hanno il medesimo fine.
Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede
IUVENESCIT
ECCLESIA
La Lettera abbandona lo schema Carisma/Istituzione come due vie diverse e si è messa in luce l’unica sorgente che è lo Spirito Santo dal quale provengono come doni suoi sia quelli gerarchici che quelli carismatici; egli ne è l’origine e in lui ambedue hanno il medesimo fine.
Ha suscitato sorpresa la pubblicazione della lettera Iuvenescit Ecclesia, indirizzata ai Vescovi dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Del documento non si erano avute notizie in precedenza e forse anche per questo è stato accolto con interesse e senza le precomprensioni che accompagnano la lettura di analoghi interventi.
Il tema
della Lettera
Il tema – le relazioni tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa – era particolarmente vivace alla fine del secolo scorso. Fatto proprio da Giovanni Paolo II, trovò il suo apice nella Pentecoste del 1998, quando il Papa convocò a Roma i membri dei Movimenti ecclesiali, quasi volendo “dare casa” nella Chiesa alle nuove espressioni carismatiche. In quella occasione impiegò una parola che per tanti suonò ardita: “co-essenziale”: «Più volte ho avuto modo di sottolineare come nella Chiesa non ci sia contrasto o contrapposizione tra la dimensione istituzionale e la dimensione carismatica, di cui i Movimenti sono un’espressione significativa. Ambedue sono co-essenziali alla costituzione divina della Chiesa fondata da Gesù, perché concorrono insieme a rendere presente il mistero di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo». L’Osservatore Romano trovò l’espressione talmente nuova che cercò di attenuarla con un “quasi co-essenziale”. Eppure il Papa l’aveva già impiegata in precedenza, parlando al secondo congresso internazionale dei Movimenti tenutosi a Rocca di Papa nel 1987: «Nella Chiesa, tanto l’aspetto istituzionale, quanto quello carismatico, tanto la gerarchia quanto le associazioni e movimenti di fedeli, sono coessenziali e concorrono alla vita, al rinnovamento, alla santificazione…».
Il cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, appoggiò con la forza del suo pensiero il progetto di Giovanni Paolo II per una piena recettività dei Movimenti nella Chiesa, offrendo, durante il convegno della Pentecoste 1998, una robusta relazione di carattere storico-teologico. Per dare stabilità e continuità a questo progetto, pensò fosse opportuno che la Congregazione di cui era Prefetto preparasse un documento al riguardo, che avesse come oggetto il rapporto di coessenzialità tra doni gerarchici e carismatici.
Perché il documento appaia oggi, a oltre una quindicina di anni dalla sua prima progettazione, non è ben chiaro. È un fatto comunque provvidenziale perché, essendo pubblicato in un momento in cui le tensioni si sono molto attutite, esso appare sereno, positivo e propositivo. Nel frattempo i dati dottrinali esposti si sono consolidati, non per questo era meno opportuno ribadirli. Si nota infatti un certo divario tra la dottrina e l’attuale prassi pastorale, a dimostrazione che la coessenzialità non è ancora pienamente recepita.
La Lettera riguarda dunque le nuove aggregazioni ecclesiali. Si tratta di una limitazione del tema che non può passare inosservata. Con il termine “doni carismatici” ci si riferisce quasi esclusivamente ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità sorti soprattutto nel periodo seguito al Concilio Vaticano II. Il fronte carismatico della Chiesa – anche riferendosi soltanto ai carismi comunitari – è invece molto più ampio e tutto intero è chiamato a porsi in rapporto di comunione con i doni gerarchici. Anche se l’obiettivo del documento voleva essere limitato al rapporto tra la Gerarchia e i movimenti, si sarebbe potuto comunque, soprattutto nella parte dottrinale, esporre con chiarezza (e non soltanto con alcuni deboli accenni) che la vita consacrata e le società di vita apostolica sono doni carismatici. La Lettera dunque ignora la maggior parte della realtà carismatica della Chiesa. Senza questo ampio orizzonte si potrebbe dare adito ad un’appropriazione quasi esclusiva della dimensione carismatica da parte dei movimenti e delle nuove comunità. La ricchezza dottrinale della Lettera non mancherà tuttavia di essere accolta con interesse da religiosi e religiose, ai quali per altro si fa riferimento in un paio di passaggi rapidi, e di arrecare un benefico influsso anche sull’attesa riscrittura del documento Mutuae relationes.
Lo scopo
della Lettera
Lo scopo della Lettera è dunque quello di «richiamare, alla luce della relazione tra doni gerarchici e carismatici, quegli elementi teologici ed ecclesiologici la cui comprensione può favorire una feconda ed ordinata partecipazione delle nuove aggregazioni alla comunione e alla missione della Chiesa. (…) Successivamente, a partire da alcuni principi di ordine teologico sistematico, si offrono elementi identitari dei doni gerarchici e carismatici, insieme ad alcuni criteri per il discernimento delle nuove aggregazioni ecclesiali».
Il documento si apre con un’ampia e ricca sintesi biblica sui carismi, sui doni gerarchici e sui rapporti reciproci secondo il Nuovo Testamento. Si tratta di un terreno noto e ripetutamente studiato, presentato tuttavia con tale chiarezza da costituire un sicuro testo di riferimento per una prima comprensione e per ogni successivo approfondimento.
La seconda parte, dedicata al Magistero recente, prende avvio dal n. 4 della Costituzione Lumen gentium, a cui si ispira l’incipit e il titolo della Lettera: la menzione dei «doni variegati, tanto gerarchici che carismatici» con i quali lo Spirito struttura, abbellisce e ringiovanisce la Chiesa. La riflessione proposta dal documento intende così porsi in continuità con l’ecclesiologia di comunione del Concilio e con il Magistero postconciliare. Notevole lo spazio dedicato a quest’ultimo che, per rispondere alla «crescente vitalità di nuovi movimenti, aggregazioni di fedeli e comunità ecclesiali, insieme all’esigenza di precisare la collocazione della vita consacrata all’interno della Chiesa», ha moltiplicato gli interventi a tale proposito. «In definitiva, è dunque possibile riconoscere una convergenza del recente Magistero ecclesiale sulla coessenzialità tra doni gerarchici e carismatici» (10).
La terza parte offre il fondamento teologico per la comprensione della coessenzialità, che non significa né “contrapposizione”, né “giustapposizione”. Seguendo l’insegnamento di H.U. von Balthasar l’unità tra i due tipi di doni viene trovata nelle missioni divine del Verbo e dello Spirito nell’economia della salvezza: «Infatti, tutta l’economia sacramentale della Chiesa è la realizzazione pneumatologica dell’Incarnazione: perciò lo Spirito Santo viene considerato dalla Tradizione come l’anima della Chiesa, Corpo di Cristo» (11). Le missioni di Cristo quale Verbo incarnato e dello Spirito Santo, quale suo prolungamento ecclesiale, sono dunque complementari ed inseparabili come lo sono i doni gerarchici e carismatici nell’edificare la Chiesa, Corpo di Cristo.
La quarta parte, la più diffusa, costituisce l’oggetto specifico del documento: «La relazione tra doni gerarchici e carismatici nella vita e nella missione della Chiesa». Infine, nella quinta vengono esposti alcuni elementi per la concreta pratica ecclesiale circa la relazione tra i doni gerarchici e quelli carismatici.
Alcune osservazioni
e sottolineature
Piuttosto che una sintesi del documento, che per la sua ricchezza domanda di essere letto per intero, mi limito ad alcune osservazioni e sottolineature.
La Lettera offre innanzitutto una sostanziosa sintesi del cammino ecclesiale percorso dai movimenti e con i movimenti dal Concilio ad oggi. È una lettura positiva, fatta con fiducia e speranza, una conferma ulteriore dell’apprezzamento dei doni carismatici nella Chiesa di oggi, validando la visione dei Papi di una “primavera della Chiesa”, di “nuova Pentecoste”. Attualmente i movimenti si presentano come partner adulti, che portano nella Chiesa contributi seri e indispensabili di pedagogia evangelica, santificazione, evangelizzazione.
Dal punto di vista teologico la Lettera offre elementi di estrema importanza, non nuovi, ma riproposti con precisione e chiarezza. Seguendo soprattutto l’apporto offerto dal card. Ratzinger nel 1998, e da lui ripreso come Papa nel 2006, si è abbandonato lo schema Carisma / Istituzione come due vie diverse e si è messa in luce l’unica sorgente che è lo Spirito Santo dal quale provengono come doni suoi sia quelli gerarchici che quelli carismatici; egli ne è l’origine e in lui ambedue hanno il medesimo fine: la crescita e la comunicazione universale del dono di Dio all’umanità in Cristo Gesù. Non possono più essere considerati se non congiuntamente.
Là dove si parla del rapporto fra Chiesa universale e Chiesa locale non si afferma più il primato della dimensione universale su quella locale (un aspetto criticato della Communionis notio). Si esprime piuttosto la pericoresi tra le due dimensioni ambedue imprescindibili, senza contrapposizione fra universale e locale.
I criteri di ecclesialità sono passati dai cinque, indicati nella Christifideles laici, a nove. L’aspetto missionario, da quarto criterio diventa il secondo, subito dopo quello della santità, in linea col Vaticano II che vede la Chiesa in ottica missionaria, ma soprattutto in sintonia con la sensibilità odierna di Papa Francesco. L’aver posto come particolare criterio di ecclesialità l’apertura al mondo ricorda che il rapporto tra doni gerarchici e carismatici non è soltanto e prima di tutto una questione interna alla Chiesa, è piuttosto il presupposto per un cammino della Chiesa intera “in uscita” in questa fase nuova della sua storia. Per questo si ricorda ai vescovi, in modo garbato ma deciso, che, come i carismi non sono un fatto opzionale nella Chiesa, così non lo è neppure la loro accoglienza: essi vanno piuttosto recepiti e valorizzati proprio come dono che lo Spirito fa a loro. Se i carismi, e i movimenti che ne sono animati, sono dati per un rinnovamento della Chiesa e per rispondere alle sfide della missione, non si può più immaginare la Chiesa se non animata e ringiovanita dai doni carismatici e gerarchici operanti in sinergia.
Nell’ultima parte si supera definitivamente un certo sospetto, da parte di chi è già detentore di un carisma, nei confronti dei nuovi carismi che lo Spirito dona per tutta la Chiesa, quindi anche per loro. Si afferma chiaramente che i doni carismatici legati alle nuove aggregazioni sono rilevanti anche per i sacerdoti (e non solo per la loro vita personale, ma anche per il ministero) e per gli stessi membri degli Istituti di vita consacrata. Anche in questo è richiesta la reciprocità: se i “nuovi” carismi sono un dono per gli “antichi”, questi ultimi rimangono un dono per i primi. Ciò vale anche per i rapporti tra i membri dei diversi movimenti, la cui comunione e collaborazione è da incrementare costantemente.
La Lettera Iuvenescit Ecclesia non è un documento chiuso. Essa si presta ad ulteriori sviluppi. Dopo il convegno ecumenico promosso dalla Congregazione per gli Istituti di vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, si dovrà approfondire il legame con le forme di vita carismatiche presenti nelle altre Chiese cristiane. Andrà tematizzato anche il rapporto tra i carismi e Maria, così come il “profilo mariano” della Chiesa di cui ha ripetutamente parlato Giovanni Paolo II in consonanza con H.U. von Balthasar. La tematica della Lettera potrebbe infine aiutare a saldare maggiormente il progetto di sinergia tra i vari doni in una prospettiva di Chiesa in uscita e con la Riforma della Chiesa portata avanti da Papa Francesco.
In ultimo occorre rilevare, come già accennato, che l’ambito del documento è volutamente circoscritto. Si tratta di una scelta, che ha consentito l’approfondimento dei rapporti tra movimenti e Gerarchia. Se ne avverte comunque la ristrettezza. Nel futuro si potrebbe auspicare una riflessione ecclesiologica con una visione più ampia, inglobante tutte le forme carismatiche. Inoltre, un documento come la Lettera Iuvenescit Ecclesia dovrebbe essere frutto di un dialogo intenso tra tutte le parti interessate: la Congregazione della Dottrina della Fede, la Congregazione dei Vescovi, la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, il Pontificio Consiglio per i laici. Forse lo è stato, ma sarebbe una piacevole sorpresa leggere la firma congiunta di tutti e quattro i responsabili dei dicasteri, proprio per rendere visibile la comunione dei doni; così come sarebbe bello vederla indirizzata, oltre che ai Vescovi, anche ai Moderatori dei Movimenti, visto che tratta delle loro mutue relazioni.
La Lettera Iuvenescit Ecclesia, per la profondità dottrinale, la positività dell’impianto, la serenità e chiarezza con la quale affronta le tematiche, segna una pietra miliare di non ritorno nel riconoscimento del valore dei nuovi carismi, nel cammino di comunione ecclesiale, nell’apertura verso le nuove frontiere della missione.
Fabio Ciardi