Sulle suore "abusate"
2016/7, p. 36
In risposta alla presentazione dei delicati casi di abuso anche all’interno della vita religiosa femminile (cf. Testimoni n. 4 pag.12) abbiamo ricevuto questa lettera che sottolinea alcuni aspetti particolari e oggettivi. Le lettrici e i lettori conosceranno un diverso punto di vista. La questione rimane assai delicata e la sensibilità ecclesiale in merito è assai cresciuta negli ultimi anni, grazie alla decisione di Benedetto XVI prima e di papa Francesco poi.
Sulle suore “abusate”
In risposta alla presentazione dei delicati casi di abuso anche all'interno della vita religiosa femminile (cf. Testimoni n. 4 pag.12) abbiamo ricevuto questa lettera che sottolinea alcuni aspetti particolari e oggettivi. Le lettrici e i lettori conosceranno un diverso punto di vista. La questione rimane assai delicata e la sensibilità ecclesiale in merito è assai cresciuta negli ultimi anni, grazie alla decisione di Benedetto XVI prima e di papa Francesco poi.
Lorenzo Prezzi
Cari amici di “Testimoni”,
ho letto l’articolo di p. Prezzi sul libro di Anna Deodato “Vorrei risorgere dalle mie ferite”( in Testimoni 4/16, p. 12-15). Avrei pure io le mie cose da dire, ma mi limito a una sola e mi domando: le religiose che hanno “subito” abusi devono essere trattate alla stregua di “minori”?
Se io fossi una suora – penso alle lettrici di “Testimoni” – mi arrabbierei. Ho incontrato anch’io delle religiose, molto poche per fortuna, che hanno conosciuto vicende come quelle raccontate nel libro della Deodato, ma le ho sempre trattate da persone responsabili. Non “vittime” dunque ma responsabili – senza con questo voler negare la responsabilità “degli altri”. Credo che solo a questa condizione se ne possa venire fuori.
Proviamo a vedere le cose dall’altra parte. La donna è anche seduttrice o comunque in tanti casi molto disponibile. Ne ho incontrate pure io – in un caso o due anche una religiosa – ed era verso di me: avrei dovuto considerarmi una vittima? Evidentemente non ci siamo. Qui non siamo nel campo di minori che subiscono violenza, e che poi se la possono prendere con gli altri. Le suore di cui si parla sono persone adulte e come tali si devono/devono essere considerate. Se poi hanno sbagliato – poco importa se con la connivenza di altri o no – sono come tutti i poveri e i peccatori: possono ricorrere alla bontà e misericordia di Dio (a quel Gesù Signore che sempre le accoglie e le stima molto più di quanto pensano). E poi aprire il cuore a vivere nella certezza di essere così: amate e perdonate.
Dicevo che a me è capitato di incontrare casi del genere. E’ vero, a volte viene da gridare di rabbia contro chi, invece di aiutare, disaiuta. Ma poi il punto importante è aiutare la persona a tornare a se stessa e ritrovare fiducia. Senza farne semplicemente una vittima. Questo non porta da nessuna parte, ed è anche mancanza di amore e, in definitiva, di rispetto verso la persona.
Forse sono troppo severo e perfino duro a parlare così? Non mi pare proprio. Si tratta di voler bene e saper stimare la persona non di commiserarla. Io, da prete, mi comporto così: ascolto senza giudicare, con profonda e insieme serena partecipazione; cerco di aprire lo sguardo della persona ferita a vedere tutto in un’altra luce – come fa Gesù nel vangelo – e posso testimoniare che più di una volta ho constatato (qui gli psicologi mi manderanno a quel paese!) l’efficacia terapeutica della fede.
Forse dovremmo crederlo di più: certe ferite guariscono quando sono toccate – cioè si lasciano toccare – dalla mano dolce e misericordiosa del Padre. Pure io sono un peccatore – non in queste cose per grazia di Dio – e so per esperienza (tutti penso che lo sappiamo) che certe ferite guariscono quando si arriva ad avere il coraggio di credere che la nostra vita è più grande e Dio è più grande ancora: lui non ha paura dei nostri sbagli e neanche di ciò che abbiamo subito: ci ama come Padre i suoi figli, ci ama così come siamo ed è capace di far sì che tutto concorra al bene, e lo fa (cf Rm 8,28). Non è forse vero che alla fine della fiera è proprio il nostro limite e la nostra povertà che entrano a costituire ciò che siamo nel senso più personale e questo in senso positivo?
Insomma, io penso che – in uno sguardo di fede certamente, perché solo così se ne viene fuori – dobbiamo rimandare ciascuno, anche e prima di tutto i preti, alle proprie responsabilità. E dobbiamo lasciar perdere con il vittimismo, qualsiasi colore abbia. Tra l’altro è del tutto illusorio – a meno di pensare che ognuno sia capace di salvarsi da sé (vedi su questo san Paolo) – credere che certi problemi si possano risolvere con le denunce. Questo serve certamente a far credere (si pensi ai mass media oggi) che anche nella VR e tra le suore tutto è proprio uno squallore unico, ma questo lo lascio pensare a chi lo vuol pensare.
Io preferisco vedere le cose come da sempre mi è capitato di vederle nel mio lavoro per la VR. E’ talmente grande, incredibilmente grande il bene che abbiamo ricevuto e riceviamo dalle suore, che basta da solo a coprire con un manto di tenerezza e di misericordia anche chi sbaglia, o non è stato aiutato come si conveniva a non sbagliare.
Questo vale anche, e soprattutto, per quelle che sono state segnate da ferite troppo profonde: io li vedo e li sento davanti a Dio come coloro che, sapendo cos’è la sofferenza, possono efficacemente intercedere misericordia per tutti noi. È la loro stessa vita che è intercessione e questo dovrebbe bastare.
Lettera firmata