Brena Enzo
Abusi e prevenzione
2016/7, p. 34
Se ne parla di meno, ma il problema non è superato né scomparso. Il fenomeno degli abusi, sessuali e non, continua ad essere attuale e più reale di quanto si pensi. L’importanza della consapevolezza del problema e di una reale prevenzione.

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Formazione vocazionale
ABUSI
E PREVENZIONE
Se ne parla di meno, ma il problema non è superato né scomparso. Il fenomeno degli abusi, sessuali e non, continua ad essere attuale e più reale di quanto si pensi. L’importanza della consapevolezza del problema e di una reale prevenzione.
Il 14 maggio scorso si è tenuto a Milano il convegno «Formazione vocazionale e abusi… meglio prevenire!», organizzato dal Centro per l’accompagnamento vocazionale di Milano, la rivista Tredimensioni (ed. Ancora) e l’Azione Cattolica di Milano. Tre i relatori: p. Hans Zollner sj, presidente del Centre for Child Protection, preside dell’Istituto di psicologia della Pontificia università Gregoriana e membro della Commissione per la protezione dei minori voluta da papa Francesco; Anna Deodato, formatrice vocazionale e autrice del libro Vorrei risorgere dalle mie ferite. Donne consacrate e abuso (EDB, 2016); don Alessandro Manenti, psicoterapeuta, docente all’Istituto Superiore per Formatori e direttore editoriale della rivista Tredimensioni.
Perché un convegno su questo tema? Perché «questa ferita nel cuore della Chiesa esiste – ha detto Anna Deodato – ed è una ferita che sanguina», anche se le posizioni, di fronte a questo dato di realtà, possono essere tante e diverse. C’è ancora molta diffidenza e resistenza a tutti i livelli della società e della Chiesa di fronte al problema, ha detto Zollner. Le bufere degli scandali degli abusi sessuali scoppiati negli USA, in Irlanda e Germania insegnano che fenomeni come questo, sepolti per tanto tempo, prima o poi scoppieranno anche nel nostro paese, e sarebbe opportuno fare qualcosa prima che ciò accada.
Da qui l’accento sulla prevenzione: «se la Chiesa italiana – auspicava Zollner – potesse diventare un campione di sperimentazione della prevenzione e potesse diventare l’istituzione che porta avanti la sensibilizzazione dei genitori, degli adolescenti e dei bambini, di associazioni sportive o di altro tipo, di tutte le persone che lavorano coi giovani, allora la Chiesa potrebbe diventare luce per questa società».
Numeri e storie
di persone
I dati recenti dell’Organizzazione mondiale della sanità relativi all’Italia circa gli abusi parlano di 80 mila casi all’anno. Si va dalle più varie forme di abuso o trascuratezza fino a un effettivo abuso sessuale (10%). Stando alla notifica dei medici italiani, i casi di abuso e violenza riguardano per il 26% l’abuso psicologico, per il 25% l’abuso fisico, per il 27% patologia della cura e per il 9,6% l’abuso sessuale. Presunti responsabili di tutte queste forme di abuso sono per il 44% le madri, per quasi il 30% i padri e, a seguire, fratelli, parenti, amici, insegnanti, conoscenti, estranei. Luoghi prevalenti di abuso: la propria casa (70%), la strada, la scuola, la chiesa/oratorio (3%).
Per quanto riguarda l’Europa, i dati dello scorso anno segnalano 18 milioni di bambini vittime di abuso sessuale, 44 milioni di vittime di violenza fisica, 55 milioni di vittime di violenza psicologica. In generale, le vittime di sesso femminile prevalgono su quelle di sesso maschile. A livello mondiale è impressionante il caso dell’India. Il governo indiano ha presentato una statistica secondo la quale il 50% dei giovani indiani sono stati abusati sessualmente... il che, tenendo conto della popolazione del paese, significa 200 milioni di persone vittime di abuso sessuale!
Ai numeri corrispondono molteplici trame esistenziali accomunate da analogie, ma tutte storie concrete che hanno il volto di persone uniche, che hanno dato fiducia e ricevuto in cambio dolore.
L’intervento di Anna Deodato ha messo in evidenza il dramma che si gioca nella forma più grave di abuso, quello sessuale. Questo tipo di abuso non è riducibile semplicisticamente all’istintivo gioco della seduzione iscritto nella natura dell’uomo e della donna e sempre all’opera, in forme e modi più o meno consapevoli. Se si trattasse solo del naturale istinto alla seduzione (come sembra intendere l’autore della lettera firmata di pag. 36) non si spenderebbero parole come “abuso” e “vittima”. Ci si trova, invece, di fronte a situazioni tipiche di relazioni in cui la fiducia è stata tradita e strumentalizzata, e la persona abbandonata a se stessa.
Il problema si radica in un più grave abuso di potere, che invade ogni ambito della relazione, a livello psichico e sessuale, violando i confini sacri della coscienza e della sessualità individuali. Alcune donne saranno più deboli e ingenue di altre, altre forse più o meno consapevolmente seduttive, ma il problema vero non è la debolezza, l’ingenuità o la seduzione. Nei casi di abuso il problema sta nella responsabilità di chi svolge un ruolo di accompagnamento e di come si pone di fronte a tutto ciò che fa parte della relazione: su questo aspetto bisogna lavorare. Perciò va rivisto criticamente l’impianto della formazione sacerdotale e religiosa, i suoi metodi e i contenuti – come ha fatto notare Zollner – per prendere coscienza del grave dovere di responsabilità chiamato in causa dalla fiducia e confidenza che le persone mettono nelle mani del prete/direttore spirituale/formatore, e imparare a riconoscere, tra le tante cose, anche i segni del delirio di onnipotenza di chi “spiritualizza” o “teologizza” la gratificazione delle proprie pulsioni, e le “vende” all’altra come cose buone e quasi meritorie.
Vorrei risorgere
dalle mie ferite
L’esperienza di Anna Deodato nell’accompagnamento di donne consacrate vittime di abuso l’ha convinta che è laborioso combattere il senso di morte e cercare insieme i segni di vita nascosti, ma presenti, e lentamente restituire una possibilità di ripartire nella loro vita senza che l’abuso subito le condanni a ripetizioni ingannevoli e dolorose. Il suo intervento ha evidenziato i principali passaggi del percorso terapeutico, sia per la persona vittima d’abuso che per l’accompagnatore.
Non esiste solo la pedofilia. Esiste anche l’abuso sessuale perpetrato nei confronti di donne adulte, anche se qualcuno fatica a riconoscere ciò come abuso. E proprio questo giudizio, o pregiudizio, è il primo ostacolo con cui fare i conti nel lavoro terapeutico. Di fronte al suo vissuto, la donna abusata vive la fatica di trovare qualcuno a cui raccontare la sua storia, dal quale sentirsi creduta e non giudicata. In tante vittime d’abuso è talmente forte il senso di colpa per quanto accaduto, che nel percorso terapeutico rimane a lungo difficile una realistica lettura dei fatti e delle responsabilità che permetta un recupero.
La capacità di credere e provare un’empatia concreta e discreta è condizione indispensabile per aiutare a raccontare i fatti, rielaborarli per recuperare la propria dignità personale e vocazionale. La relazione con l’accompagnatore è il primo passo del cammino di recupero. «Dare credibilità è la porta d’ingresso di ogni rielaborazione e la condizione essenziale affinché la relazione sia veramente terapeutica: capace di sostenere e promuovere il nuovo cammino che si desidera aprire, curativa del cuore e del corpo, della memoria di ieri e del futuro che si tenta di ricostruire». Un ampio spazio del suo libro è dedicato a questo aspetto.
Uguale importanza ha dedicato la relatrice alla vigilanza che l’accompagnatore deve esercitare su se stesso. «L’abuso fa parte prima di tutto di una dinamica di potere, supremazia, dominio e subordinazione verso una o più persone che sono in una situazione di vulnerabilità esistenziale e dipendenza, per età, circostanze di vita, per bisogni affettivi personali». In questo scenario esistenziale, «colui che abusa sceglie la vittima e si mette prima in sicurezza attraverso un sistematico gioco di potere nel quale la manipolazione affettiva e la riorganizzazione, insieme acuta e perversa della realtà quotidiana della vittima, hanno un ruolo centrale. L’abuso sessuale viene da lontano, è preparato e preceduto da un insieme di atti di abuso di potere. Sempre».
Frutto di questa opera di manipolazione è l’isolamento in cui viene a trovarsi la vittima, che finisce per riconoscere un posto centrale nella sua vita a colui che abusa. Il dato che emerge dalle storie delle vittime è che «chi abusa sessualmente quasi sempre ha già abusato dell’intimità», poiché il potere porta a usare della persona «secondo fini che non solo non la rispettano ma, anzi, l’umiliano». La manipolazione emotiva, che provoca nella vittima umiliazione, vergogna, paura, senso di colpa, condiziona la lettura della realtà, minaccia la capacità di reagire all’accaduto e induce un atteggiamento di passiva rassegnazione circa la propria dignità e autostima.
Perciò, è importante che chi accompagna altre persone riconosca il proprio potere. È «assolutamente necessario vigilare su noi stessi», poiché «il male fa molto male e ha il potere di ingannare anche chi accompagna». Non ci si può illudere «di essere ormai capaci e superiori a queste infiltrazioni maligne che trascinano anche noi in dinamiche complesse che schiacciano anche i nostri vissuti emotivi profondi e rischiano di confondere le nostre capacità riflessive e cognitive».
Di fronte a chi è nel bisogno, soprattutto a vittime d’abuso, si è facilmente vulnerabili alla tentazione del potere che stimola in noi l’anima del salvatore o della salvatrice. «La tentazione dell’onnipotenza è sempre accovacciata alla porta nelle sue diverse sembianze: come ambizione per superare la nostra umiliazione, come tentazione di dismisura per alimentare il nostro narcisismo, come compensazione delle nostre insicurezze e dei nostri vuoti interiori per compensare i nostri bisogni affettivi».
La vigilanza deve essere di alto profilo perché, a causa del senso di umiliazione e di morte che si porta dentro, la vittima d’abuso idealizza chi l’accompagna e nutre aspettative affettive altissime. Perciò è essenziale non andare avanti da soli, ma avere una rete di supporto. «Penso alla supervisione, alla possibilità di avere un’équipe medica di riferimento: psichiatra, ginecologa, internista… terapisti corporei e fisioterapisti specializzati nella rielaborazione dei traumi e preti capaci d’accoglienza, discrezione ed equilibrata vicinanza».
Di uguale importanza è il lavoro che l’accompagnatore deve svolgere in se stesso per poter continuare nella relazione d’aiuto con chi ha subito un abuso. Scendere nell’abisso del dolore altrui e risalire alla vita non è cosa da poco e richiede le migliori energie. È un’attenzione doverosa «per noi, ma soprattutto per coloro che si sono affidati a noi».
Concludendo, la Deodato ha esortato la Chiesa ad aprirsi al dramma di queste donne, a «vincere l’omertà che porta a tacere, a non cambiare strada quando incontriamo qualcuno che soffre e così non tacere più questa ingiustizia e prevaricazione sulla donna consacrata… sulla donna!».
Rinnovare
la coscienza
Ad Alessandro Manenti è toccato il tema della formazione della coscienza.
Di fronte a questi drammi – ha fatto notare il relatore – si è sempre meno disposti alla tolleranza, sia a livello individuale che sociale. All’enfasi di questo scandalo, tuttavia, non è corrisposto un analogo proposito di rinnovamento della coscienza cristiana. La Chiesa-istituzione ha dato esempio di fermezza nell’affrontare pedofilia e abusi sessuali da parte del clero e dei consacrati. Ma a questo coraggio non è corrisposto il coraggio dei cristiani di mettersi in questione sulla condizione della propria coscienza, sulla qualità del loro sguardo di fede e sulla loro vocazione. È vero, si è tanto parlato di scandali, ma «che cosa ci ha scandalizzati davvero? Certamente il male prodotto agli altri, all’innocente. E poi?». Non ci scandalizza, per esempio, la povertà e la banalità interpretative del nostro rapporto con il Signore di cui queste aberrazioni possono essere il sintomo eclatante.
L’indagine per comprendere il fenomeno della pedofilia e dell’abuso sessuale è complessa per la psicopatologia e drammatica per la teologia. Entrambi gli ambiti vanno tenuti presenti per non ritrovarsi in una condizione di “patologica” rassegnazione davanti al fenomeno.
In chiave di formazione delle coscienze, Manenti ha fatto notare come «la pedofilia è l’avvertimento tragico ed eclatante del destino in cui incappa il sistema di valori quando non riesce a intercettare la personalità del soggetto in formazione». Quando i valori sono imparati, “vestiti” ma non incarnati e fatti propri fino a trasformare la vita, allora hanno vita breve e mutevole: «ad assenza di valori forti corrispondono valori perversi».
L’orientamento al ruolo (e al successo nel ruolo) piuttosto che l’orientamento ai valori è uno dei temi su cui vivere una costante verifica e conversione. Spesso si vive una formazione tranquillizzante più che evangelica. È necessario «educare al rischio di essere preti/religiosi» e cristiani. La nostra formazione non dice che l’eventualità della deriva va tenuta in conto perché fa parte della vocazione, così come non parla dei rischi regressivi a cui è esposta la vita celibataria. Lo stesso vale per lo spazio dato al tema delle espressioni affettive nelle relazioni d’aiuto, il modo di rappresentarsi il proprio ruolo nella comunità, il tipo di spiritualità che si segue...
Purtroppo, gli errori e le amnesie formative presenteranno il conto nel futuro della vita e del ministero, anche con casi estremi come la pedofilia o gli abusi sessuali, dal momento che alcune persone useranno il ruolo del sacerdote per ottenere gratificazione a bisogni e aspirazioni che, con la fede e la vocazione sacerdotale, hanno nulla a che fare.
Manenti ha concluso ricordando la necessità del riesame di coscienza: se certi guai succedono non significa che la nostra casa ha bisogno di qualche restauro, non solo di tipo conservativo, ma anche innovativo?
Enzo Brena