Gellini Anna Maria
Una vita donata agli ultimi
2016/7, p. 31
Simbolo del Vangelo della carità verso gli ultimi, Nobel per la pace, fondatrice delle Missionarie della Carità, testimone che la misericordia per “i non voluti, non amati, non curati” ha anche una valenza pubblica e sociale.
Madre Teresa proclamata santa il 4 settembre
una vita donata
agli ultimi
Simbolo del Vangelo della carità verso gli ultimi, Nobel per la pace, fondatrice delle Missionarie della Carità, testimone che la misericordia per “i non voluti, non amati, non curati” ha anche una valenza pubblica e sociale.
Madre Teresa verrà proclamata santa il prossimo 4 settembre a Roma, un giorno prima del 19° anniversario della sua morte avvenuta a Calcutta il 5 settembre 1997. Sarà uno dei momenti culminanti del Giubileo della Misericordia. Giovanni Paolo II l’aveva proclamata beata il 19 ottobre 2003.
«Dio ama ancora il mondo e manda me e te affinché siamo il suo amore e la sua compassione verso i poveri», scriveva Madre Teresa che ogni mattina iniziava la giornata davanti all’Eucaristia e usciva con la corona del Rosario tra le mani per cercare e servire il Signore in coloro che sono «non voluti, non amati, non curati». Amava definirsi «piccola matita nelle mani di Dio», e realmente si è lasciata usare trasformando tutta la sua vita in opera di misericordia.
Stringi la mano
di Dio
«Stringi la mano di Dio e non lasciarla mai nel tuo cammino»: è l’incoraggiamento che Agnés Gonxha Bojaxhiu, (questo il nome originario di suor Teresa) riceve dalla mamma Drana davanti alla sua decisione di consacrarsi al Signore. Agnés nasce il 26 agosto 1910 a Skopje, attualmente capitale della Repubblica di Macedonia. Trascorre la sua infanzia tra la scuola, la drogheria paterna e la compagnia serena del fratello Lazar e della sorella Aga. Cresce nella parrocchia di Cristo Re dove frequenta il Sodalizio, un gruppo di preghiera e aiuto per le missioni. Lì incontra i padri gesuiti che operano a Calcutta, nell’India orientale. L'esperienza dei missionari l’appassiona, tanto che a 18 anni decide di entrare nella Congregazione delle Suore missionarie di Nostra Signora di Loreto, presente anche in India. Nella Casa madre a Rathfannan, in Irlanda, inizia il suo postulantato. Nel 1929 parte per Darjeeling in India, dove incomincia il noviziato. Nel 1931, a Calcutta, dove già si era trasferita per terminare gli studi, emette la prima professione religiosa prendendo il nome di "Teresa", ispirata dalla santa di Lisieux. Inizia il suo apostolato come insegnante di storia e geografia nel collegio per giovani cattoliche Saint Mary of Loreto High School, di cui sarà anche direttrice.
Accanto al collegio c'è il quartiere Motijheel, con i suoi tuguri e vicoli fangosi. Suor Teresa dalla finestra della camera vede bambini nudi e sporchi, vecchi sofferenti e moribondi, gente affamata e senza casa. Si rende sempre più conto che Calcutta non è solo la metropoli degli uomini degli affari e della politica, ma è una città dove molti suoi abitanti nascono, vivono e muoiono sui marciapiedi; il tetto, se va bene, è costituito dal sedile di una panchina, dall'angolo di un portone, da un carretto abbandonato. Altri hanno solo giornali o cartoni. Affamati, storpi, ciechi e lebbrosi popolano i marciapiedi di Calcutta. Anche per l'India quegli anni non sono facili: la guerra che aveva coinvolto tutto il mondo sfocerà nel 1947 nell’indipendenza dall’antico impero inglese ma con la divisione in due Stati: l'Unione Indiana, di religione indù, e il Pakistan di religione musulmana. I seguaci delle due religioni cominciano a combattersi provocando gravi massacri e nuove povertà. Suor Teresa segue i tragici eventi e "avverte con chiarezza una chiamata nella chiamata. Chiede di lasciare la congregazione, per darsi al servizio dei più poveri, vivendo in mezzo a loro".
Missionaria
della carità
Il 16 agosto 1948 giunge a sr. Teresa l'autorizzazione da Roma, con la firma di papa Pio XII, di lasciare la congregazione delle Missionarie di Nostra Signora di Loreto. Per 4 rupìe sr. Teresa compra un sari di cotone, la veste più comune e povera delle donne indiane; è bianco bordato di azzurro e sulla spalla si appunta una piccola croce. Prende un treno per Patna, dove trascorre tre mesi presso le Medical Sisters per apprendere le basilari nozioni di medicina, poi rientra a Calcutta nei più miseri slums di Tilia e Motijheel. Passa da una baracca all'altra e inizia il suo servizio con acqua e sapone: lava i bambini, i vecchi piagati, le donne sofferenti. Va in giro chiedendo cibo e medicine, per curare e sfamare i suoi poveri. «La prima persona che tolsi dal marciapiede – racconterà madre Teresa – era una donna mangiata per metà dai topi e dalle formiche. La portai con un carretto all'ospedale, non volevano accettarla, se la tennero solo perché mi rifiutai di andarmene finché non l'avessero ricoverata. Poi fu la volta di un'anziana che si lamentava tra i rifiuti. Nell'indifferenza dei passanti mi sforzai di tirarla fuori, mentre tra le lacrime continuava a ripetermi: "è mio figlio che mi ha gettata qui"». Ogni giorno la piccola suora dal sari bianco continua la sua opera per le vie di Calcutta: il suo sì ai poveri è deciso, convinta che la sua vita sia assieme a coloro che cadono e muoiono per la strada e accanto ai quali i «vivi» passano volgendo il capo. La sua abitazione è una baracca sterrata e lì porta quelli che non sono accolti negli ospedali. Nel febbraio 1949 Michele Gomez, funzionario dell'amministrazione statale, mette a disposizione di suor Teresa un locale all'ultimo piano di una casa di Creek Lane; lì viene raggiunta da Shubashini, una giovane di famiglia benestante, ex alunna del collegio di Loreto, che chiede di condividere con lei il servizio tra i più poveri. In breve tempo arrivano altre giovani. Il 7 ottobre 1950 nasce con decreto della Santa Sede, la Congregazione delle Missionarie della carità e suor Teresa diventa madre Teresa. Oltre ai tre voti di povertà, castità e obbedienza, la nuova comunità ne aggiunge un quarto di «dedito e gratuito servizio ai più poveri tra i poveri». Il 1 febbraio 1965 la congregazione viene riconosciuta di diritto pontificio.
«Qualcosa di bello
per Dio»
Madre Teresa è animata, in tutte le sue azioni, dall'amore di Cristo, dalla volontà di «fare qualcosa di bello per Dio», al servizio della Chiesa. «Essere cattolica ha per me un'importanza totale, assoluta – dice. Dobbiamo attestare la verità del Vangelo, proclamando la parola di Dio senza timore, apertamente, chiaramente, secondo quanto insegna la Chiesa».
«Il lavoro che realizziamo è, per noi, soltanto un mezzo per concretizzare il nostro amore di Cristo... Siamo dedite al servizio dei più poveri dei poveri, vale a dire di Cristo, di cui i poveri sono l'immagine dolorosa... Gesù nell'eucaristia e Gesù nei poveri, sotto le specie del pane e sotto le specie del povero, ecco quel che fa di noi delle contemplative nel cuore del mondo».
Nel 1954 viene inaugurata la “Casa per il moribondo abbandonato” Nirmal Hriday. Oltre alla vita che si spegne, Madre Teresa guarda anche alla vita nascente con l'apertura della “Casa dei bambini” Sushi Bhavan, dove accoglie i bambini abbandonati, trovati spesso nei bidoni della spazzatura. Un altro progetto è togliere i lebbrosi dagli slum: vuole costruire per loro una città, che chiamerà “Città della Pace”, Chantinabal, ma le manca il denaro. È il 1964, a Bombay si celebra il Congresso eucaristico con la presenza di Paolo VI. Il Papa incontra la Madre e prima di partire, le dona una bella auto americana, con una dedica: "A madre Teresa per la sua universale missione d'amore". «Chissà quanta benzina consuma! – commenta madre Teresa – No, meglio il mio carrettino tirato a mano. La metterò all'asta. Questa è la macchina dei lebbrosi». E infatti con il ricavato costruisce il primo lotto, dei 14 previsti, della “città della pace”; la strada principale sarà “viale Paolo VI”. Due anni dopo, grazie ad altri aiuti e premi, il villaggio della pace viene terminato, con negozi, giardini, l'ufficio postale e la scuola.
Nel corso degli anni ‘60, le Missionarie della Carità si diffondono in quasi tutte le diocesi dell'India. Nel 1965 alcune partono per Cocorote in Venezuela. Nel marzo del 1968, Paolo VI chiede a madre Teresa di aprire una casa anche a Roma. Nello stesso tempo, altre suore operano nel Bangladesh, paese devastato da una gravissima guerra civile. (Oggi le Missionarie della Carità sono oltre quattromila, presenti in 130 Paesi con circa 700 case, di cui una ventina in Italia e oltre 200 in India).
Nel 1979, a Stoccolma, viene assegnato a madre Teresa il Premio Nobel per la Pace. Tra le motivazioni è indicato il suo impegno per i più poveri tra i poveri, e il suo rispetto per il valore e la dignità di ogni singola persona. Madre Teresa nell'occasione rifiuta la tradizionale cerimonia riservata ai “premiati”, e chiede che i 6.000 dollari del riconoscimento vengano destinati ai poveri di Calcutta, che con tale somma possono ottenere aiuti per un anno intero. Le viene assegnato anche il premio Balzan che ogni quattro anni assegna il premio "per l'umanità, la pace, la fratellanza fra i popoli". Seguiranno molti altri attestati di stima e riconoscenza. Nel 1989 madre Teresa viene proclamata donna dell'anno.
La misericordia
nella “notte oscura”
La sete è un desiderio intenso e doloroso. Madre Teresa la scorgeva in Gesù sulla croce e decise di dedicare tutta la sua vita a saziarla. Il prendervi parte divenne la sua più personale vocazione, fino all'oscurità persistente che avvolse la sua vita, con una faticosa sensazione di vivere nella lontananza e nell’assenza di Dio.
«Si tratta di un’esperienza che l’accomuna a tanti grandi mistici della storia cristiana», spiega il gesuita p. Neuner, che ha approfondito questo aspetto della spiritualità di madre Teresa. «È come se fin dagli inizi lei dovesse sperimentare non soltanto la povertà materiale e l’impotenza degli emarginati, ma anche la loro desolazione».
Nel marzo 1953 madre Teresa scriveva a monsignor Périer, arcivescovo di Calcutta: «Per favore, preghi specialmente per me, affinché io non rovini il lavoro di Gesù e Nostro Signore si riveli, perché c’è una così terribile oscurità dentro di me, come se tutto fosse morto. Mi sono sentita così più o meno da quando ho dato inizio all’opera. Chieda a Nostro Signore di darmi coraggio». A sorreggerla rimaneva un’unica certezza: il lavoro per la Congregazione delle Missionarie della Carità «non lo faccio io, ma Gesù: sono più certa di questo che della mia reale esistenza».
All’arcivescovo continuerà a confessare i passaggi della sua aridità interiore: «Dentro di me è tutto gelido. È soltanto la fede cieca che mi trasporta, perché in verità tutto è oscurità per me.» (dicembre 1955); «A volte l’agonia della desolazione è così grande e nel contempo il vivo desiderio dell’Assente è così profondo, che l’unica preghiera che riesco ancora a recitare è "Sacro Cuore di Gesù, confido in te. Sazierò la tua sete di anime"» (marzo 1956).
Il suo interrogativo era sempre lo stesso: «Che cosa Dio ricava davvero da me, mentre sono in questo stato, senza fede, senza amore, senza neanche un sentimento? L’altro giorno c’è stato un momento nel quale quasi rifiutavo di accettare la situazione, e allora ho preso il Rosario e ho iniziato a recitarlo lentamente e con calma, senza meditare o pensare nulla. Così il brutto momento è passato, ma l’oscurità è veramente densa e il dolore molto tormentoso. In ogni caso, accetto qualunque cosa egli mi dà e gli dono qualunque cosa egli mi prende».
Nonostante le sofferenze che l’oscurità spirituale le arrecava, madre Teresa mantenne sempre la consapevolezza che la fede era l’unico faro della vita. Una lettera alle Missionarie del 31 luglio 1962, in uno dei periodi più faticosi della sua esperienza spirituale, manifesta la forza di questa convinzione: «Cristo ti utilizzerà per compiere grandi cose a condizione che tu creda più nel suo amore che nella tua debolezza. Credi in lui, abbi fede in lui con assoluta fiducia perché lui è Gesù. Credi che Gesù, e soltanto lui, è la vita; e che la santità non è altro se non lo stesso Gesù che vive intimamente in te».
Madre Teresa aveva detto un giorno: “Non esiste povertà peggiore che non avere amore da dare” e “Non sapremo mai quanto bene può fare un semplice sorriso”. Lo ripeterà a noi il 4 settembre prossimo, giorno della sua canonizzazione.
Anna Maria Gellini